IBRO PRIMO: LA CONOSCENZA DI DIO QUALE CREATORE E SOVRANO REGGITORE DEL MONDO
LA CONOSCENZA DI DIO, IL CREATORE
1. La conoscenza di Dio e quella di noi stessi sono congiunte, modalità di questa connessione
2. La conoscenza di Dio e il fine a cui essa tende
3. La conoscenza di Dio è naturalmente radicata nello spirito dell'uomo
4. Questa conoscenza è soffocata e corrotta in parte dalla stupidità degli uomini, in parte dalla loro malizia
5. La potenza di Dio rifulge nella creazione e nel costante governo del mondo
6. Per giungere a Dio il Creatore, occorre che la Scrittura ci sia guida e maestra
7. La Scrittura ci deve essere confermata dalla testimonianza dello Spirito Santo, affinché ne temiamo per certa l'autorità: ed è stata un'empietà maledetta affermare che essa è fondata sul giudizio della Chiesa.
8. Le prove recate dalla ragione umana sono sufficienti a rendere la Scrittura indubitabile
9. Alcuni spiriti scervellati abbandonando la scrittura pervertono tutti i principi della religione e svolazzano dietro le proprie fantasie col pretesto di rivelazioni dello Spirito Santo.
10. La Scrittura per combattere ogni superstizione contrappone in modo esclusivo, il vero Dio a tutti gli idoli pagani.
11. Non è lecito attribuire a Dio un aspetto visibile: Chi costruisce immagini si ribella al vero Dio.
12. Dio vuole essere distinto dagli idoli per essere servito in modo esclusivo.
13. Nella Scrittura ci è insegnato che fin dalla Creazione del mondo in una sola essenza divina sono contenute tre persone.
14. Nella creazione del mondo e di tutte le cose la scrittura distingue con segni sicuri il vero Dio da quelli inventati.
15. L'uomo quale è stato creato: trattiamo dell'immagine di Dio, delle facoltà dell'anima, del libero arbitrio e della originaria integrità della sua natura.
16. Dio ha creato il mondo per mezzo della sua potenza, lo governa e lo mantiene con quanto vi è contenuto per mezzo della sua provvidenza onde se ne tragga profitto.
17. Quale sia lo scopo di questa dottrina, onde se ne tragga profitto.
18. Dio si serve dei malvagi e piega i loro cuori ad eseguire i suoi giudizi, rimanendo tuttavia puro da ogni macchia e colpa.
CAPITOLO I
LA CONOSCENZA DI DIO E QUELLA DI NOI STESSI SONO CONGIUNTE, MODALITÀ DI QUESTA CONNESSIONE
1. Quasi tutta la somma della nostra sapienza, quella che tutto considerato merita di essere reputata vera e completa sapienza, si compone di due elementi e consiste nel fatto che conoscendo Dio ciascuno di noi conosca anche se stesso. Del resto, benché questi punti siano vicendevolmente uniti da molti legami, non è sempre agevole discernere quale preceda e sia causa dell’altro. In primo luogo infatti nessuno può guardare a se stesso senza subito volgere il suo sentimento a Dio, da cui riceve vita e vigore. È indubbio infatti che i doni che costituiscono tutta la nostra dignità non provengono da noi; la nostra forza e la nostra fermezza consistono nel dimorare e fondarci in Dio. Anzi, i beni che scendono dal cielo su di noi goccia a goccia, ci conducono come ruscelli alla sorgente. Similmente questa piccola e scarsa porzione fa risaltare l’infinità di tutti i beni che risiedono in Dio; in particolare questa sventurata rovina in cui ci ha ridotto la rivolta del primo uomo ci costringe a levare in alto gli occhi, non solo per desiderarne i beni che ci mancano - poveri, vuoti e affamati come siamo - ma anche per essere svegliati al timore e imparare così in che consista l’umiltà. Si trova infatti nell’uomo un mondo di tale miseria, dacché siamo stati spogliati degli ornamenti celesti, e la nostra nudità mostra con vergogna una tal quantità di obbrobrio da lasciarci confusi; d’altra parte è necessario che la coscienza della nostra sventura ci pungoli perché almeno ci avviciniamo ad una qualche conoscenza di Dio. Infatti dal sentimento della nostra ignoranza, vanità, distretta, infermità e ancor più, perversità e corruzione, siamo condotti a riconoscere che in Dio solamente c’è vera luce di saggezza, forza stabile, ricchezza di ogni bene, purezza di giustizia. Solo turbati dalle nostre miserie ci volgiamo a considerare i beni di Dio, e non possiamo volgerci a lui seriamente se non dopo aver cominciato ad essere insoddisfatti di noi stessi. Qual è l’uomo infatti che non si compiace di se stesso finché non si conosca: e si gloria di quelli che sono doni di Dio come di paramenti nobili e sontuosi, ignorando e dimenticando la propria miseria? La conoscenza di noi stessi dunque non solo ci stimola a conoscere Dio, ma anzi deve guidarci, quasi per mano, a trovarlo.
2. D’altra parte è noto che l’uomo non perviene mai alla conoscenza pura di se stesso fino a quando non abbia contemplato la faccia di Dio e da essa sia sceso a guardare se stesso. Infatti, a causa dell’orgoglio radicato in noi, ci sentiamo sempre giusti e completi, savi e santi, fin quando non siamo convinti da argomenti evidenti della nostra ingiustizia, impurità, follia e immondezza. Ora non ne siamo convinti se gettiamo lo sguardo solamente sulle nostre persone e non pensiamo insieme anche a Dio, il quale è la sola regola a cui bisogna confrontare e allineare questo giudizio. Essendo infatti tutti per natura inclini all’ipocrisia, una apparenza superficiale di giustizia ci soddisferà quanto e più dell’effettiva verità. E poiché intorno a noi non c’è nulla che non sia coperto e sfigurato da molte macchie, lo spirito ci è chiuso e come limitato dalle profanazioni di questo mondo; di sorta che, quanto non è completamente brutto come il resto, ci piace come se fosse purissimo. Così un occhio che sia abituato a non veder altro che nero considera quanto è bruno o di colore scuro come di eccelso candore. Si può anche discernere con i sensi corporali quanto siamo viziati nel valutare le forze e le facoltà dell’anima. Se infatti in pieno giorno guardiamo verso il basso o qua e là intorno a noi, ci sembra di avere io sguardo più acuto che si possa immaginare; ma se leviamo in alto gli occhi per contemplare il sole, quella grande luce che si spandeva in terra è subito abbagliata e completamente confusa dallo splendore che la sopravanza, al punto che siamo costretti a confessare che la vivacità dimostrata nell’affrontare cose terrestri risulta greve e lenta quando si tratti di misurarsi col sole. Lo stesso accade nel campo dei beni spirituali: fintantoché non guardiamo oltre la terra, accontentandoci della nostra giustizia, saggezza e forza, siamo soddisfatti e ci compiacciamo fino a valutarci semidei. Ma se incominciamo a levare i nostri pensieri a Dio e a riflettere su chi egli sia e quanto eccellente sia la perfezione della sua giustizia, saggezza e forza, a cui ci dobbiamo conformare, subito quanto ci soddisfaceva pienamente sotto il falso aspetto di giustizia avrà l’odore cattivo dell’iniquità; quello che ci deliziava sotto l’etichetta di saggezza apparirà non essere che follia, e quello che aveva una apparenza di forza si rivelerà debolezza. Ecco perché quanto sembra in noi perfetto non può affatto soddisfare la giustizia di Dio.
3. Questa è l’origine dello stupore e del turbamento che, secondo la Scrittura, inquietò e piegò i santi ogni qualvolta avvertirono la presenza di Dio. Lontani da Dio, sicuri di se stessi, andavano a testa alta; ma non appena egli manifestò loro la sua gloria furono scossi e spaventati, fino ad essere oppressi e travolti dall’orrore della morte e quasi venir meno. Ne possiamo concludere che gli uomini non sono sufficientemente toccati e turbati dal sentimento della loro povertà fino a quando non si siano paragonati alla maestà di Dio. Di questo stupore abbiamo molti esempi, sia nei Giudici, che Dio stabilì in Giudea, che nei Profeti. Talché questa espressione risultava abituale nel popolo antico: "Moriremo perché abbiamo visto il Signore " (Gd. 13:22; Is. 6:5; Ez. 1:28 e altrove). Così la storia di Giobbe per umiliare gli uomini con una esatta percezione della loro stupidità, debolezza e impurità, trae sempre il suo principale argomento da questa sorgente: mostrare cioè quali siano la saggezza, la virtù e la purezza di Dio; e non senza ragione. Vediamo che Abramo è tanto più pronto a contemplare la maestà di Dio, quanto più si confessa terra e polvere (Ge. 28:27); come Elia nasconda, il volto non osando aspettare una tale vicinanza (2 Re 19:13); tale è lo spavento che i credenti avvertono di fronte a questa alta maestà. E che dovrebbe fare l’uomo il quale non è che verme e marciume se i cherubini e gli angeli del cielo si coprono il volto per la paura e lo stupore che essi stessi provano? È quanto dice il profeta Isaia: il sole si vergognerà e la luna sarà confusa quando il Signore degli eserciti regnerà (Is. 24:23). Vale a dire che quando dispiegherà la sua luce e la farà vedere più da vicino tutto quello che v’era prima di più luminoso ne sarà al confronto oscurato come tenebre Sebbene vi sia dunque un legame reciproco tra la conoscenza di Dio e quella di noi stessi e l’una sia in relazione con l’altra, tuttavia l’ordine di un buon insegnamento richiede che in primo luogo trattiamo della conoscenza di Dio per venire poi alla seconda.
CAPITOLO II
LA CONOSCENZA DI DIO E IL FINE CUI ESSA TENDE
1. Io considero che conosciamo Dio non ammettendo semplicemente l’esistenza di un qualche Dio, ma comprendendo quanto è a noi necessario sapere e giova alla sua gloria, in breve ciò che è convenevole. Propriamente parlando non diremo che Dio sia conosciuto laddove non c’è alcuna forma di religione o di pietà. Non mi riferisco ancora qui alla conoscenza particolare, per la quale gli uomini in se perduti e maledetti sono condotti a considerare Iddio come loro redentore nel nome di Gesù Cristo; parlo solo di quella semplice conoscenza cui ci condurrebbe l’ordine naturale se Adamo avesse continuato nella sua integrità. Nella decadenza e desolazione del genere umano nessuno ha coscienza del fatto che Dio gli è padre e salvatore e propizio fino a quando Cristo non venga a pacificarlo con noi; una cosa e sapere che Dio quale nostro creatore ci sostiene nella sua perseveranza. ci governa nella sua provvidenza, ci mantiene e nutre nella sua bontà, e continua a benedirei in ogni modo; altra cosa è invece ricevere e accettare la grazia della riconciliazione quale egli la offre in Cristo. Dio è da noi conosciuto in primo luogo come creatore sia attraverso il mirabile capolavoro del mondo che nella dottrina generale della Scrittura; in secondo luogo si manifesta quale redentore nella persona di Gesù Cristo.
Ne abbiamo così una duplice conoscenza. Sarà sufficiente per ora trattare della prima, la seconda verrà a suo tempo. Sebbene il nostro spirito non possa comprendere Dio senza anche tributargli un qualche culto, tuttavia non sarà sufficiente sapere confusamente che esiste un Dio, che unico merita di essere adorato, se non siamo anche decisamente persuasi che il Dio che adoriamo è la fonte di ogni bene, in modo di non cercarla fuori di lui. Ecco la mia tesi: egli dopo aver creato il mondo non solamente lo sostiene con la sua potenza infinita, lo governa con la sua saggezza, lo conserva e preserva con la sua bontà e soprattutto ha cura di reggere il genere umano in giustizia e rettitudine, di sostenerlo con la sua misericordia, tenerlo sotto la sua protezione; ma dobbiamo altresì credere che all’infuori di lui non si troverà una sola goccia di saggezza, chiarezza, giustizia, forza, dirittura e verità. Dato che queste cose provengono da lui ed egli ne è la sola causa, impariamo ad attenderle da lui, a cercarle in lui. Inoltre impariamo ad attribuirgli tutto questo e a riceverlo da lui con gratitudine. Questo sentimento della potenza di Dio è l’unica guida buona e appropriata per insegnarci la pietà da cui procede la religione.
Definisco pietà un senso di venerazione e di amore per Dio congiunti insieme, a cui siamo condotti dalla conoscenza dei beni da lui largiti. Fintantoché gli uomini non hanno chiaramente impresso nel cuore il pensiero che tutto debbono a Dio, che .sono teneramente nutriti sotto il suo sguardo paterno, finché; insomma, non lo considerano autore di ogni bene, in modo da non desiderare altro che lui, mai gli si sottometteranno con sincera devozione; e fintantoché non pongono in lui la loro felicità, non potranno consacrarsi a lui con animo sincero e univoco.
2. Di conseguenza quanti si preoccupano di risolvere il problema di cosa Dio sia, altro non fanno che perdersi in speculazioni inutili; dato che ci è utile piuttosto sapere quali siano le sue caratteristiche e cosa si confaccia alla sua natura. Che risultato infatti si otterrà nel riconoscere, con gli Epicurei che c’è un Dio, se egli si fosse scaricato del compito di governare il mondo e si compiacesse nell’ozio? Parimenti a cosa servirà conoscere un Dio con il quale non abbiamo nulla a che fare? Al contrario la conoscenza che abbiamo di lui deve insegnarci in primo luogo a temerlo e venerarlo; poi insegnarci a cercare in lui ogni bene e a rendergliene lode. E difatti come potremmo pensare a Dio senza immediatamente pensare, dato che siamo opera sua, che per diritto naturale e di creazione siamo soggetti al suo dominio, che la nostra vita gli è dovuta, che tutto quello che facciamo e intraprendiamo deve essere riferito a lui? Stando così le cose ne consegue con certezza che la nostra vita è tristemente corrotta se non la mettiamo al suo servizio, poiché bisogna avere come unica legge la sua volontà.
D’altra parte è impossibile conoscere chiaramente chi sia Dio senza riconoscerlo come sorgente e origine di ogni bene. Questo dovrebbe incitare gli uomini ad avvicinarsi a lui e a mettere in lui la loro fiducia, se la loro propria malizia non li stornasse dal ricercare ciò che è buono e giusto. In primo luogo l’anima retta non si foggia un Dio a capriccio, ma mira a colui che è unico e vero Dio. Poi essa non immagina di lui quel che le piace, ma e soddisfatta di averlo quale egli stesso si manifesta, e si astiene scrupolosamente dall’uscire, con audacia folle e temeraria, da quanto egli ha dichiarato per vagare qua e là. Avendo conosciuto Dio in questo modo e sapendo che egli governa ogni cosa, l’anima confida di essere sotto la sua guardia e proiezione affidandosi completamente a lui; conoscendolo autore di ogni bene, quando si sente oppressa dall’afflizione o dalla distretta, ricorre a lui, aspettando il soccorso; conoscendolo come pieno di umanità e di misericordia, si rifugia in lui con piena fiducia e non ha dubbio che in tutte le avversità troverà sempre il rimedio pronto nella sua bontà e clemenza; considerandolo Signore e Padre, ne conclude anche che è giusto attribuirgli la superiorità che gli appartiene, onorandone la maestà, adoperandosi perché la sua gloria sia largamente conosciuta ed obbedendo ai suoi comandamenti; riconoscendolo giusto giudice, munito di giusto umore per punite le malvagità e i peccati, essa ha sempre davanti agli occhi questa sua funzione e si sente frenata dal timore di offenderlo. Tuttavia essa non rimane spaventata per timore del suo giudizio, ritraendosi e nascondendosi da lui, se pure potesse trovarne il modo; anzi l’accetta e riceve quale giudice degli iniqui e benefattore dei credenti ~, sapendo che spetta a Dio rendere ai malvagi il salario che hanno meritato e dare ai giusti la vita eterna. C’è di più: essa non si trattiene dal fare il male solo per timore della punizione; ma dato che ama e venera Dio come padre, l’onora con umiltà come signore e sovrano, essa ha orrore di recargli offesa, quand’anche non ci fosse l’inferno.
Ecco la vera e pura religione, cioè la fede unita ad un vivo timore di Dio in modo che il timore comprenda una venerazione volontaria e comporti un servizio degno, quale Dio stesso prescrive nella sua Legge. E questo deve essere sottolineato in modo particolare dato che tutti, indistintamente, rendono onore a Dio, pochi però sono quelli che lo venerano; tutti, infatti, si atteggiano alla pietà ma pochi sono quelli che vi impegnano il cuore.
CAPITOLO III
LA CONOSCENZA DI DIO È NATURALMENTE RADICATA NELLO SPIRITO DELL’UOMO
1. Consideriamo fuori dubbio che gli uomini abbiano in sé, per naturale sentimento, una percezione della divinità. Infatti, ad evitare che qualcuno potesse prevalersi dell’ignoranza come di una scusa, Dio ha impresso in tutti una conoscenza di se stesso, di cui rinnova il ricordo, quasi a goccia a goccia. Sappiamo dunque tutti, dal primo all’ultimo che c’è un Dio e che ci ha formati e siamo condannati dalla nostra stessa testimonianza se non lo onoriamo e non dedichiamo la nostra vita ad obbedirgli.
Volessimo cercare esempi di ignoranza di Dio è probabile non ne troveremmo di più chiari che presso quei popoli decaduti che quasi non sanno cosa sia l’umanità. Ora, come dice il pagano Cicerone, non c’è nazione così barbara o popolo così brutale o selvaggio che non abbia radicata la convinzione dell’esistenza di un Dio. Anche quelli che non sembrano in tutto il resto differire dalle bestie brute, tuttavia conservano sempre in sé un qualche germe di religione. Da ciò si vede come questa convinzione domini il cuore degli uomini fino nel profondo e sia radicata nel I loro animo. Poiché dunque fin dal principio del mondo non c’è stato paese né città né casa che abbia potuto far a meno della religione, dobbiamo concludere che tutto il genere umano ha riconosciuto che giaceva nel proprio cuore una qualche idea della divinità.
Persino l’idolatria testimonia in questo senso. Sappiamo quanto gli uomini siano poco propensi ad umiliarsi e riconoscere la superiorità di una creatura su di sé. Quando perciò preferiscono adorare un pezzo di legno o una pietra piuttosto che essere considerati senza Dio, constatiamo quanto straordinaria sia la forza e la dinamica di questa esigenza ineliminabile dell’intelletto umano. È più facile spezzare ogni vincolo naturale di affetto piuttosto che fare a meno di una religione; in realtà quando un uomo, per onorare Dio si abbassa ad un tale obbrobrio, dimenticando la sicurezza orgogliosa in cui e solito vivere, significa che ogni orgoglio umano è distrutto.
2. Ne deriva l’infondatezza dell’affermazione di alcuni, secondo cui la religione sarebbe stata inventata dall’astuzia di alcuni furbi per mettere la briglia al popolo semplice. Essi sostengono che, pur prescrivendo agli altri di servire Dio, costoro non avevano in realtà alcun rispetto per la divinità. Sono pronto ad ammettere che molti uomini astuti e abili hanno inventato non poche corruzioni per attirare il popolino a forme di insensata devozione e per spaventarlo onde divenisse più malleabile. Ma non avrebbero mai potuto pervenire al loro scopo se la mente dell’uomo non fosse stata disposta, anzi fermamente risoluta ad adorare un dio; questo rappresentava il germe per condurli alla religione. Anzi non è neppure verosimile che quanti hanno voluto ingannare in questo modo i semplici ignoranti siano stati del tutto privi della conoscenza di Dio.
Infatti, sebbene in passato alcuni, e molti ancora oggi, si facciano avanti per negare che ci sia un qualche Dio, tuttavia essi sentono ciò che vorrebbero ignorare, per quanto a malincuore.
Non si trova nella storia uomo più empio e sregolato e imperatore romano Caligola; tuttavia nessuno era più spaventato e angosciato di lui quando si manifestava qualche segno dell’ira di Dio. Sebbene per proposito deliberato si desse a disprezzare Iddio, tuttavia, suo malgrado, era costretto ad averne timore. Si noterà lo stesso con altri dispregiatori; e più uno è sfacciato nel ridersi di Dio, tanto più tremerà anche solo vedendo cadere la foglia di un albero. Quale ne è la causa vi domando, se non che la maestà di Dio si vendica spaventando le loro coscienze che credono di poterla sfuggire? Cercano tutti i sotterfugi per nascondersi dalla presenza di Dio e per cancellarla dal loro cuore, ma, piaccia o no, se ne trovano imprigionati senza poterne uscire. E se anche per qualche tempo sembra loro che tutto sia cancellato, da un’ora all’altra sono da capo, perché la maestà di Dio si fa sentire e li spaventa. Di modo che, anche qualora le loro angosce si plachino un pochino, si tratta pur sempre di un riposo simile al sonno degli ubriachi o dei pazzi, i quali dormendo non riposano mai del tutto, perché sono sempre tormentati da sogni orribili e spaventevoli. I più malvagi dunque ci devono servire d’esempio: Dio si fa conoscere ad ogni uomo e questa impressione è così profonda da non poter essere abolita.
3. Comunque sia, questo punto è chiaro per quanti giudicano rettamente: lo spirito umano ha una percezione della divinità impressa così profondamente da non potersi cancellare. La persuasione che esiste un Dio è naturalmente radicata in tutti e attaccata come il midollo alle ossa. Ne testimonia persino la ribellione orgogliosa degli iniqui, i quali pur lottando furiosamente per spogliarsi del timore di Dio non possono riuscirci. Anticamente un certo Diagora e altri hanno voluto mettere in ridicolo tutte le religioni del mondo. Dionisio, tiranno di Sicilia, saccheggiando i templi si è fatto beffe di Dio. Ma queste risa non escono dalla strozza perché dentro c’è sempre un verme, che rode la coscienza più profondamente di qualsiasi cauterizzazione. Non dirò con Cicerone che tutti gli errori svaniscono con l’andar del tempo, mentre la religione si conferma di giorno in giorno. Al contrario vedremo tra poco che il mondo si sforza quanto può di rigettare lontano ogni conoscenza di Dio e di corrompere in ogni maniera il culto a lui dovuto; nonostante tutta la durezza e la follia che i malvagi accumulano, per poter disprezzare Iddio, e che imputridisce e marcisce nel loro cuore, tuttavia il sentimento della maestà di Dio, che vorrebbero spegnere se potessero, torna sempre a galla. Ne concludo dunque trattarsi di una dottrina che non si incomincia ad imparare solo a scuola, ma della quale ciascuno deve essere maestro e dottore fin dal grembo della madre; la natura stessa non permette che la dimentichiamo, sebbene alcuni vi si applichino con tutta la loro diligenza.
Se dunque tutti gli uomini nascono e vivono con la possibilità di conoscere Dio, ma d’altra parte questa conoscenza risulta vana e si dissolve se non giunge fin dove ho detto, ne consegue che quanti non indirizzano tutti i loro pensieri e le loro opere a questo fine si smarriscono e deviano dallo scopo per il quale furono creati. Questo sapevano anche i filosofi pagani ed è quanto Platone pensava dicendo: il bene supremo dell’anima è di rassomigliare a Dio e, dopo averlo conosciuto, essa è completamente trasformata in lui. Un personaggio presentato da Plutarco argomenta molto bene dimostrando che, se si toglie la religione dalla vita degli uomini, non solamente non ci sarà più ragione di preferirli alle bestie selvatiche, ma, anzi, essi saranno molto più miserabili e condurranno una vita piena di inquietudini e preoccupazioni in preda a molti avvilimenti. Ne conclude che solo la religione ci rende superiori alle fiere, dato che mediante essa tendiamo all’immortalità.
CAPITOLO IV
QUESTA CONOSCENZA È SOFFOCATA E CORROTTA IN PARTE DALLA STUPIDITÀ DEGLI UOMINI, IN PARTE DALLA LORO MALIZIA
1. Sebbene l’esperienza ci mostri che un seme di religione è piantato in tutti, per segreta ispirazione di Dio, tuttavia difficilmente si troverà l’uno per cento che lo nutra nel suo cuore per farlo germogliare; ma non se ne troverà uno solo in cui esso maturi e tanto meno che dia frutto quando viene la stagione. Gli uni si perdono nelle loro folli superstizioni, gli altri con proposito deliberato e malvagio si allontanano da Dio; il risultato è che tutti ne smarriscono la vera conoscenza. Di conseguenza non rimane nel mondo alcuna retta pietà.
Quando dico che alcuni si smarriscono e cadono nella superstizione per errore, non si deve pensare che la loro ignoranza sia una giustificazione del loro crimine, dato che l’accecamento di cui sono vittime è quasi sempre associato ad una presunzione orgogliosa e tracotante. La vanità congiunta all’orgoglio è sufficientemente messa in rilievo dal fatto che nessuno, per cercare Dio, si innalza al di sopra di se stesso come sarebbe necessario; ma tutti lo vogliono misurare secondo le capacità dei loro sensi carnali, il che è assolutamente stupido. Per di più, rifiutando di informarsi con serietà per giungere ad una qualche sicurezza, con le loro curiosità non fanno che svolazzare in speculazioni inutili. Così facendo non imparano a conoscere Dio quale egli si offre, ma lo immaginano quale se lo sono fabbricato con la loro temerità. Così, dovunque mettano il piede, non possono che precipitare rovinosamente nell’abisso aperto; e per quanto poi si diano da fare per onorarlo e servirlo, non se ne terrà alcun conto perché in realtà non è lui quello che onorano ma i loro sogni e le loro fantasticherie.
Questa perversità è esplicitamente condannata da san Paolo quando dice che gli uomini, desiderando essere savi sono divenuti completamente insensati (Ro. 1:22). Aveva detto poco prima che si sono smarriti nei loro pensieri: ma affinché nessuno li scusi della loro colpa aggiunge che sono stati giustamente accecati perché, non contentandosi della sobrietà e della modestia, hanno usurpato più di quanto fosse loro lecito. E in questo modo scientemente e volontariamente si cacciano nelle tenebre e per la loro perversità e arroganza diventano insensati. Ne consegue che la loro follia non è scusabile, perché non procede solamente da curiosità vana, ma anche da un desiderio incontrollato di sapere più di quanto comporti la loro misura, unito alla falsa presunzione di cui sono pieni.
2. L’affermazione di Davide, che i malvagi e gli insensati nel loro cuore pensano non vi sia Dio (Sl. 13:1), deve essere applicata in primo luogo a quanti, avendo soffocato l’evidenza naturale, si abbruttiscono coscientemente, come vedremo tra poco. E infatti se ne trovano molti che, induriti nel peccato, per temerarietà inveterata respingono con ira ogni ricordo di Dio; che pure è loro riproposto dal loro senso naturale e non cessa dal sollecitarli nel loro interiore. Per rendere più detestabile il loro furore, egli dice, negano Dio, non in quanto gli sottraggono la sua essenza, ma in quanto, spogliandolo dell’ufficio di giudice e reggitore, In relegano in cielo, nell’ozio’. Nulla si dà essere però più contrario alla natura di Dio che l’abbandonare il governo del mondo lasciando andare tutto a casaccio, chiudere un occhio, lasciando tutti i peccati impuniti e fornire occasione ai malvagi di oltrepassare i limiti: è perciò evidente che quanti si perdonano da sé e si lusingano e, respingendo ogni preoccupazione della resa dei conti, se la prendono con comodo, negano che vi sia un Dio. Ed è in base ad una giusta vendetta del cielo che i cuori dei malvagi siano così appesantiti, di sorta che, con i loro occhi chiusi, vedendo non vedano nulla. Anche Davide espone molto bene questo punto nei passi in cui dice che davanti agli occhi dei malvagi non v’è timore di Dio (Sl. 36:1) e che essi giubilano nei loro misfatti, persuasi che Dio non se ne curi (Sl. 10:11). Sebbene dunque siano costretti a riconoscere l’esistenza di un Dio, tuttavia annullano la sua gloria togliendogli la sua potenza. Dato che Dio non può rinnegare se stesso, come dice san Paolo (2 Ti. 2:13), in quanto rimane sempre uguale a se stesso, così queste canaglie, che si creano un idolo morto e senza forza, sono giustamente accusate di rinnegarlo.
C’è ancora da notare che, sebbene combattano contro il loro proprio sentimento e desiderino non solo scacciarne Dio ma anche abolirlo nel cielo, tuttavia la stupidità nella quale si immergono non arriva mai al punto di impedire che Dio talvolta non li riconduca con la forza al suo tribunale. Non trattenuti dai freno dei timore si scagliano impetuosa mente contro Dio; e il fatto che siano trasportati da una rabbia così cieca dimostra che hanno dimenticato Dio e che tale brutalità regna in loro.
3. È annullata, in questo modo, la frivola argomentazione cui molti ricorrono per giustificare le loro superstizioni. Essi pensano, infatti, che, quando ci si dedica a servire Dio, qualsiasi sentimento, anche sregolato, sia sufficiente. Non vedono però che la vera religione deve essere in tutto conforme alla volontà di Dio, come ad una norma che non vien meno: Dio rimane sempre uguale a se stesso, e non è un fantasma che si trasforma secondo i desideri di ciascuno. Si può infatti vedere chiaramente che, quando la superstizione vuole servire Dio, affonda in una quantità di assurdità prendendosi gioco di se stessa: osservando diligentemente le cose, che Dio ha dichiarato di non tenere in alcuna considerazione, essa respinge invece apertamente e disprezza quelle che egli raccomanda come preziose. Quanti dunque elaborano forme di culto secondo i propri capricci adorano solamente le loro proprie fantasticherie. Non oserebbero infatti offrire a Dio questa chincaglieria se già non si fossero modellati un Dio simile a se stessi per confermare le proprie invenzioni. San Paolo dichiara che questa conoscenza di Dio, mutevole ed erronea, è ignoranza di Dio. "Quando non conoscevate Dio" egli dice "servivate a coloro che per natura non sono Dio" (Ga. 4:8). E in un altro passo afferma che gli Efesini erano assolutamente senza Dio, nel tempo in cui avevano perduto conoscenza di colui che in verità è il solo Dio (Ef. 2:12). E non v’è grande differenza, almeno su questo punto, tra quanti concepiscono un solo dio e quanti ne concepiscono molti; perché gli uni e gli altri si stornano dal vero Dio e quando lo si è abbandonato non resta più che un idolo esecrabile. Dobbiamo così concludere con Lattanzio che la religione non può legittimamente sussistere quando non si accompagni alla verità.
4. C’è inoltre un secondo male, ed è che gli uomini non si curano affatto di Dio quando non siano costretti e non vogliono avvicinarsi a lui se non trascinati loro malgrado. Ed anche così non sono indotti a nutrire un timore volontario, che nasce dal rispetto della maestà divina, ma solo a un timore servile, frutto di costrizione che è strappato loro dal suo giudizio. E non potendolo evitare ne hanno timore pur detestandolo nello stesso tempo. Quanto ha detto un poeta pagano si riferisce davvero all’empietà: la paura ha per prima creato gli dei. Quanti vogliono lasciarsi andare a disprezzare Dio, desiderano nello stesso tempo sia rovesciato il suo tribunale che sanno essere stabilito per punire le trasgressioni. Spinti da questo sentimento combattono contro Dio, il quale non può esistere senza giudicare.
Ma non potendo evitare di essere spaventati dalla sua potenza e sentendo bene di non poterla stornare, eccoli presi dalla paura. Così, per non sembrare disprezzare colui che, li soggioga con la sua maestà, si sforzano bene o male di mostrare delle apparenze religiose; e tuttavia non cessano di macchiarsi di ogni vizio e accumulare colpe enormi finché abbiano violata la legge di Dio e interamente distrutta la sua giustizia. D’altra parte questo timore simulato non li inquieta al punto dal trattenerli dal peccato, in cui si immergono e di cui si compiacciono, preferendo lasciare la briglia sciolta alla intemperanza della loro carne piuttosto che trattenerla e reprimerla per obbedire allo Spirito Santo. Tutto questo non è che apparenza simulata di religione e anzi non merita neppure di essere chiamata apparenza; ed è agevole vedere come la vera pietà, che Dio ispira solamente nelcuore dei suoi credenti differisca da una conoscenza sì limitata e confusa. Risulta così evidente che la religione è propria dei figli di Dio. E tuttavia gli ipocriti con le loro vie oblique vorrebbero riuscire ad essere considerati vicini a quel Dio che invece sfuggono. Mentre ci deve essere una linea coerente di obbedienza nella vita intera, essi non si fanno scrupolo di offenderlo in questo o in quello, accontentandosi di placarlo con qualche sacrificio. Invece di servirlo in santità cd integrità di cuore si fabbricano quisquilie e cerimonie prive di valore, per acquistarsi grazia presso di lui. Quel che è peggio essi si permettono la licenza di marcire nelle loro sozzure tanto più liberamente in quanto credono di cancellare i loro peccati con quelle sciocchezze che chiamano soddisfazioni. Mentre tutta la nostra fiducia dovrebbe essere radicata in Dio solamente; essi Io respingono e prendono piacere in se stessi o nelle creature. Infine si perdono in un tale groviglio di errori che le tenebre della loro malvagità soffoca e spegne quelle scintille che splendevano per far loro percepire la gloria di Dio. Tuttavia il seme della convinzione permane che esiste una divinità e non può essere sradicato del tutto; ma la semenza, originariamente buona, è corrotta al punto di non poter produrre che frutti malvagi.
Quanto ora sto esaminando può essere risolto e dimostrato meglio considerando come vi sia una qualche percezione naturale della divinità scolpita nel cuore degli uomini, dal momento che la distretta conduce anche i più malvagi a riconoscerlo. Quando hanno il vento in poppa scherzano e si fanno beffe di Dio, si vantano anzi di insultarlo e grossolanamente ingiuriarlo per sminuirne il potere. Ma quando la disperazione li incalza, essa li spinge a cercare un qualche soccorso e suggerisce loro preghiere smozzicate; da queste appunto appare che non hanno potuto ignorare Dio completamente. Quanto avrebbe dovuto veder la luce precedentemente era stato tenuto nascosto dalla loro malvagità e dalla loro ribellione.
CAPITOLO V
LA POTENZA DI DIO RIFULGE NELLA CREAZIONE E NEL COSTANTE GOVERNO DEL MONDO
1. La somma felicità nostra e lo scopo della nostra vita consistono nel conoscere Dio; affinché nessuno risultasse privo di questa conoscenza, egli ha non solo posto nello spirito degli uomini quel germe di religione, di cui abbiamo parlato, ma si è anche manifestato a loro nella struttura mirabile del cielo e della terra, e quotidianamente vi si rivela, talché non possono aprire gli occhi senza essere costretti a percepirlo. La sua essenza è incomprensibile e la sua maestà nascosta, ben lontano da tutti i nostri sensi: ma egli ha impresso in tutte le sue opere certi segni della sua gloria, così chiari ed evidenti che la scusa di ignoranza non regge neppure per i più incolti e ottusi. Per questo il Profeta esclama giustamente che egli si ammanta di luce come di una veste (Sl. 104:2); come per dire che creando il mondo egli si e adornato ed è uscito per mostrarsi con paramenti che lo rendono visibile dovunque volgiamo gli sguardi. E nello stesso passo paragona la distesa del cielo ad un padiglione reale, dicendo che Dio l’ha rivestito con le acque, le nuvole sono il suo carro, egli cavalca sulle ali del vento, i venti e i lampi sono i suoi messaggeri. E poiché la gloria della sua potenza e della sua sapienza risplendono più compiutamente in alto, spesso il cielo è detto: suo palazzo. Da qualsiasi parte volgiamo lo sguardo non c’è luogo in cui non appaia qualche scintilla della sua gloria. Ma soprattutto non possiamo contemplare l’edificio così perfetto dell’universo senza rimanere quasi confusi come dinanzi ad una luce infinita. Giustamente infatti l’autore della epistola agli Ebrei chiama il mondo una esposizione o manifestazione delle realtà invisibili (Eb. 11:3), perché la sua costruzione così ben ordinata funge da specchio per contemplare Dio, altrimenti invisibile. Per questa ragione il Profeta ci presenta le creature celesti che parlano, attribuendo loro un linguaggio conosciuto a tutti (Sl. 19:4): esse offrono una testimonianza così evidente alla maestà di Dio che anche i più ottusi ne ricevono illuminazione. San Paolo dice, più semplicemente, che quanto si può conoscere di Dio è stato manifestato agli uomini (Ro. 1:19), in modo che tutti, dal primo all’ultimo, siano in grado di contemplare, attraverso la creazione del mondo, quanto di lui è invisibile e, persino, la sua eterna potenza e divinità.
2. Ci sono, sia in cielo, che in terra, infiniti insegnamenti che ci attestano la sua meravigliosa potenza. Non alludo soltanto ai misteri naturali, che richiedono studi speciali, in astronomia, medicina e fisica, ma mi riferisco a quelli così evidenti che i più semplici ed incolti sono in grado di comprendere, sì da non poter aprire gli occhi senza esserne testimoni. Riconosco volentieri che gli esperti nelle scienze, o per lo meno quelli che ne hanno una qualche conoscenza, sono aiutati ed avvantaggiati nel comprendere più da vicino i segreti di Dio; tuttavia quelli che non frequentarono scuole non sono impediti dal vedere la bellezza delle opere di Dio e dall’essere riempiti di ammirazione per la sua maestà. Certo per conoscere i movimenti degli astri, determinare le loro sedi, misurare le loro distanze, e individuare le loro caratteristiche, quando cioè si voglia percepire nei minimi dettagli la provvidenza di Dio, si richiedono una abilità e una conoscenza maggiori di quelle che possiede il popolo. Ma poiché i semplici e più ignoranti, senz’altro aiuto che la loro vista, non possono ignorare l’eccellenza di questa sì nobile opera di Dio che sì rivela, lo si voglia o no, nella varietà delle stelle, così ben regolate e distinte, varietà tuttavia così grande e quasi infinita, bisogna concluderne che non v e un solo uomo sulla terra a cui Dio non mostri sufficientemente la propria sapienza. Riconosco anche che non tutti, ma solo gli spiriti eccezionalmente acuti e percettivi sono in grado di comprendere la costruzione, i rapporti, le proporzioni, la bellezza e le funzioni del corpo umano nelle sue parti con l’abilità e la profonda conoscenza di Galeno, tuttavia, per generale riconoscimento, il corpo umano si dimostra, al primo sguardo, opera così singolare che l’autore merita di essere l’oggetto della nostra ammirazione.
3. Per questa ragione alcuni antichi filosofi hanno, giustamente, definito l’uomo un microcosmo, perché è un capolavoro in cui si contemplano la potenza, la bontà e la sapienza di Dio e che contiene in sé sufficienti prodigi per colpire il nostro spirito, sol che vogliamo prestarvi attenzione. Per la stessa ragione san Paolo, dopo aver affermato che anche i ciechi a tastoni possono conoscere Dio, aggiunge subito dopo che non bisogna cercarlo lontano, perché ognuno sente in sé questa grazia celeste dalla quale siamo nutriti (At. 17:27). Ora se per comprendere non c’è bisogno di uscire da noi stessi, come si giustifica l’incuria di coloro che per trovare Dio non degnano ritirarsi in se stessi, dove egli abita? Sempre a questo proposito Davide, dopo aver celebrato in poche parole il nome di Dio e la sua maestà che splende dovunque, esclama: "Cos’è l’uomo, Signore, che tu n’abbia memoria?" (Sl. 8:5) e ancora: "Dalla bocca dei lattanti tu hai tratto una forza". Non solo dunque indica al giudizio comune del genere umano uno specchio ben chiaro dell’opera di Dio, ma specifica che i fanciulli ancora lattanti hanno delle lingue abbastanza eloquenti per predicare la gloria di Dio; talché non e e affatto bisogno di altri avvocati. Ed ecco perché non esita a dire che le bocche dei lattanti sono abbastanza munite e abili da combattere e respingere quanti vorrebbero cancellare il nome di Dio con orgoglio diabolico. Per lo stesso motivo egli menziona un poeta pagano secondo cui siamo progenie di Dio, perché si è dichiarato nostro Padre attribuendoci una si grande dignità. E gli altri poeti, secondo che il senso comune e l’esperienza dettava loro, lo hanno chiamato Padre degli uomini. Nessuno si sottometterà volentieri e di buon grado a Dio, per obbedirgli se non indotto ad amarlo, come risposta al suo paterno amore.
4. E qui si manifesta una infame ingratitudine, perché gli uomini, pur avendo in se stessi tanta abbondanza di opere divine ed una quantità inestimabile di ogni genere di beni, invece di affrettarsi a lodare Dio si gonfiano di ancor maggiore orgoglio e presunzione. Sentono come Dio operi meravigliosamente in loro e l’esperienza mostra loro quale varietà di beni ricevono dalla sua liberalità; sono costretti, lo vogliano oppure no, a riconoscere che sono tanti segni della sua divinità. E tuttavia li tengono nascosti in se stessi. Non ci sarebbe neppure bisogno di uscire fuori; basterebbe che, attribuendo a se stessi quanto è dato loro dal cielo, non nascondessero sotto terra quel che chiaramente riluce per mostrare Dio. Quel che è peggio, vivono oggi sulla terra parecchi spiriti mostruosi, quasi innaturali, i quali, senza vergogna, snaturano tutto il seme di divinità sparso nella natura umana e l’adoperano per seppellire il nome di Dio. Considerate quanto detestabile sia tale follia: l’uomo, che pur ritrova Dio cento volte nel suo corpo e nella sua anima, prevalendosi dell’eccellenza che gli è stata concessa ne prende occasione per negare Dio. Costoro non dicono che ci distinguiamo dalle bestie per combinazione fortuita; ma prendendo a pretesto la natura, che essi fanno operatrice e maestra di ogni cosa, mettono da parte Dio. Vedono un’opera elaborata di incomparabile squisitezza in ogni membro, dai loro occhi e dai loro volti fino all’estremità delle unghie, ma anche qui sostituiscono la natura a Dio. Soprattutto i moti rapidi dell’anima, le facoltà così nobili, le virtù così singolari apertamente manifestano una divinità, la quale non sopporta facilmente di essere messa sotto i piedi; mentre invece gli Epicurei colgono l’occasione per ergersi come giganti o selvaggi e fare la guerra a Dio ancora più intemeratamente, come se non fossero tenuti alla soggezione a lui. Così dunque per governare un verme alto cinque piedi la saggezza celeste dispiega i suoi tesori e noi dovremmo essere privati di questo privilegio? Affermare come fanno seguendo Aristotele che l’anima è dotata di organi o strumenti presiedenti ad ogni parte, significa oscurare la gloria di Dio piuttosto che farla risplendere. Ma dicano un po’ gli Epicurei, i quali immaginano tutto avvenga in conseguenza dell’incontrarsi casuale di atomi minuscoli che volano nell’aria simili alla polvere invisibile: è forse a motivo di un tale incontrarsi che nello stomaco vengono assimilati il cibo e le bevande e sono trasformati parte in sangue, parte in rifiuti? E ancora, chi dà ad ogni membro di compiere la sua funzione propria come se ci fossero tre o quattrocento anime per governare un solo corpo?
5. Lascio per ora quei porci alle loro stalle. Mi rivolgo a quegli spiriti irrequieti che volentieri traviserebbero le parole di Aristotele sia per abolire l’immortalità dell’anima che per togliere a Dio i suoi diritti. Dicendo che le virtù dell’anima sono strumentali e sono connesse alle corrispondenti parti esterne, quegli zoticoni le vincolano al corpo come se esse non potessero esistere senza questo e magnificando al massimo la natura cercano di abbassare il nome di Dio. Le cose stanno in realtà ben diversamente, in quanto le virtù dell’anima sono lungi dall’essere limitate a quanto serve al corpo. Che rapporto esiste, vi domando, tra i sensi corporali e questa facoltà sì alta e nobile che ci permette di saper misurare i cieli, classificare ed enumerare le stelle, determinare la grandezza di ciascuna, conoscere quale distanza v’è tra l’una e l’altra, quanto ciascuna è rapida o lenta nel seguire il suo corso, di quanti gradi esse deviano di qua o di là? Riconosco che l’astrologia è utile a questa vita caduca e qualche frutto di questo studio dell’anima lo riceve pure il corpo; voglio però notare che l’anima ha le sue virtù particolari che non sono affatto vincolate al punto da poter essere chiamate organiche o strumentali in funzione del corpo, così come si accoppiano due buoi o due cavalli per tirare un aratro. Questo esempio aiuterà il lettore a intendere il resto.
Certo la vivacità e la poliedricità dell’anima, che le permette di spaziare in cielo e in terra, stabilire un nesso tra le cose passate e quelle future, serbare memoria di quanto ha udito molto tempo prima, immaginare addirittura ciò che desidera, sono un segno indubbio di divinità nell’uomo. Lo stesso dicasi per l’abilità nel saper inventare cose incredibili; per cui la si può chiamare: "madre delle meraviglie", in quanto ha prodotto tutte le arti. Inoltre mentre dormiamo essa permane in costante attività, concepisce molte cose buone e utili, stabilisce la probabile ragione di molte altre, ed intuisce perfino ciò che deve accadere. Che possiamo dire, se non che i segni di immortalità impressi da Dio nell’uomo non possono essere cancellati? E come si potrà giustificare il fatto che l’uomo sia divino se poi misconosce il suo creatore? Come si può affermare che noi, fango e spazzatura, siamo in grado di discernere tra il bene e il male mediante il giudizio che è stato scolpito in noi, ma non riconosciamo un giudice seduto in cielo? Riconoscere che abbiamo un residuo di intelligenza persino nel sonno, ma negare ci sia un Dio che veglia per governare il mondo? Saremo lodati ed apprezzati come inventori di tante cose preziose e desiderabili e Dio, che ce le ha ispirate, sarebbe frodato della lode che gli compete? Quanto abbiamo ci viene dal di fuori, a chi più a chi meno: lo si vede chiaramente.
Riguardo al delirare di alcun, secondo cui ci sarebbe una ispirazione nascosta che dà la vita al mondo senza bisogno di magnificare Dio, si tratta di una fantasia, non solo priva di vita e di buon senso, ma assolutamente pagana. Piace loro l’espressione del poeta pagano ": vi e uno spirito che nutre e anima il cielo e la terra, i campi, il globo della luna e tutte le stelle, questo spirito diffuso ovunque muove con il suo movimento la massa e sì mescola con tutto il corpo; ne deriva la vita degli uomini, delle bestie, degli uccelli e dei pesci e così in ogni cosa c e un elemento del fuoco e della divina origine. Questo per sostenere la tesi diabolica, secondo cui il mondo, creato come manifestazione della gloria di Dio, è creatore di se stesso. Altrove Virgilio, che ho citato, seguendo un’opinione comunemente ammessa tra i Greci e i Latini dichiara che le api hanno un qualche elemento dello spirito divino e hanno attinto dal cielo qualche virtù, dato che Dio si estende in ogni angolo della terra, del mare e del cielo. Da esso le bestie, tanto domestiche che selvagge, gli uomini e tutte le cose, trarrebbero qualche piccola parte di vita, poi la renderebbero ed essa tornerebbe alla sua origine, di sorta che non vi sarebbe morte alcuna ma tutto volerebbe al cielo con le stelle. Anziché generare e nutrire una retta pietà nei nostri cuori, ecco il risultato di questa magra e insipida ipotesi di uno spirito universale che regolerebbe il corso del mondo. Questo appare ancor meglio in un altro pessimo poeta chiamato Lucrezio, il quale abbaia come un cane per distruggere ogni religione traendo le sue bestemmie come per ragionamento filosofico da questi principi. In breve si ritorna allo stesso punto, foggiare qualche nebulosa divinità per respingere ben lontano il vero Dio che dobbiamo adorare e servire. Riconosco che si può dire correttamente che Dio è natura, purché lo si dica con riverenza e con cuore puro; ma è locuzione schematica e impropria, dato che la natura è piuttosto un ordine stabilito da Dio ed è pernicioso, in questioni così gravi, e in cui bisogna procedere con tutta sobrietà, confondere la maestà di Dio con la realtà inferiore delle sue opere.
6. Ricordiamoci dunque, ogni volta che consideriamo la nostra condizione, che un solo Dio governa tutte le realtà naturali e vuole che ci volgiamo a lui, che la nostra fede si rivolga a lui, che serviamo lui e lo invochiamo. Nulla è infatti più irragionevole e sbagliato che fruire di preziose grazie che rivelano l’esistenza in noi di una qualche divinità, e d’altra parte disprezzare l’autore da cui le riceviamo. Riguardo alla potenza di Dio, quante testimonianze dovrebbero riempirci di stupore e incantarci nel considerarla! Non è certo difficile comprendere quale forza sia necessaria per sostenere questa costruzione e massa infinita del cielo e della terra, quale potenza di dominio, bisogna chiamarla così, occorra per far tremare il cielo e scoppiare i tuoni, bruciare con i lampi, incendiare l’aria di saette, scatenarvi tempeste di ogni genere, renderla chiara e quieta in un momento; per tenere i grandi flutti del mare come appesi per aria, e il mare stesso che minaccia di inghiottire tutta la terra, quand6 gli piace smuoverlo con l’impetuosità dei venti per confondere tutto e poi improvvisamente placano, avendo fermato gli sconvolgimenti. A tutto questo si riferiscono le lodi della potenza di Dio, tratte dagli insegnamenti della natura, soprattutto nei libri di Giobbe e di Isaia; che però non esamino ora perché lo farò più opportunamente quando tratterò della creazione del mondo secondo la Scrittura. Ho voluto solamente notare che per cercare Dio esiste una via comune ai pagani e membri della Chiesa, e cioè seguire le tracce, in alto e in basso, che sono per noi come dei ritratti della sua immagine.
Ora la sua potenza ci deve condurre a conoscere la sua eternità; colui che dà origine a tutte le cose non può non essere eterno e non avere principio che in se stesso. Del resto se ci si domanda quale causa lo abbia indotto a creare tutte le cose al principio e lo spinga a conservare ogni cosa nel suo contesto, si troverà quale unica motivazione la sua bontà. Essa dovrebbe bastare, da sola, quand’anche tutto il resto che abbiamo detto non avesse peso, ad attirarci nel suo amore; non essendoci creatura, come dice il Profeta, sulla quale non scenda la sua misericordia (Sl. 145).
7. Prove della sua potenza, altrettanto chiare ed evidenti di quelle summenzionate, ci sono offerte nella seconda categoria delle opere di Dio, vale a dire in tutto quello che vediamo accadere fuori del corso ordinario della natura. Infatti, governando il genere umano, egli ordina e modera la sua provvidenza in modo che, pur mostrandosi liberale di beni infiniti elargiti a tutti, non manca di far sentire nei suoi giudizi la clemenza verso i buoni come la severità verso gli iniqui e i reprobi. Sono infatti evidenti le vendette che egli esercita conto i misfatti, e d’altra parte egli si dimostra chiaramente protettore delle buone cause facendo prosperare i buoni con le sue benedizioni, soccorrendoli nelle loro necessità, dando sollievo alle loro contrarietà e tristezze, alleviandoli delle loro calamità e provvedendo in ogni cosa alla loro salvezza.
Quanto al fatto che egli permette spesso ai malvagi di gioire per un tempo e di rallegrarsi perché non subiscono alcun male, mentre i buoni e gli innocenti sono afflitti e, anzi, calpestati e oppressi dall’audacia e crudeltà dei cattivi, questo non deve relativizzare la norma perpetua della sua giustizia. Dobbiamo piuttosto pensare che la punizione manifesta contro una malefatta è segno che le odia tutte; se ne lascia molte impunite è segno che ci sarà un giudizio ultimo al quale sono riservate. Parimenti ci e offerto opportunità di riflettere alla sua misericordia, considerando come egli non si stanchi di manifestare così a lungo la sua liberalità verso i peccatori, per quanto miserabili siano, fino a quando, avendo ragione della loro perversità con la dolcezza, li riconduca a sé come un padre i suoi figli, anzi oltre quanto potrebbe fare la bontà di un padre.
8. E’ per questo motivo che il Profeta racconta come Dio soccorre in modo improvviso, amorevole e contro ogni speranza quanti sono disperati per trarli dalla perdizione: quando vagano perduti per ìe foreste e i deserti li difende dalle bestie selvagge e li riconduce sul buon sentiero; fa trovare il nutrimento ai poveri affamati, libera i prigionieri che erano in catene nelle fosse profonde, riconduce al porto e in salvo quelli che erano come inghiottiti dal mare, guarisce quelli che erano mezzi morti; brucia le regioni con il calore e la siccità, manda l’umidità nascosta per rendere fertile quanto era secco, innalza in dignità il più disprezzato dei popolani, abbatte e rovescia i superbi. Dopo aver proposto questi esempi il Profeta ne conclude che i casi che a noi paiono fortuiti sono altrettante testimonianze della provvidenza celeste e soprattutto della bontà paterna di Dio. E di questo i credenti hanno motivo di gioire e la bocca è chiusa ad ogni perverso (Sl. 107). Ma dato che la maggior parte degli uomini abbeverata dei propri errori non vede nulla in un sì vario spettacolo, il Profeta alla fine esclama: è sapienza rara e singolare saper considerare rettamente queste opere di Dio, coloro, infatti, che sembrano essere i più acuti ed intelligenti, pur guardandole non ne traggono alcun vantaggio. E infatti, benché la gloria di Dio risplenda luminosamente, l’un per cento appena ne e autentico spettatore.
Parimenti possiamo dire che la sua potenza e la sua sapienza non sono nascoste nelle tenebre. Quando la baldanza dei perversi stimati invincibili è di colpo annientata, la loro arroganza domata, quando tutte le loro fortezze sono demolite e rase al suolo, le loro armi spezzate o distrutte, le loro forze spente, tutto quello che macchinavano sventato; in breve, quando sono distrutti dalla loro propria forza e impetuosità e la loro audacia che s’innalzava fino al cielo è sprofondata sotto terra; al contrario i poveri e disprezzati sono innalzati dalla polvere, gli umiliati tratti dal fango (Sl. 113:7), gli afflitti e oppressi sono sollevati dalle loro angosce, quelli che erano come perduti sono messi in piedi, i poveretti disarmati, pacifici, in minoranza, debolissimi e di nessun conto, riescono tuttavia vincitori dei loro nemici che li attaccavano con grande equipaggiamento, grande numero e grande forza, allora, vi domando, non dobbiamo forse vedere in questo la presenza di una potenza sovrumana e che scende dal cielo per rivelarsi quaggiù. La sapienza di Dio infine si manifesta abbastanza chiaramente nel regolare ogni cosa rettamente e perfettamente, nel confondere tutte le astuzie del mondo; sventando le mene dei più furbi (1 Co. 3:19), e infine nell’ordinare tutte le cose secondo la migliore disposizione che si possa pensare.
9. Vediamo così che non c’è bisogno di discutere a lungo né di proporre molti argomenti per mostrare quali testimonianze Dio ha messo ovunque, per manifestare e conservare la sua maestà. Da questa breve esposizione nella quale ho dato solo qualche esempio, appare che dovunque ci si volga esse saltano agli occhi e ci vengono incontro tanto da poter essere indicate col dito. Di nuovo dobbiamo notare qui come siamo invitati a una conoscenza di Dio diversa da quella immaginata da molti; che cioè non volteggia solo speculando nel cervello, ma abbia una linea ferma e produca il suo frutto, che sia rettamente intesa da noi e radicata nel cuore. Dio infatti si manifesta a noi nella sua potenza, e quando ne sentiamo la forza e il vigore e godiamo dei beni da lui largiti è logico siamo toccati molto più sul vivo che immaginando un Dio lontano da noi e incapace di raggiungerci con la sua mano. Da questo dobbiamo anche dedurre che la giusta via per cercare Dio, il migliore sistema che possiamo seguire, non è quello di riempirci di ardita curiosità nell’esaminare la sua maestà, che si deve adorare piuttosto che sondare con eccessiva curiosità; ma piuttosto di contemplano nelle sue opere attraverso le quali egli si rende vicino e familiare a noi e, per così dire, si comunica. A questo pensava san Paolo dicendo: non occorre cercarlo lontano, dato che abita in ciascuno di noi (At. 17:27). Parimenti Davide, dopo aver riconosciuto che la grandezza di Dio non si può descrivere, quando ne fa menzione dice che la descriverà (Sl. 145). Era questa la via che bisognava seguire per conoscere Iddio, tenendo i nostri spiriti in ammirazione ed essendone toccati vivamente. Come dice sant’Agostino in un passo: "Poiché non possiamo comprenderlo, sbigottiti dalla sua grandezza, dobbiamo guardare alle sue opere per essere edificati dalla sua bontà".
10. Questa conoscenza non solo deve incitarci al servizio di Dio, ma deve anche svegliarci e condurci alla speranza della vita futura. Sappiamo, infatti, che gli insegnamenti datici da Dio relativamente alla sua bontà e alla sua potenza sono parziali. Dobbiamo notare che in tal modo egli inizia una azione e ne rinvia la piena manifestazione all’altra vita. D’altra parte, vedendo che i buoni sono oltraggiati e oppressi dai malvagi, calpestati dalle loro ingiurie, coperti di calunnie, colpiti da beffe e obbrobri, mentre gli iniqui fioriscono, prosperano, godono di credito e tranquilli si riposano senza preoccupazioni, dobbiamo concluderne subito che ci sarà un’altra vita in cui l’iniquità avrà la sua punizione e la giustizia il suo salario. Anzi, dato che i credenti sono più spesso puniti dalla verga di Dio, tanto più certo è il fatto che i malvagi non sfuggiranno ai suoi castighi. C’è a questo proposito un singolare detto di sant’Agostino: "Se ogni peccato fosse chiaramente punito ora, si penserebbe che nulla è riservato all’ultimo giudizio ". E più oltre: "Se Dio non punisse già ora qualche peccato in modo esemplare, non si crederebbe che c’è una provvidenza".
Bisogna dunque riconoscere che in ogni singola opera di Dio e soprattutto nell’insieme dell’universo, il suo potere è raffigurato come in quadri e per mezzo di esso tutto il genere umano è invitato e indotto alla conoscenza di quel grande artefice, e così ad una piena e autentica felicità. Sebbene il potere di Dio sia così ritratto al vivo e risplenda nel mondo intero, tuttavia ne comprendiamo il fine, lo scopo, il significato solo rientrando in noi stessi e considerando in qual modo Dio manifesti in noi la sua vita, la sua sapienza e la sua forza ed eserciti verso di noi la sua giustizia, la sua bontà e la sua clemenza. Benché Davide deplori il fatto che non concentrano il loro spirito ad osservare i disegni profondi di Dio riguardo al governo del genere umano (Sl. 92:7), tuttavia è vera anche l’altra sua affermazione che la saggezza di Dio nel mondo è più alta dei capelli della nostra testa. Ma poiché questo argomento sarà trattato più diffusamente in seguito, per ora lo tralascio.
11. Sebbene Dio ci presenti con tanta chiarezza nello specchio delle sue opere tanto la sua maestà quanto il suo regno immortale, tuttavia noi siamo così tardi che rimaniamo all’oscuro e non tiriamo profitto di queste testimonianze così chiare ed esse svaniscono senza frutto. Per quanto riguarda la struttura del mondo sì meraviglioso, eccellente e ben regolato, chi di noi alzando gli occhi al cielo o facendoli passeggiare per tutte le regioni della terra volge il suo cuore al creatore o non piuttosto sì compiace di quanto vede, lasciandone però in disparte l’autore? Per quanto riguarda le cose che avvengono ogni giorno oltre l’ordine e il corso naturale, la maggior parte o quasi tutti gli uomini immaginano sia la ruota della Fortuna a girare e a farli muovere. Tutto insomma sarebbe spinto dal caso anziché essere governato dalla provvidenza di Dio. Anzi, condotti a volte, dallo svolgersi degli avvenimenti a considerarli guidati da Dio, il che può accadere a tutti, dopo aver concepito, di sfuggita, una qualche riflessione su di lui, ce ne torniamo subito ai nostri sogni e ce ne lasciamo trasportare, corrompendo la verità di Dio con la vanità nostra. Sotto un certo aspetto siamo diversi gli uni dagli altri, in quanto ciascuno si costruisce il proprio errore particolare, ma siamo fin troppo simili, apostati ribelli contro l’unico Dio per inseguire le nostre mostruose idolatrie. Questo vizio non corrompe solo gli spiriti del popolino ignorante ma anche oscura gli ingegni più nobili ed acuti. Quali sciocchezze, e quanto gravi, non furono dette, a questo proposito, dalla schiera tutta dei filosofi! Anche tralasciando la maggioranza che ha accumulato sciocchezze, che dire di Platone il quale, pur avendo maggior buon senso e religione degli altri, si perde tuttavia in quella figura tonda di cui fa la sua idea prima? E cosa poteva accadere agli altri se i maestri e i conduttori che avrebbero dovuto guidare il popolo hanno commesso errori sì grossolani? Così sebbene l’andamento delle cose umane argomenti chiaramente in favore della provvidenza di Dio, tanto che nessuno potrebbe negarla, tuttavia gli uomini non ne traggono conclusione diversa che se si dicesse: la Fortuna gira senza senso e i suoi cicli sono caotici. A tal punto la ,nostra natura è incline all’errore! Parlo sempre dei più stimati per sapienza e virtù, non di quegli svergognati la cui furia si è scagliata sempre più a profanare la verità di Dio.
Di qui è nato quel mare infinito di errori che ha sommerso il mondo intero; lo spirito di ognuno e come in un labirinto talché non c’è da stupirsi se i popoli sono stati distratti in molte fantasticherie, ed ogni uomo si è fatto i suoi propri dei. Infatti la temerarietà e l’audacia assommandosi all’ignoranza e alle tenebre è difficile trovarne uno solo che non si sia foggiato qualche idolo o fantasma al posto di Dio. Come le acque zampillano da una ricca sorgente, così una schiera innumerevole di dei è uscita dal cervello degli uomini, a seconda che ciascuno si smarrisce nel pensare follemente questo o quello di Dio. Non è il caso di stabilire qui la lista o l’enumerazione delle superstizioni in cui il mondo si è smarrito, visto che non ci sarebbe fine. Anche senza parlarne è chiaro, dal numero di errori e inganni, quale cecità regni nello spirito degli uomini.
Non mi riferisco ai popolani, alla gente semplice e senza cultura; ma non è forse deplorevole la diversità di opinioni esistente tra i filosofi? Hanno voluto oltrepassare i cieli con la loro ragione e la loro scienza, in virtù della loro intelligenza hanno cercato di essere sempre più abili e si sono anche procurata la reputazione di saper rivestire e arricchire la loro fantasia. Quando però li si esamina da vicino ci si accorge che tutto questo altro non è che cerone che si scioglie. Gli Stoici hanno creduto di aver trovato la fava nella torta, come si dice, pretendendo che dalle diverse parti della natura si possano trarre differenti nomi di Dio senza tuttavia dividere e lacerare la sua essenza, quasi non fossimo già abbastanza inclini alla vanità senza che ci sia bisogno di proporci una multicolore schiera di dei, per trascinarci ancora più lontano negli errori! La teologia degli Egiziani, che hanno detto esoterica, mostra come hanno speso cure e zelo e si sono dati da fare affinché nessuno potesse accusarli senza buona ragione di essere insensati. E tuttavia i semplici ed inesperti rimarrebbero senz’altro ingannati dalle loro affermazioni: ogni trovata umana ha sempre avuto il risultato di corrompere rozzamente e pervertire la religione. Questa confusa varietà ha incoraggiato l’audacia degli Epicurei e degli atei, profani sprezzatori della religione, nel respingere ogni sentimento di Dio. Vedendo infatti i più saggi ed equilibrati disputarsi e dividersi in opinioni contrarie, guidati dai loro discorsi o dalla propria opinione frivola e assurda non hanno esitato a trarre la conclusione che gli uomini si tormentano senza scopo e stupidamente quando si preoccupano di un Dio che non esiste. Hanno pensato che questo fosse loro lecito, perché vale meglio negare Dio chiaro e tondo che creare degli dei incerti e poi suscitare dispute senza soluzione. Veramente queste persone discutono troppo rozzamente, o piuttosto si servono dell’ignoranza altrui come di una nube per nascondere la loro empietà; noi non possiamo togliere nulla a Dio anche se ne parlano con impertinenza. Ma poiché i pagani hanno riconosciuto che esiste il massimo disaccordo sia tra i sapienti che tra gli ignoranti su questo punto, se ne può dedurre che l’intelletto umano è ottuso e cieco di fronte ai segreti di Dio, visto che tutti si sbagliano in modo così grossolano e non sanno trovare un accordo. Alcuni lodano la risposta di un poeta pagano chiamato Simonide, il quale interrogato a proposito di Dio dal re lerone chiese il termine di un giorno per pensarci l’indomani, di nuovo interrogato, raddoppiò il termine; e dopo aver così rimandato per un po’, alla fine rispose che più si impegnava più trovava la cosa oscura. In questo caso un povero incredulo ha prudentemente sospeso il suo giudizio su quanto gli era sconosciuto. Ne risulta che se gli uomini sono guidati solo dalla natura non avranno nulla di certo, di stabile, di chiaro ma rimarranno attaccati semplicemente al generico principio di adorare qualche dio sconosciuto.
12. Bisogna notare che quanti imbastardiscono la religione, come accade a tutti quelli che seguono la loro fantasia, si separano dal vero Dio e si ribellano a lui. Pretenderanno certo di non averne l’intenzione, ma non si tratta di giudicare in base alle intenzioni o alle convinzioni; lo Spirito Santo dichiara che tutti sono apostati perché nelle loro tenebre oscure immaginano dei diavoli al posto di Dio. Per questa ragione san Paolo afferma che gli Efesini sono stati senza Dio fino a quando hanno appreso dall’Evangelo quale Dio bisogna adorare (Ef. 2:12). Questo non è limitato ad un solo popolo, dato che altrove afferma: tutti gli uomini mortali si sono smarriti nei loro pensieri, sebbene la maestà del Creatore fosse loro manifesta nell’edificio del mondo (Ro. 1:21). La Scrittura per dare al Dio vero e unico il suo posto insiste con forza nel condannare quanto è stato considerato divino tra i pagani e non fa eccezione che per il Dio adorato sulla montagna di Sion (Ab. 2:18-20) perché in questo caso vi era una dottrina particolare per mantenere gli uomini in purezza. Al tempo del nostro Signore Gesù Cristo non e era popolo in terra, eccetto gli Ebrei, che più dei Samaritani sì avvicinasse alla retta pietà. Eppure vediamo che sono biasimati da Gesù Cristo per non sapere ciò che adorano 21; erano dunque nell’errore. In breve, sebbene non tutti siano stati immersi in errori così gravi ed enormi né siano caduti in così manifeste idolatrie, tuttavia non c’è alcuna religione fondata sul solo senso comune degli uomini che sia pura o corretta. E se anche una minoranza non ha deviato così pazzamente come la massa, permane vero il detto di san Paolo: la saggezza di Dio non e compresa dai più eccellenti del mondo (I Co. 2:8). Ora se i più intelligenti e acuti si sono così smarriti nelle tenebre, cosa si dovrà dire della gente comune che e come la feccia o il fango? Non bisogna dunque meravigliarsi se lo Spirito Santo ha respinto ogni culto a Dio concepito dalla immaginazione degli uomini, considerandolo come bastardo e corrotto; dato che ogni opinione concepita dagli uomini riguardo ai misteri di Dio anche se non contiene sempre una grande quantità di errori, non cessa peraltro di produrne. E quand’anche tutto il male si riducesse a questo, non sarebbe vizio da perdonare quello di adorare a caso un Dio sconosciuto. Ora tutti coloro che non hanno imparato dalla Sacra Scrittura quale Dio si convenga servire sono condannati per questa temerarietà da Gesù Cristo (Gv. 4:22). I saggi governanti che hanno formulato leggi e ordinamenti, non hanno potuto fare a meno di basarsi su qualche religione fondata sul consenso popolare. Anzi Senofonte, stimatissimo filosofo, loda il responso con cui Apollo comandò che ciascuno servisse Dio nel modo seguito dai padri e secondo l’uso e i costumi della propria città. Ora chi darà ai mortali l’autorità di pronunciare definizioni, secondo la loro opinione, in una materia che ci supera? O chi potrà basarsi su quanto è stato ordinato e disposto dai padri per ricevere, senza dubbi né scrupoli, un Dio tramandato dagli uomini? Ciascuno si atterrà al proprio giudizio piuttosto che assoggettarsi all’opinione altrui. Se dunque seguire la prassi di un paese o l’antichità è un motivo troppo debole e fragile per vincolarsi alla religione, ne consegue la necessità che Dio parli lui stesso dal cielo per testimoniare di sé.
13. Ecco dunque tante belle luci accese nel mondo per farci vedere la gloria di Dio, che brillano invano. Esse ci circondano con i loro raggi ma non ci possono condurre alla retta via. È vero che esse fanno scaturire qualche scintilla, ma il tutto si spegne prima di diventare luce permanente. Perciò l’Apostolo dopo aver esposto come il mondo sia una immagine o spettacolo di cose invisibili, aggiunge subito dopo: per fede si riconosce che esso è stato così ben ordinato e regolato dalla parola di Dio (Eb. 11:3). Intende dire con queste parole che sebbene la maestà invisibile di Dio sia manifestata in questo specchio, noi tuttavia non abbiamo gli occhi per contemplarla finché non siamo illuminati dalla rivelazione segreta dataci dall’alto. Anche san Paolo dicendo: quanto è necessario conoscere di Dio è evidente nella creazione del mondo (Ro. 1:19) non intende parlare di un genere di manifestazione che possa essere compreso dall’intuizione degli uomini. Ma piuttosto afferma: essa non serve ad altro che a renderli inescusabili. E sebbene in un testo affermi non doversi cercare Dio molto lontano, poiché egli abita in noi (At. 17:27), altrove mostra a che serva questa stretta vicinanza: Dio, dice, ha lasciato finora camminare i popoli secondo le loro vie, e tuttavia non li ha lasciati senza testimonianza, mandando loro la pioggia dal cielo e le annate fertili, riempiendo di nutrimento e di gioia la vita de gli uomini (At. 14:16). Sebbene dunque Dio non sia privo di testimoni e con i suoi atti di bontà inviti dolcemente gli uomini a conoscerlo, essi non cessano per questo di seguire le loro vie cioè i loro errori mortali. 14. Sebbene ci manchi la facoltà naturale per guidarci ad una pura e chiara conoscenza di Dio, non per questo siamo scusati dato che il vizio di questa ottusità risiede in noi, e non possiamo invocare la nostra ignoranza. La nostra stessa coscienza ci redarguirebbe per l’ingratitudine oltre che per la pigrizia. È una povera difesa, indegna di essere accolta, che l’uomo, dotato di intendimento, pretenda di non aver orecchie per udire la verità quando le creature mute hanno voce alta e chiara per proclamarla; o pretenda di non aver potuto vedere con i suoi occhi ciò che le creature senza vista gli hanno mostrato, voglia giustificarsi con i limiti del proprio spirito quando le creature senza ragione né sentimento gli sono maestre per istruirlo. Non abbiamo dunque scusa per il nostro errare vagabondo: ogni cosa ci mostra il retto cammino.È certo da imputare agli uomini la corruzione del seme che Dio ha piantato nei loro cuori al fin di farsi conoscere attraverso l’ammirevole opera della natura, di sorta che essa non porta mai un frutto intero e maturo. Quanto abbiamo detto resta pero vero: non siamo sufficientemente istruiti dalla sola testimonianza, pur magnifica, che le creature rendono alla gloria di Dio. Infatti subito dopo aver sperimentato, sia pure in modo superficiale e rapido, il gusto della divinità, contemplando il mondo, abbandoniamo il vero Dio e al suo posto innalziamo i nostri sogni e i nostri fantasmi e sottraiamo alla sorgente della saggezza, della giustizia, della bontà e della virtù la lode che gli è dovuta per attribuirla ad altri. Quanto alle sue opere ordinarie, ovvero le oscuriamo o le neghiamo con il nostro giudizio perverso, di sorta che esse non sono lodate come meriterebbero e il loro autore è anch’egli frodato della sua lode.
CAPITOLO VI
PER GIUNGERE A DIO IL CREATORE OCCORRE CHE LA SCRITTURA CI SIA GUIDA E MAESTRA
1. La luce che si presenta agli uomini in alto e in basso, nel cielo e sulla terra non serve dunque ad altro che a rendere inescusabile la loro ingratitudine; Dio ha voluto offrire in tal modo la propria maestà a tutti senza eccezione per condannare il genere umano rendendolo inescusabile. È necessario dunque che un mezzo diverso e migliore intervenga per farci pervenire a Dio nel modo giusto e dovuto. Non invano egli ha voluto ricorrere alla chiarezza della parola per farsi conoscere a fin di salvezza sebbene sia questo un privilegio da lui concesso per grazia a coloro che ha voluto raccogliere più vicino a se e con più famigliarità. Sapendo che l'intelligenza umana è condotta e agitata costantemente, qua e là, da molte erronee leggerezze, dopo aver eletto gli Ebrei come suo gregge particolare li ha rinchiusi come in un parco, affinché non si sbandassero come gli altri. E oggi, non senza motivo, ci vuole contenere con lo stesso mezzo nei limiti della pura conoscenza della sua maestà, perché altrimenti quegli stessi che sembrano i più sicuri tosto verrebbero meno. I vecchi lacrimosi o quanti, per qualsiasi causa, hanno gli occhi deboli, quando si presenta loro un bel libro, anche con caratteri molto chiari, con fatica riescono a leggere due parole di seguito senza occhiali: ma una volta messili ne saranno aiutati per leggere distintamente. Così la Scrittura, raccogliendo nei nostri spiriti la conoscenza di Dio che altrimenti sarebbe confusa e sparsa, abolisce l'oscurità per mostrarci chiaramente qual è il vero Dio. Dono singolare di Dio è il fatto che per istruire la sua Chiesa egli non adoperi solamente quei maestri muti di cui abbiamo parlato, cioè le opere che ci mostra, ma si degni anche aprire la sua santa bocca; non solo per far sapere pubblicamente che dobbiamo adorare un Dio, ma anche per annunciare di esser lui quel Dio. Non solo insegna ai suoi eletti a guardare a Dio, ma propone se stesso ogni volta affinché guardino a lui. Ha tenuto fin dal principio questo atteggiamento nei riguardi della Chiesa, di proporre la sua Parola oltre agli insegnamenti suaccennati, onde servisse di segno più sicuro per distinguerlo da tutti gli dèi inventati. Non c'è dubbio che Adamo, Noè, Abramo e gli altri padri siano giunti con questo mezzo alla conoscenza più sicura e intima, che li ha distinti dagli increduli. Io non mi riferisco ancora alla fede, nella quale sono stati illuminati per la speranza della vita eterna; infatti per passare dalla morte alla vita è stato loro necessario non solo conoscere Dio come creatore ma anche come redentore, e questa duplice conoscenza la trovarono nella Parola.
La conoscenza, attraverso alla quale è stato loro dato di sapere chi era il Dio che ha creato il mondo e lo governa, è venuta prima: in séguito è venuta quella più personale e che porta con se la fede piena. Questa sola vivifica le anime, attraverso ad essa Dio è conosciuto non solo come creatore del mondo avente autorità e responsabilità su tutto ciò che accade, ma anche come redentore nella persona del nostro Signore Gesù Cristo. Siccome però non siamo ancora giunti a trattare della caduta dell'uomo e della corruzione della nostra natura, rimando altresì la trattazione del rimedio. I lettori si ricordino dunque: considerando come Dio sia conosciuto per mezzo della sua parola non affronto ancora il problema del patto e delle promesse mediante le quali Dio ha voluto adottare i figli di Abramo, e neanche della dottrina per cui i credenti sono stati giustamente separati dai profani, perché questa parte è fondata su Gesù Cristo.
Per ora intendo solo esporre come conviene discernere, per mezzo della Scrittura, il vero Dio creatore da tutta la folla degli idoli che il mondo si è foggiato, in modo che ci siano segni distintivi sicuri; in séguito la successione stessa ci condurrà a parlare del Redentore. Citerò parecchie testimonianze tanto del Nuovo Testamento che della Legge e dei Profeti nelle quali è menzionato il nostro Signore Gesù Cristo; ma il tutto tende per ora a mostrare solamente che la Scrittura annuncia Dio come architetto dell'universo ed espone quanto dobbiamo conoscere di lui affinché non ci tormentiamo cercando qua e là un qualche Dio incerto.
2. Sia che abbia manifestato la sua volontà mediante quelle che son chiamate visioni o oracoli, vale a dire testimonianze celesti, sia che abbia ordinato degli uomini quali ministri per istruire direttamente i propri successori, certo Dio ha impresso nei loro cuori tale certezza di insegnamenti da far sì che fossero persuasi e comprendessero che quanto era loro rivelato e predicato procedeva dal vero Dio. Per questo ha sempre ratificato la sua parola affinché la fede vi aderisse al di sopra di ogni opinione umana. Infine, affinché la verità rimanesse in vigore in continuità di secolo in secolo e fosse conosciuta sulla terra, ha voluto che le rivelazioni affidate alle mani dei padri come in deposito fossero registrate. A questo scopo ha fatto pubblicare la sua legge, alla quale ha in seguito aggiunto i profeti per spiegarla. Sebbene la dottrina della Legge abbia molte applicazioni, come vedremo a suo tempo e Mosè e i profeti abbiano soprattutto insistito a mostrare come gli uomini siano riconciliati con Dio (e anche san Paolo chiama Gesù Cristo il termine della Legge: (Ro. 10.4) , tuttavia, avverto di nuovo il lettore che oltre la dottrina della fede e della penitenza, che ci presenta Gesù Cristo come mediatore, la Scrittura ha in vista di magnificare il vero e unico Dio, il quale ha creato il mondo e lo governa con segni e manifestazioni notevoli onde non essere confuso con la schiera dei falsi dèi. Sebbene dunque gli uomini debbano aprire gli occhi per contemplare le opere di Dio, dato che ne sono stati fatti spettatori e il mondo è disposto davanti a loro come un teatro a questo scopo, tuttavia l'importante è di avere le orecchie aperte per essere attenti alla Parola. Non bisogna meravigliarsi se gli uomini nati nelle tenebre si irrigidiscono sempre più nella loro stupidità e sono così pochi ad essere docili alla parola di Dio ed a mantenersi nei limiti che essa impone loro; i più folleggiano, senza limiti, nella loro vanità.
Ecco dunque il punto fermo: per essere illuminati e progredire nella vera religione bisogna cominciare dalla dottrina celeste e nessuno può avere conoscenza della sana dottrina della conoscenza di Dio fino a quando non sia stato a quella scuola, istruito dalla Sacra Scrittura, poiché il principio di ogni retta intelligenza si ha quando accogliamo con riverenza quanto Dio vi ha voluto testimoniare di se stesso. Non solamente la fede, nell'insieme e nelle singole sue parti, ma anche tutto quello che dobbiamo conoscere di Dio nasce dall'obbedienza. E infatti egli ha usata una singolare provvidenza a profitto degli uomini di tutte le epoche, con il mezzo di cui ora trattiamo.
3. Se consideriamo quanto sia fragile lo spirito umano ed incline a dimenticare Dio, quanto è facile per lui cadere in ogni tipo di errore, da quali istinti sia spinto nel foggiarsi strane credenze, si potrà comprendere quanto sia stato necessario per Dio avere i suoi documenti autentici in cui scrivere la sua verità onde essa non perisse per dimenticanza né venisse meno per errore e non fosse corrotta dalla temerarietà degli uomini. Essendo dunque evidente che Dio ha voluto istruire fruttuosamente gli uomini servendosi dell'aiuto della sua parola, specialmente vedendo la poca efficacia della sua immagine scolpita tutto intorno nel mondo, se desideriamo contemplarlo puramente dobbiamo tenere la stessa via. Dobbiamo rivolgerci alla sua parola, dico, e attenerci ad essa, là dove Dio è rettamente mostrato e dipinto al vivo nelle sue opere. Allora esse sono valutate come si conviene, vale a dire in rapporto alla verità immutabile che ne è la norma e non secondo la perversità del nostro giudizio. Se noi deviamo da questa via, per veloci che corriamo, come ho già detto, mai giungeremo allo scopo, dato che la nostra corsa sarà in direzione errata e fuori strada. Dobbiamo infatti ricordare che lo splendore della gloria di Dio, da san Paolo chiamata inaccessibile (1Ti. 6.10) , sarà come un labirinto che ci conduce da ogni parte, se non abbiamo nella Parola la nostra guida; di sorta che conviene zoppicare in questa via piuttosto che correre ben veloci fuori strada. Davide per insegnare che le superstizioni saranno cancellate dal mondo e la vera religione vi fiorirà, ci presenta spesso Dio come re (Sl. 93; 96; 97; 99 e altri simili) intendendo con tale termine " regno " non solo il dominio che egli possiede ed esercita guidando il corso della natura ma anche la dottrina il cui scopo è di stabilire il suo governo particolare affinché ci si sottometta a lui. Gli errori non potranno mai essere sradicati dal cuore degli uomini fintantoché una vera conoscenza di Dio vi sia radicata.
4. Perciò lo stesso Profeta dopo aver detto che i cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento l'opera delle sue mani (Sl 19.1) e che l'ordine continuo e alternato dei giorni e delle notti predica la sua maestà, menziona la Parola dicendo: " La legge di Dio è senza macchia, converte le anime; la testimonianza del Signore è fedele, dà saggezza ai semplici; i giudizi dell'Eterno sono verità e rallegrano il cuore; il comandamento di Dio è chiaro; illumina gli occhi ". Sebbene alluda anche ad altri significati della Legge in generale, vuole significare che Dio, non avendo tratto alcun frutto dall'invito rivolto a tutti i popoli attraverso la visione del cielo e della terra, ha preparato questa scuola particolare per i suoi figliuoli.
In questo senso va inteso anche il Salmo 29 in cui il Profeta dopo aver parlato della voce terribile di Dio che si ode nei tuoni, nei venti, nelle tempeste, nei turbini, nella grandine e quando la terra trema e crollano le montagne e si schiantano i cedri, alla fine aggiunge come conclusione: gli si cantino lodi nel suo santuario, intendendo con ciò che gli increduli sono sordi alla voce di Dio che risuona nell'aria. Così nell'altro Salmo dopo aver descritto quanto sono terribili le onde del mare, conclude:" Signore le tue testimonianze sono veraci, la bellezza del tuo tempio è la santità permanente " (Sl. 93.5) . Nella stessa intenzione nostro Signore rimproverava la samaritana affermando che il suo popolo e tutti gli altri popoli adoravano quel che non conoscevano e solo i Giudei servivano al vero Dio (Gv. 4.22) . Dato che l'intelletto umano per la sua debolezza non può in alcun modo pervenire a Dio quando non sia aiutato ed innalzato dalla sua santa Parola, non poteva accadere altrimenti che tutte le creature mortali, eccettuati gli Ebrei, cercando Iddio senza questo aiuto necessario, si smarrissero nell'errore e nella vanità.
CAPITOLO VII
LA SCRITTURA CI DEVE ESSERE CONFERMATA DALLA TESTIMONIANZA DELLO SPIRITO SANTO, AFFINCHÉ NE TENIAMO PER CERTA L'AUTORITÀ: ED È STATA UNA EMPIETÀ MALEDETTA AFFERMARE CHE ESSA È FONDATA SUL GIUDIZIO DELLA CHIESA
1. Prima di continuare è necessario inserire a questo punto alcuni avvertimenti riguardo alla autorità della Scrittura, non solo per preparare i cuori a portarle riverenza, ma per togliere ogni incertezza e dubbio. Quando si dia per certo che la dottrina insegnata è parola di Dio, nessuno risulterà sì audace, a meno di essere del tutto insensato e addirittura dimentico di ogni umanità, da osar rigettarla come se non vi si dovesse prestar fede. Dio però non parla ogni giorno dal cielo e non ci sono che le Scritture in cui egli ha voluto manifestare la sua verità per farla conoscere fino in fondo; esse possono aver pieno valore presso i credenti se questi tengono per certo e sicuro che esse sono scese dal cielo, quasi vi ascoltassero Dio parlare per bocca propria. L'argomento è degno di essere trattato più a lungo e pesato più accuratamente; ma i lettori vorranno scusare se mi preoccupo di seguire il filo del discorso che mi son proposto anziché trarre tutte le deduzioni da questo argomento particolare. Errore comune e assai pericoloso è quello di attribuire alla Sacra Scrittura tanta autorità quanta gliene attribuisce la Chiesa per unanime consenso, quasi la verità eterna ed inviolabile di Dio fosse fondata sulla fantasia degli uomini. Questa è infatti la domanda che fanno, beffandosi dello Spirito Santo: chi ci renderà certi che questa dottrina sia proceduta da Dio; Chi ci garantisce che sia pervenuta sana e intera fino al nostro tempo? Chi ci persuaderà ad accettare un libro e respingerne un altro senza contraddizione, se la Chiesa non ne dà la regola infallibile? E così concludono che tutto il rispetto dovuto alla Scrittura e la facoltà di scegliere tra i libri apocrifi dipende dalla Chiesa. Questi sacrileghi infami aspirando in questo modo a creare una tirannia smodata sotto il nome di Chiesa, non si preoccupano di invischiare nelle assurdità se stessi e quelli che li vogliono ascoltare. Vogliono solo averla vinta su questo punto. la Chiesa può tutto. Ora se le cose stanno così, che accadrà alle povere coscienze alla ricerca di una certezza di vita eterna, se tutte le promesse datene hanno come sola base e garanzia il beneplacito degli uomini? Quando si dirà loro che la Chiesa ha così deciso, si potranno accontentare di questa risposta? D'altra parte a quali ironie e derisioni degli increduli sarà esposta la nostra fede e quanto dubbia sarà considerata se essa è ritenuta non avere altra autorità che quella prestatale dalla buona grazia degli uomini?
2. Questi imbrogli sono rimessi a posto da una sola parola dell'Apostolo allorché afferma che la Chiesa è fondata sogli Apostoli e sui Profeti (Ef. 2:20) . Se il fondamento della Chiesa è rappresentato dalla dottrina che ci hanno lasciata i profeti e gli apostoli, occorre che tale dottrina risulti certa prima che la Chiesa cominci ad esistere. Non si tratta di cavillare dicendo sebbene la Chiesa tragga la sua origine e la sua fonte dalla parola di Dio, permarrà, tuttavia, sempre il dubbio riguardo alla apostolicità e profeticità di una dottrina, fintantoché la Chiesa non sia intervenuta. Se la Chiesa cristiana in ogni tempo è stata fondata sulla predicazione degli Apostoli e sui libri dei Profeti ciò significa che la validità di questa dottrina ha preceduto la Chiesa, la quale su di essa è edificata; così come le fondamenta precedono l'edificio. È dunque vana fantasticheria attribuire alla Chiesa il diritto di giudizio sulla Scrittura, come se ci si dovesse tenere a quello che gli uomini hanno stabilito per sapere se è parola di Dio oppure no. La Chiesa, ricevendo la Sacra Scrittura e garantendola con il suo riconoscimento non la autentica, quasi fosse stata, prima di allora, dubbia o contestata; ma riconoscendola come pura verità del suo Dio la venera e la onora com'è necessario per dovere di pietà.
Riguardo alla domanda di quelle canaglie, da che cosa e come saremmo noi persuasi che la Scrittura è proceduta da Dio se non ci valiamo della decisione della Chiesa, è come se qualcuno ci chiedesse come facciamo a discernere la luce dalle tenebre, il bianco dal nero, il dolce dall'amaro. Infatti la Scrittura è in grado di farsi riconoscere per virtù potente e infallibile, così come le cose bianche o colorate mostrano il loro colore e le cose dolci o amare il loro sapore.
3. So bene che si ha l'abitudine di citare la parola di sant'Agostino, secondo cui egli non crederebbe all'Evangelo se l'autorità della Chiesa non ve lo inducesse. Ma dal contesto è facile comprendere quanto sia sciocca e perversa questa interpretazione. Il santo Dottore doveva combattere contro i Manichei i quali pretendevano che si prestasse fede ai loro sogni, senza discutere, in quanto possedevano la verità senza però dimostrarlo. Dato che per appoggiare il loro maestro Mani si servivano dell'Evangelo, sant'Agostino domanda loro che atteggiamento terrebbero se si trovassero a discutere con qualcuno che non credesse allo stesso Evangelo e quali argomenti utilizzerebbero per convincerlo. Poi aggiunge: "Quanto a me, non crederei affatto all'Evangelo senza esservi spinto dall'autorità della Chiesa ". Con questo egli vuol dire che quando era ancora pagano ed estraneo alla fede forse non sarebbe stato condotto ad abbracciare l'Evangelo, come verità certa di Dio se non fosse stato vinto dall'autorità della Chiesa. Ora non c'è da meravigliarsi se qualcuno, non avendo ancora conosciuto Gesù Cristo, tiene conto degli uomini. Sant'Agostino dunque non afferma che la fede dei figli di Dio sia fondata sull'autorità della Chiesa e non intende dire che la certezza dell'Evangelo dipenda da essa; vuol solo ricordare che gli increduli non potranno essere indotti a lasciarsi vincere da Gesù Cristo se non ne saranno spinti dal consenso della Chiesa. Lo conferma poco dopo dicendo: "Quando avrò lodato ciò che credo e mi sarò beffato di ciò che credete, o Manichei, cosa dovremmo fare se non abbandonare quanti ci invitano a conoscere cose certe ma poi vogliono si accetti quel che è incerto? Ci conviene piuttosto seguire quanti ci esortano a credere prima di tutto quel che possiamo anche comprendere, affinché essendo fortificati nella fede comprendiamo alla fine quello che avevamo creduto. E questo non per mezzo degli uomini ma in quanto Dio confermerà e illuminerà interiormente le nostre anime".
Ecco le parole esatte di sant'Agostino, da cui appare chiaramente che mai egli pensò di sottomettere la nostra fede ai desideri degli uomini stornandola dall'unico fondamento della Scrittura. Egli ha voluto solamente mostrare che quanti non sono ancora illuminati dallo Spirito di Dio sono indotti dal rispetto per la Chiesa ad una certa qual docilità, in vista di ricevere l'annuncio di Gesù Cristo attraverso l'Evangelo; e in tal modo l'autorità della Chiesa è come un'apertura per condurre gli ignoranti e prepararli alla fede nell'Evangelo; come anche noi affermiamo. E d'altronde vediamo che sant'Agostino pretende una ben altra fermezza nella fede, di quella che si potrebbe ricavare da una decisione umana.
Non nego del resto che egli spesso opponga ai Manichei l'autorità della Chiesa desiderando affermare la verità della Scrittura da essi negata. A questo tende il rimprovero rivolto a Fausto, appartenente a quella setta, perché non si sottomette alla verità evangelica, così ben fondata e salda, così famosa e accertata e accettata per continua successione dal tempo degli apostoli.
Ma mai e in nessun modo egli pretende che la venerazione per la Scrittura dipenda dal volere o dal giudizio degli uomini. Egli menziona il consenso universale della Chiesa solo per mostrare l'autorità che la parola di Dio ha sempre avuto. Se qualcuno ne desidera una più ampia esposizione legga il suo trattato: Dell'utilità del credere dove troverà che egli ci ordina di essere creduli, vale a dire facili ad accettare quanto gli uomini ci insegnano, solo per darci come una introduzione ad andare più avanti e ad informarci più a fondo, come lui stesso dice. Ma poi non vuole ci si limiti all'opinione così raggiunta, ma ci si fondi su una conoscenza certa e ferma della verità.
4. Dobbiamo ricordarci quanto ho detto dianzi: mai avremo fede stabile nella dottrina finché non saremo convinti, senza ombra di dubbio che Dio ne è l'autore. Per questo la prova decisiva dell'autorità della Scrittura è comunemente tratta dalla persona di Dio che in essa parla. I profeti e gli apostoli non si vantano affatto del loro acume, del loro alto sapere, di tutto quanto procura credito agli uomini, né insistono su argomenti naturali; ma per sottomettere tutti gli uomini e renderli docili mettono avanti il nome sacro di Dio.
Resta ora da vedere come discernere, non in base ad opinioni superficiali ma alla verità, se il nome di Dio non è chiamato in causa erroneamente o alla leggera. Se vogliamo preoccuparci delle coscienze, e far sì che non siano travagliate continuamente da dubbi e questioni superficiali, né incespichino o siano turbate, è necessario che le garanzie di cui abbiam detto siano cercate più in alto delle ragioni, dei giudizi o delle congetture umane: vale a dire siano cercate nella testimonianza segreta dello Spirito Santo.
Quando volessi discutere questa causa con ragioni e argomentazioni potrei proporre parecchi motivi per dimostrare che se c'è un Dio in cielo, da lui provengono la Legge ed i Profeti. Quand'anche i più grandi e i più abili saggi del mondo si levassero contro e applicassero tutto il loro intelletto per sostenere il contrario, tuttavia, a meno di essere incalliti in una totale impudenza, si strapperà loro il riconoscimento di segni manifesti che mostrano come Dio parli attraverso la Scrittura e che di conseguenza la dottrina contenutavi è celeste. E vedremo che i libri della Sacra Scrittura superano di molto in eccellenza tutti gli altri scritti, tanto che se ci avviciniamo con occhi puri e sentimenti integri, subito ci apparirà la maestà di Dio e domerà ogni audacia nel contraddirla, costringendoci ad obbedirle.
Tuttavia quanti si sforzano di sostenere la fede nella Scrittura per mezzo di dispute invertono l'ordine. l: vero che ci sarà sempre di che sconfiggere i nemici: e per quanto mi riguarda, sebbene io non sia dotato di abilità e facondia quanto sarebbe desiderabile, tuttavia dovessi condurre questa disputa con i più abili spregiatori di Dio che desiderano essere considerati sottili ragionatori e polemisti tanto forti da rovesciare la Scrittura, penso che non mi sarebbe difficile abbattere il loro orgoglio. E se fosse utile refutare tutte le falsità e le malizie non avrei grande difficoltà a mostrare che tutte le vanterie preparate di nascosto sono solamente fumo.
Ma quand'anche avessimo mantenuto la sacra parola di Dio contro ogni critica e calunnia dei malvagi, non vuol dire che per questo avremmo impresso certezza di fede nei cuori, come la pietà richiede; perché i profani pensano la religione consista solamente in opinioni. E non volendo credere scioccamente e alla leggera domandano si provi loro per mezzo della ragione che Mosè e i Profeti sono stati ispirati da Dio a parlare. A questo io rispondo che la testimonianza dello Spirito Santo è più eccellente di ogni ragione e pur essendo Dio solo testimone di se stesso nella Parola, tuttavia questa Parola non otterrà fede alcuna nei cuori degli uomini se non sarà suggellata dalla testimonianza interiore dello Spirito. [i necessario dunque che lo stesso Spirito che ha parlato per bocca dei profeti entri nei nostri cuori e li tocchi al vivo onde persuaderli che i profeti hanno fedelmente esposto quanto era loro comandato dall'alto. Questo rapporto è espresso benissimo da Isaia quando dice: " Il mio spirito che riposa su te e le mie parole che ho messe nella tua bocca e nella bocca della tua progenie non verranno mai meno," (Is 51:16) . C'è della brava gente che vedendo gli increduli e i nemici di Dio blaterare contro la Parola sono dispiaciuti di non aver in mano una prova efficace per chiudere loro immediatamente la bocca. Ma sbagliano nel non considerare chiaramente che lo Spirito è chiamato " sigillo " e " arra " per confermare la nostra fede; mentre i nostri spiriti non fanno che ondeggiare nei dubbi e nelle inquietudini finché non siano illuminati.
5. Sia dunque chiaro questo punto: riposa sulla Scrittura con ferma sicurezza solo chi è stato illuminato dallo Spirito Santo. Sebbene essa rechi in se le sue credenziali per essere ricevuta senza contestazione e senza essere sottomessa a prove o discussioni, tuttavia essa ottiene il credito che merita per la testimonianza dello Spirito. Sebbene infatti essa abbia nella propria maestà di che essere venerata, tuttavia incomincia a toccarci veramente quando è suggellata nei nostri cuori dallo Spirito Santo.
Illuminati dalla virtù di lui, non più in base al nostro giudizio né a quello degli altri riteniamo la Scrittura essere da Dio; ma sopra ogni giudizio umano riteniamo per certo che essa ci è stata data dalla stessa bocca di Dio, attraverso il ministero degli uomini; come se contemplassimo in essa con i nostri occhi l'essenza di Dio. Non cerchiamo argomenti o verosimiglianze su cui fondare il nostro giudizio, ma ad essa sottomettiamo il nostro giudizio e la nostra intelligenza come ad una realtà che esula dalla necessità di essere giudicata. Non come gente abituata a ricevere con leggerezza cose che non conosce e che dopo averle conosciute se ne dispiace, ma certissimi di avere in essa la verità inoppugnabile. Non come gli ignoranti, abituati a lasciar vincolare il loro spirito dalle superstizioni, ma perché sentiamo apparire in essa la forza palese della divinità, dalla quale siamo attirati ed infiammati ad obbedire scientemente e volontariamente con maggior efficacia che in base alla volontà o alla scienza umana. A buon diritto dunque Dio afferma, per mezzo di Isaia, che i profeti con tutto il popolo gli sono testimoni sufficienti (Is. 54.13) lo perché essi sapevano che la dottrina loro annunciata veniva da lui e non lasciava posto a dubbi o discussioni.
Si tratta dunque di una convinzione che non chiede motivazioni e tuttavia di una conoscenza fondata su un'ottima ragione, cioè che il nostro spirito vi si riposa con fiducia e sicurezza maggiore che su ogni altro argomento; questo sentimento in definitiva non può che essere generato da una celeste rivelazione. Non dico nulla di diverso da quanto ciascun credente esperimenta in se: ma le parole sono molto inferiori alla dignità dell'argomento e non sono sufficienti per spiegarlo bene. Mi astengo dal trattarne più a lungo perché l'occasione si offrirà di parlarne di nuovo altrove. Per il momento accontentiamoci di sapere che non c'è vera fede all'infuori di quella che lo Spirito Santo suggella nei nostri cuori. Ogni uomo docile e modesto si accontenterà di questo.
Isaia promette a tutti i figli della Chiesa, quando essa sarà stata rinnovata, di essere discepoli di Dio. È un privilegio particolare che Dio ha preparato per discernere i suoi eletti tra il genere umano. Qual è infatti l'inizio della vera scienza se non una prontezza e un franco coraggio nel ricevere la parola di Dio? È necessario udirlo dalla bocca di Mosè, secondo quanto è scritto: " Chi salirà al cielo o scenderà negli abissi? La parola è nella tua bocca " (De 30.10) . Se Dio ha voluto riservare ai suoi figli questo tesoro di intelligenza nascosto, non bisogna stupirsi né trovare strano di vedere tanta stupidità e scempiaggine nel popolo comune: chiamo popolo comune i più esperti e intelligenti, fino a che non siano incorporati nella Chiesa. Per di più Isaia dopo aver affermato che la dottrina dei profeti sarà incredibile non solo per i pagani ma anche per i Giudei i quali pure volevano essere ritenuti famigliari con Dio, nello stesso tempo ne espone la causa: il braccio di Dio non sarà rivelato a tutti (Isa 53.1) . Così quando saremo turbati vedendo l'esiguità del numero dei credenti, ricordiamoci che i misteri di Dio non sono compresi che da coloro ai quali è dato.
CAPITOLO VIII
LE PROVE RECATE DALLA RAGIONE UMANA SONO SUFFICIENTI A RENDERE LA SCRITTURA INDUBITABILE
1. Senza questa certezza più profonda e più solida di ogni giudizio umano, inutilmente l'autorità della Scrittura sarà provata da argomentazioni, invano sarà stabilita dal consenso della Chiesa o confermata da altre ragioni. Se questo fondamento non precede, essa rimane sempre in sospeso. Viceversa dopo che essa sarà stata ricevuta in obbedienza e sottratta ad ogni dubbio, come è giusto sia, argomenti che prima non avevano grande forza per fissarne e radicarne la certezza nei nostri cuori risulteranno allora ottimi ausili. Non si può esprimere infatti quale forza dia alla Scrittura il considerare diligentemente come Dio abbia ben disposto e ordinato in essa la dispensazione della sua saggezza, come la sua dottrina vi Si dimostri integralmente celeste senza nulla di terreno, come vi siano una coerenza fra tutte le parti, e tutte le altre cose che danno autorità a uno scritto.
Inoltre i nostri cuori sono confermati ancor più fortemente quando consideriamo che è la maestà della materia più che la grazia del linguaggio a rapirci in ammirazione. Questo non avviene senza una precisa intenzione di Dio e perciò gli alti segreti del regno celeste ci sono stati dati, per la maggior parte, con parole disprezzabili, senza grande eloquenza, per timore che se fossero stati formulati e arricchiti di eloquenza gli iniqui avrebbero affermato calunniosamente trattarsi solamente di facondia. Ora se questa semplicità rude e quasi agreste ci commuove a venerazione maggiore che tutto il bel linguaggio dei retori di questo mondo, cosa possiamo noi concluderne se non che la Scrittura contiene in se una tale forza di verità da non aver bisogno dell'artificio delle parole? Per questo non senza ragione l'Apostolo mostra come la fede dei Corinzi non sia fondata sulla saggezza umana, ma sulla forza di Dio; infatti la sua predicazione tra loro non era consistita in parole persuasive di saggezza umana, ma era stata confermata dalla dimostrazione di Spirito e di potenza (1Co 2.4) . La verità è immune da ogni dubbio, essendo di per se stessa sufficiente a mantenersi. Che questa virtù sia propria della Scrittura appare dal fatto che nessun scritto umano, per quanto presentato con abili artifizi, ha tanta forza per commuoverci. Quando si leggono Demostene o Cicerone, Platone o Aristotele o qualche altro della loro schiera, sono pronto ad ammettere che hanno un eccezionale potere di affascinare e sanno dilettare e commuovere fino a rapire lo spirito; ma se passiamo alla lettura delle Sacre Scritture, lo si voglia o no, esse ci commuovono così intensamente, penetrano così in fondo nel nostro cuore, si insinuano fin nel nostro midollo a tal punto che tutta la forza dei retori e dei filosofi a paragone non risulta essere che fumo. Da questo è facile comprendere che le Sacre Scritture hanno un carattere divino per ispirare gli uomini; infatti superano in grazia di gran lunga ogni prodotto dello spirito umano.
2. Ammetto che alcuni profeti si esprimono in modo elegante e pieno di grazia, con stile elevato e rifinito; ma con questi esempi lo Spirito Santo ha voluto mostrare di non essere sprovvisto di eloquenza, anche se altrove preferiva adoperare uno stile grossolano e rozzo. Del resto si legga Davide, Isaia e i loro simili, il cui stile è dolce e fluente; oppure Amos che era bovaro, Geremia o Zaccaria il linguaggio dei quali è più rude e campagnolo: ovunque la maestà dello Spirito appare evidente. Non ignoro che Satana, il quale sempre scimmiotta Dio e si insinua sotto false spoglie prende a pretesto la Scrittura, seguendo una direzione analoga onde ingannare il cuore dei semplici; ha cioè pubblicato gli errori con i quali abbeverava i poveri ciechi in un linguaggio ostico, quasi barbaro, adoperando forme di linguaggio arcaiche, onde coprire sotto tale maschera i suoi raggiri. Ma coloro che hanno giudizio maturo vedono bene quanto questa finzione sia vana e frivola. Quanto alla Sacra Scrittura, sebbene la gente profana e arrogante si sforzi di trovare da ridire, tuttavia essa è evidentemente piena di affermazioni che non sarebbero mai nate nello spirito umano. Si leggano i Profeti, non se ne troverà uno che non abbia di gran lunga superato la misura degli uomini; talché bisognerà ben dire che quanti non prendono gusto al loro insegnamento sono realmente privi di gusto e stupidi del tutto.
3. Altri hanno trattato ampiamente questa materia e sarà dunque sufficiente per il momento esaminare solo quanto è necessario sapere in vista del tema principale. Oltre a quello che ho già detto, l'antichità della Scrittura non è di poca importanza per indurci a prestarvi fede. Sebbene infatti gli scrittori greci raccontino favole sulla teologia degli Egiziani, non si troverà testimonianza di alcuna religione che non sia di molto posteriore a Mosè. Per di più Mosè non crea un Dio nuovo, ma presenta semplicemente al popolo d'Israele ciò che avevano udito dai loro antenati da lungo tempo. A cosa egli mira infatti se non a ricondurli al patto fatto con Abramo? Se avesse proposto cose che non conoscevano e non avevano mai udito non sarebbero state accolte. Bisognava che il desiderio di liberazione fosse comune e noto a tutti affinché il messaggio loro offerto li smuovesse e desse loro coraggio. È da presumere persino che conoscessero il termine di 400 anni. Consideriamo dunque: se Mosè ha preceduto di tanto i nostri scrittori e per di più ha tratto la propria dottrina da così antiche origini, quale preminenza in fatto di antichità deve essere attribuita alla Sacra Scrittura, a differenza di qualsiasi altro scritto si voglia menzionare!
4. Non siamo così sciocchi da prestar fede agli Egiziani quando estendono la propria antichità fino a seimila anni prima della creazione del mondo; tutto quello che essi blaterano è stato respinto e deriso dagli stessi pagani e non è necessario darsi la pena di confutarli. Giuseppe accoglie parecchie testimonianze memorabili dei più antichi scrittori contro Apione: da esse appare che tutti i popoli sono stati d'accordo nel riconoscere in tutti i secoli l'eccellenza della dottrina della Legge, sebbene non fosse letta né conosciuta come si conviene. Del resto affinché la gente scrupolosa e pignola non avesse occasione di dubitare, né i maligni più arditi prendessero licenza di cavillare, Dio ha prevenuto questi pericoli con eccellenti rimedi.
Mosè racconta che 300 anni prima Giacobbe aveva benedetto i suoi successori, essendo stato ispirato da Dio a farlo. Egli vuole nobilitare il proprio passato in anticipo? Nelle persone di Levi però, lo degrada colpendolo d'infamia perpetua: "Simeone e Levi, disse, strumenti d'iniquità, che la mia anima non entri nel loro consiglio, la mia lingua non si associ al loro segreto"(Ge. 49.5-6) . Poteva ben mettere da parte un tale obbrobrio, non solo per risparmiare il padre, ma anche per non infangarsi e diffamarsi con tutta la casata nella stessa ignominia. Come possono sussistere dubbi? Rendendo noto che l'autore e primo ceppo della famiglia da cui egli discendeva era stato definito detestabile dallo Spirito Santo, egli non ha riguardi al proprio interesse e anzi non rifiuta di esporsi all'odio di tutti i suoi parenti, ai quali tutto questo certo dispiaceva. Parimenti ricordando il mormorio con cui Aaronne suo fratello e Maria sua sorella si erano ribellati a Dio (Nu. 12.1) diremo che fu spinto dall'affetto carnale o piuttosto che obbedì ai comandamenti dello Spirito Santo? Per di più avendo ogni autorità e potere, perché non lascia almeno la dignità sacerdotale ai propri figli, invece di respingerli lontano in condizione inferiore?
Ho menzionato questi pochi esempi, ma ce ne sarebbero molti; in tutta la Legge incontreremo motivi per prestarle fede e mostrarci che Mosè è senza dubbio come un angelo di Dio venuto dal cielo.
5. Inoltre molti e notevoli miracoli che egli racconta sono altrettante conferme della Legge che egli ha proclamata: rapito in una nube sulla montagna vi rimase per quaranta giorni senza parlare con alcun uomo (Ex 24.18) , proclamando la Legge aveva un volto talmente splendente che dei raggi se ne dipartivano come dal sole, i lampi, i tuoni e le tempeste passavano nell'aria, la tromba suonava senza bocca d'uomo, l'entrata del tabernacolo era talvolta nascosta alla vista del popolo da una nube (Ex 34.29; 19.16; 40.34) , l'autorità di Mosè fu mantenuta da quell'orribile castigo che cadde su Kore, Dathan e Abiram con tutti i loro seguaci; la roccia battuta dalla sua verga lasciò sgorgare un rivo; alla sua richiesta Dio fece piovere la manna dal cielo (Nu. 16.24; 20.10; 11.9) . Attraverso tutti questi segni Dio non lo raccomandava forse come profeta autentico, da lui inviato? Se qualcuno obbietta che prendo per sicuri fatti discutibili, è facile rispondere, dato che Mosè rendeva pubblici questi fatti nell'assemblea. Come avrebbe potuto mentire, vi chiedo, a chi aveva visto ogni cosa con i propri occhi? A quale scopo si sarebbe presentato al popolo per redarguirlo della sua infedeltà, ribellione, ingratitudine e altri delitti e insieme vantarsi che la sua dottrina era stata ratificata in loro presenza da miracoli mai visti per l'innanzi? Questo punto deve essere notato: ogni volta che parla dei miracoli egli non cerca di ingraziarseli: anzi non senza amarezza allude ai peccati del popolo, il che avrebbe potuto incitarli a contraddirlo se ne avessero avuto la minima occasione. Invece essi consentono con lui perché la loro esperienza li convince. Del resto la cosa era così nota che gli stessi pagani, voglio dire gli antichi scrittori, non hanno osato negare che Mosè abbia operato dei miracoli. Il Diavolo, padre di menzogna, ha loro suggerito una calunnia quando hanno detto che ciò avveniva per arte magica; quali prove si hanno per accusarlo di essere un mago, quando egli ha tanto detestato tale superstizione da condannare alla lapidazione tutti coloro che l'avessero praticata? Nessun ciarlatano o incantatore compie i suoi prodigi se non per acquistar fama e stupire e ingannare il popolo. Cosa ha fatto Mosé allora, protestando chiaro e tondo di non essere nulla, ma semplicemente un esecutore assieme al fratello Aaronne di quanto Dio aveva loro ordinato? Così facendo egli si libera di ogni sospetto. E se si considerano le cose come sono, quale incantesimo avrebbe potuto far scendere la manna ogni giorno dal cielo per nutrire il popolo (e se qualcuno ne aveva preso troppo marciva e così imparava che Dio lo puniva per la sua incredulità) ? 5'è di più: Dio ha permesso che il suo servitore passasse attraverso prove così serie che ora i maldicenti non possono trar profitto calunniando e borbottando contro di lui. Quante volte il popolo non si è levato orgogliosamente e senza vergogna per rovinarlo? Quali cospirazioni sono state fatte da certuni? Non è forse vero che è sfuggito al loro furore? In breve, gli avvenimenti mostrano che il suo insegnamento è stato ratificato per sempre.
6. Ugualmente innegabile è il fatto che per ispirazione profetica soltanto il primato su tutto il popolo sia stato assegnato alla stirpe di Giuda, nella persona del patriarca Giacobbe. Consideriamo bene la cosa e riflettiamo su come è avvenuta: ammettiamo che Mosè sia stato l'inventore di questa profezia. Tuttavia passano quattrocento anni, dopo la sua redazione, prima che sia fatta menzione dello scettro reale in relazione alla stirpe di Giuda. Quando Saul fu eletto e nominato re, il regno sembrò stabilito nella stirpe di Beniamino. Quando Davide fu unto re da Samuele, apparve impossibile togliere la corona a Saul o ai suoi. Chi avrebbe osato prevedere che da una famiglia di bovari sarebbe uscito un re? Per di più, dato che c'erano sette fratelli, chi avrebbe potuto immaginare che il più modesto di tutti sarebbe pervenuto a tale dignità? E come in effetti vi perviene? Chi potrà dire che la sua unzione sia stata condotta con arte, astuzia o calcolo umani e non piuttosto che essa sia stata il risultato di quanto Dio aveva rivelato dal cielo?
Così chi potrà negare che Mosè abbia parlato per ispirazione celeste preannunciando duemila anni prima che un giorno i pagani sarebbero stati accetti a Dio e fatti partecipi del patto di salvezza? Non menziono le altre sue profezie, talmente divine che ogni uomo di buon senso riconosce che Dio parla in esse. Ricordo solo il suo cantico: uno specchio chiaro attraverso il quale Dio appare con la massima evidenza (De 32) .
7. Tutto questo risulta ancor più chiaramente negli altri profeti. Sceglierò solo alcuni esempi, perché sarebbe troppo lungo raccoglierli tutti.
Al tempo di Isaia quando il regno di Giuda viveva tranquillo e pensava di essere al sicuro, grazie all'alleanza con i Caldei, proprio allora, Isaia dichiarava che la città sarebbe stata distrutta e il popolo deportato. Chi non si accontenta di questo segno per giudicare che egli era spinto da Dio a predire cose apparentemente incredibili e solo in seguito dimostratesi vere, non potrà negare sia proceduto dallo Spirito di Dio quanto egli aggiunge relativamente alla liberazione. Egli menziona Ciro che avrebbe sconfitto i Caldei e rimesso in libertà il popolo d'Israele (Is. 45.1) . Tra la nascita di Ciro e il tempo in cui il profeta ha così parlato corrono più di cento anni, ché quegli nacque circa cento anni dopo la morte del profeta. Nessuno poteva allora indovinare che sarebbe un giorno esistito un certo Ciro e avrebbe portato la guerra contro i Babilonesi e, abbattutane la potente monarchia, avrebbe liberato i figli di Israele mettendo fine alla loro cattività. Questo racconto nudo e semplice, senza alcun belletto, non mostra evidentemente che le frasi udite dalla bocca di Isaia sono oracoli di Dio e non congetture umane?
Così quando Geremia, poco prima che il popolo cadesse in schiavitù, fissò il termine di settanta anni fino alla redenzione, non bisognava forse che la sua lingua fosse guidata dallo Spirito? (Gr. 25.11-12) . Non è forse sfacciataggine disconoscere che l'autorità dei profeti è sanzionata da queste testimonianze? Quanto essi preannunciano per guadagnar fede al loro dire, si è adempiuto: le cose precedenti avevano avuto luogo come Dio le aveva preannunciate, così egli continuava a preannunciare le cose future prima che vi si pensasse. Tralascio il fatto che Geremia ed Ezechiele, vivendo separati in paesi lontani, si accordano in tutto e per tutto nelle loro affermazioni, meglio che se si fossero consultati l'un l'altro. Che dire di Daniele? Non tratta forse delle cose avvenute seicento anni dopo la propria morte come se raccontasse delle storie del passato del tutto note; Se i credenti hanno tutto questo ben impresso nel loro cuore saranno ben armati per respingere quei cani mastini che abbaiano contro una verità così certa e infallibile; perché queste argomentazioni sono troppo chiare per essere distrutte da cavillose obiezioni.
8. Conosco le chiacchiere di certi confusionari che volendo mostrarsi abili nel combattere la verità di Dio, fanno la domanda: Chi ci assicura che Mosè e i profeti abbiano scritto quanto leggiamo sotto il loro nome? E non si vergognano di mettere in dubbio la stessa esistenza di Mosè. Ora se qualcuno venisse a contestare l'esistenza di Platone o Aristotele o Cicerone non lo si giudicherebbe degno di essere schiaffeggiato e di essere castigato con buone sferzate? Mettere in dubbio quanto è a tutti evidente è cosa enorme. La legge di Mosè è stata miracolosamente conservata dalla provvidenza di Dio più che dalle cure degli uomini. E sebbene l'incuria dei preti l'avesse come sepolta per qualche tempo, fino a che il buon re Giosia l'ebbe ritrovata, essa è stata letta da tutti per successione continua. E lo stesso Giosia non l'ha presentata come una novità ma come cosa di dominio comune e il cui ricordo era pubblico. L'originale era conservato nel Tempio e una copia autentica era nell'archivio reale. I sacerdoti avevano però trascurato, per un tempo, di darne lettura solenne e il popolo si era dimenticato di conoscerla. Però non è passato periodo senza che la sua autorità fosse riaffermata e riconosciuta. Mosè non era forse conosciuto da quanti leggevano Davide? E in generale è certo che gli scritti di tutti i profeti sono stati tramandati di padre in figlio e chi li ha letti ne ha reso testimonianza a viva voce; sono stati così confermati di generazione in generazione, di sorta che non v'era motivo di dubitarne.
9. L'obiezione che quelle canaglie muovono al libro dei Maccabei, lungi dall'indebolire la fermezza della Sacra Scrittura, come essi pretendono, la conferma ancor di più. Sarà utile anzitutto demolire l'argomento di cui abusano, indi volgere la loro argomentazione contro loro stessi. È raccontato nel suddetto libro che il grande tiranno Antioco comandò di fare bruciare tutti i libri della Legge (1 Maccabei 1.59) . Per questo quei beffardi domandano: Da dove escono le copie che ci sono restate? Ora io chiedo loro dove, al contrario, avrebbero potuto essere fabbricate lì per lì: è evidente che erano rimaste. È noto che non appena la persecuzione cessò, i libri si trovarono completi e furono riconosciuti dai fedeli che ne avevano avuta in segreto conoscenza. E sebbene in quel tempo tutti cospirassero contro i Giudei per estirpare la loro religione e tutti si sforzavano di calunniarli, tuttavia nessuno ha mai osato insinuare che essi avessero fatto passare per legittimi dei libri falsi. Tutti gli increduli e bestemmiatori che hanno calunniato la religione giudaica hanno tuttavia riconosciuto che Mosè ne era l'autore. Cosicché quelle canaglie manifestano un fanatismo senza speranza accusando di falsità dei libri che godono della testimonianza favorevole di tutti gli storici, e anzi dei loro stessi nemici e detrattori.
Ma non indugio ulteriormente a refutare quelle sciocche fanciullaggini: piuttosto riconosciamo proprio in questo episodio quale cura Dio abbia avuto di mantenere la sua parola quando l'ha conservata sana e salva, contrariamente alle aspettative di tutti, dalla crudeltà di quell'orribile tiranno come da un fuoco ardente che doveva tutto bruciare. Ha fortificato con tale costanza i buoni sacerdoti e gli altri credenti che non hanno risparmiato la loro stessa vita per conservare quel tesoro ai loro successori, a rischio della vita, e ha abbagliato gli occhi dei briganti e servi di Satana di modo che tutte le loro macchinazioni sono rimaste frustrate, non riuscendo essi ad abolire, come pensavano, questa verità immortale. Chi non vorrà considerare opera miracolosa di Dio e degna di memoria il fatto che mentre gli avversari credevano di aver vinto completamente, egli ha rimesso in luce i libri che essi avevano accuratamente cercati per bruciarli; e anzi questi hanno guadagnato così ancor maggiore maestà di quanta ne avessero prima. La traduzione greca che seguì di poco fu infatti il mezzo per diffonderli in tutto il mondo.
Il miracolo inoltre non è consistito solamente nel fatto che Dio abbia mantenuto lo strumento della sua alleanza contro le crudeli minacce di Antioco; ma anche che, in mezzo a tante calamità e desolazioni cadute sugli Ebrei, la Legge ed i Profeti siano stati preservati mentre cento volte sembrarono andar distrutti. La lingua ebraica non era solo poco conosciuta, era respinta come barbara. Così sarebbe rimasta se Dio non avesse voluto adoperarla per conservare la vera religione. E per mezzo di quali persone Dio ci ha conservato il suo insegnamento contenuto nella Legge e nei Profeti, al fine di manifestarci, al momento opportuno Gesù Cristo, attraverso ad essa? Per mezzo dei Giudei, i più grandi nemici della cristianità, che giustamente sant'Agostino chiama i bibliotecari della Chiesa perché ci hanno fornito quei libri da cui essi stessi non possono trarre giovamento. Appare chiaro dai profeti vissuti dopo il ritorno della schiavitù di Babilonia che i Giudei si erano allontanati dalla purezza e schiettezza della loro lingua, e questo deve esser notato perché dal paragone rIs.lta più evidente l'antichità della Legge e dei Profeti.
10. Nel Nuovo Testamento si troveranno delle prove ancor più decisive. I tre Evangelisti raccontano le loro storie in stile semplice. Molte persone arroganti sdegnano questa semplicità perché non guardano alla sostanza. Sarebbe facile rilevare quanto essi superino ogni capacità umana allorché trattano dei misteri celesti. Chi ha un minimo di onestà rimarrà certo colpito leggendo anche solo il primo capitolo di san Luca. Ancor più il sommario dei sermoni di Gesù, quale è riassunto brevemente nei tre evangeli, non permette il disprezzo per una dottrina così elevata. Ma soprattutto san Giovanni, quasi tuonasse dal cielo, è in grado di sottomettere tutti gli spiriti all'obbedienza della fede; è adatto, più di tutti i fulmini del mondo, a smuovere una eventuale ostinazione. Quei criticoni si facciano avanti, mostrino che provano piacere nel sottrarre ai cuori umani ogni venerazione per la Scrittura, si raccolgano insieme per difendere le loro tesi; quando abbiano letto l'evangelo secondo Giovanni, per quanto dispiaccia loro, vi troveranno mille frasi che risveglieranno la loro reazione e, anzi, si stamperanno come fuoco nelle loro coscienze per ridurre al silenzio le loro beffe. Così san Pietro e san Paolo; sebbene la maggioranza sia così cieca da non accettare la loro dottrina, essa ha in se una maestà celeste da tenere in briglia, anzi dominare tutti i riluttanti. E non c'è solo questo, ma il loro insegnamento è innalzato al di sopra della sfera umana se si considera che Matteo era completamente dedicato al suo guadagno di cambiamonete e gabelliere, Pietro e Giovanni erano abituati a pescare in una barchetta e tutti gli altri apostoli erano ignoranti e grossolani e non avevano imparato nulla alla scuola umana da poter insegnare agli altri. Quanto a san Paolo, dopo essere stato non solo nemico dichiarato ma crudele e feroce fino a spandere il sangue, convertitosi in un nuovo uomo non ha mostrato chiaramente con un cambiamento così improvviso e del tutto insperato che era stato costretto dall'imperio e dalla forza di Dio ad accettare la dottrina che aveva combattuta? Quei cani abbaino a volontà che lo Spirito Santo non è sceso sugli apostoli, considerino pure inconsistente una storia così certa; ma la realtà stessa grida forte e chiaro. Quando quegli stessi che erano disprezzati e considerati popolani qualunque, tra i più rozzi e grossolani, da un momento all'altro incominciano ad esporre i profondi misteri di Dio in modo sì mirabile, bisogna ben che abbiano avuto lo Spirito Santo quale maestro.
11. Ci sono altri validi argomenti, fra i quali è importante il consenso della Chiesa. Non bisogna tenere in non cale il fatto che per tutto il tempo trascorso dopo la formulazione della Scrittura, ci sia stato un perpetuo consenso nell'obbedienza ad essa. E sebbene il Diavolo si sia sforzato in vari modi di schiacciarla ed abbatterla e persino di cancellarla del tutto dalla memoria degli uomini, tuttavia essa è rimasta sempre invincibile e vittoriosa come la palma. Non c'è stato filosofo o retore di eccellente intelletto che non abbia adoperato la sua sottigliezza contro di essa: tuttavia nessuno ha avuto successo. Tutta la potenza della terra si è armata per distruggerla e tutti i suoi sforzi sono finiti in fumo. Come avrebbe potuto resistere, assalita com'era da ogni parte, se fosse stata difesa solo dalla forza umana? Bisogna piuttosto concludere che la Sacra Scrittura viene da Dio, poiché malgrado tutta la saggezza e la forza degli uomini essa è andata avanti per sua forza propria.
Inoltre non è una città sola o una nazione che abbia aspirato ad accettarla; ma fin dove si estende la terra, per lungo e per largo, essa ha ottenuto la sua autorità da un consenso generale di tutti i popoli, che altrimenti non avrebbero avuto nulla in comune. Questa convergenza da parte dei popoli più diversi, e che altrimenti sono discordi nel modo di vedere la vita, ci deve commuovere (essendo evidentemente la forza di Dio ad averli condotti all'accordo) . Questa considerazione avrà ancor maggior peso considerando la probità e la santità di coloro che si sono presentati a ricevere la Scrittura. Non parlo di tutti, ma di quelli che il nostro Signore ha costituito come luminari nella sua Chiesa per illuminarla con la luce della loro santità.
12. Con quale certezza dobbiamo accettare questa dottrina se consideriamo inoltre come essa è stata suggellata e convalidata dal sangue di tanti santi! Essi non hanno esitato a morire coraggiosamente, e persino gioiosamente per essa, una volta accettatala. Come non riceverla con convinzione certa e invincibile, dato che ci è stata data con tali garanzie e una tale conferma? Non è insignificante a convalidare la Scrittura il fatto che sia stata firmata dal sangue di tanti testimoni. Specialmente se riconosciamo che essi hanno sofferto la morte per testimoniare della loro fede non spinta da furia o agitazione (come talvolta accade per gli spiriti spinti dall'errore) ma mossi da uno zelo di Dio, tanto sobrio e temperato quanto fermo e costante. Ci sono molte altre ragioni e ben chiare che confermano nel cuore dei fedeli la maestà e la dignità della Scrittura e la sostengono validamente contro la malizia dei calunniatori.
Tutte queste ragioni tuttavia non sono di per se sufficienti a dare giusto fondamento alla sua autorità fino a quando il Padre celeste, facendovi splendere la sua divinità, la liberi da ogni dubbio e discussione, dandole ferma sicurezza. La Scrittura ci soddisferà, con una conoscenza di Dio portatrice di salvezza, solamente quando la sua autorità sarà basata sulla persuasione interiore dello Spirito Santo. Le testimonianze umane che servono a confermarla non saranno inutili quando accompagneranno questa testimonianza essenziale e sovrana, quali mezzi ausiliari secondari per sovvenire alla nostra debolezza. Quanti però vogliono dimostrare agli increduli, per mezzo di argomentazioni, che la Scrittura è da Dio, sono sconsiderati. Questo si può conoscere solo per fede. Giustamente sant'Agostino dice che il timore di Dio ed una tranquilla mansuetudine del cuore sono la preparazione necessaria perché gli uomini possano intendere i misteri di Dio.