CAPITOLO 18
LA MESSA PAPALE, SACRILEGIO CHE NON SOLO HA PROFANATA MA INTERAMENTE ABOLITA LA CENA DI GESÙ CRISTO

1. Con queste e altre consimili invenzioni Satana si è sforzato di ottenebrare la santa Cena di Gesù Cristo, per corromperla, oscurarla, intaccarla perché non si mantenesse e durasse nella sua purezza. Il colmo della abominazione, è stato però raggiunto quando egli ha instaurato un segno mediante il quale questa santa Cena, fosse non solo oscurata e pervertita, ma interamente cancellata, abolita e annullata nel ricordo degli uomini; quando cioè ha accecato il mondo intero con quel pestilenziale errore che fa ritenere la messa sacrificio e oblazione per ottenere la remissione dei peccati.
Poco mi importa sapere qual sia stato il senso originario di questa opinione, e come sia stata trattata dai dottori scolastici, che ne hanno parlato in modo più accettevole di quanto abbiano fatto i loro successori. Tralascio perciò tutte le loro soluzioni perché si tratta solo di frivole sottigliezze che non servono ad altro che ad oscurare la verità del Vangelo.
Sappiano i lettori che ho intenzione di combattere contro questa teoria maledetta con cui l'anticristo di Roma e i suoi accoliti hanno stordito la gente, facendo credere che la messa sia opera meritoria per il prete che offre Gesù Cristo e per coloro che assistono all'offerta da lui fatta; ovvero si tratti di un sacrificio di soddisfazione per ottenere il favore di Dio.
Non è solo questa l'opinione del popolino, l'atto stesso che essi compiono è fatto in modo tale da diventare una sorta di espiazione per dare a Dio soddisfazione per i peccati dei vivi e dei morti. Di fatto i termini cui ricorrono hanno questo significato e l'uso quotidiano dimostra che le cose stanno così. So bene quanto questa peste si è da tempo radicata, sotto quali apparenze di bene si nasconda, come si ammanti del nome di Gesù Cristo, come per molti la somma della fede sia espressa nel solo termine "messa "; ma quando sia stato chiaramente dimostrato, mediante la parola di Dio, che questa messa, quantunque abbellita e rivestita, reca sommo disonore a Gesù Cristo, calpesta e seppellisce la sua croce, fa dimenticare la sua morte, ci sottrae il frutto che ce ne viene, distrugge e vanifica il sacramento al quale era affidato il ricordo di quella morte, saranno le sue radici così profonde che la scure potente della parola di Dio non le possa recidere, troncare, abbattere? Potranno i bei rivestimenti nascondere il male sì che non venga svelato da questa luce?
2. Esaminiamo dunque la prima affermazione: quivi viene commessa intollerabile bestemmia e disonore a Gesù Cristo. Egli, infatti, e stato istituito e consacrato sacerdote e pontefice del Padre suo non per un tempo, come coloro che sono istituiti nell'antico patto, il cui sacerdozio e la cui prelatura non poteva essere immortale, poiché la vita loro era mortale e dovevano perciò avere successori che li sostituissero dopo la morte. Gesù Cristo non è mortale, non ha bisogno di vicari. Egli è stato dunque designato dal Padre quale sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec per adempiere l'ufficio di sacerdote eternamente e in modo permanente (Eb. 5.5-10; 7.7-21; 9.2; 10.21; Sl. 110.4; Ge 14.18).
Questo mistero era stato molto tempo innanzi figurato in Melchisedec di cui, dopo esser stato una volta ricordato dalla Scrittura quale sacerdote dell'iddio vivente, non viene fatto in seguito più menzione quasi avesse vissuto in eterno, senza fine. In virtù di questa similitudine, Gesù Cristo è stato detto sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec. Coloro che quotidianamente offrono sacrifici necessitano di sacerdoti per fare le loro oblazioni, sacerdoti che si collochino al posto di Gesù Cristo quali successori e vicari. Con questa sostituzione non spogliano solo Gesù Cristo del suo onore sottraendogli la sua prerogativa di sacerdote eterno, ma si sforzano di deporlo dalla destra del Padre suo dove non può essere seduto, immortale, senza fungere, nel contempo, da sacerdote eterno per intercedere per noi.
Non ci vengano a dire che i loro sacerdoti non sono vicari di Gesù Cristo nel senso che lo sostituiscono, ma fungono solo da suffraganei del suo eterno sacerdozio, che non cessa per questo di esistere nella sua pienezza; le parole dell'apostolo sono infatti troppo precise perché le possano eludere. Egli afferma che venivano fatti sacerdoti in gran numero perché non potevano durare in eterno a causa della morte (Eb. 7.23). Gesù Cristo, dunque, che non può essere impedito dalla morte, è solo e non ha bisogno di compagni.
Nella loro arroganza osano valersi dell'esempio di Melchisedec per sostenere la loro empietà. È detto infatti che egli offerse del pane e del vino e vedono in questo la prefigurazione della loro messa; come se la similitudine fra lui e Gesù Cristo fosse da cercarsi nell'offerta del pane e del vino. Si tratta di sciocchezze così inconsistenti che neppure meritano confutazione. Melchisedec ha dato del pane e del vino ad Abramo e alla sua scorta perché avevano bisogno di nutrimento come la gente stanca, reduce da una battaglia; che c'entra il sacrificio? Mosè loda per questo l'umanità e la liberalità di questo santo monarca. Costoro invece, in quattro e quattro otto, inventano un mistero di cui non è fatta menzione alcuna.
Giustificano però il loro errore con un altro argomento: il testo dice, poco dopo, che egli era sacerdote del Dio altissimo.
Rispondo a questo che il voler riferire al pane e al vino ciò che l'Apostolo dice della benedizione, è grave errore; egli voleva semplicemente dire che, in qualità di sacerdote di Dio, ha benedetto Abramo. Lo stesso Apostolo, la cui esegesi deve ritenersi la migliore, mostra che la dignità di Melchisedec consiste nel fatto che è superiore ad Abramo per poterlo benedire (Eb. 7.7). Se l'offerta di Melchisedec fosse stata figura del sacrificio della messa, perché, mi chiedo, l'Apostolo avrebbe tralasciato un elemento così importante e così prezioso, visto che ha analizzato i più piccoli dettagli, che avrebbero anche potuto essere tralasciati. Tutte le loro chiacchiere e i lori sforzi non otterranno il risultato di rovesciare il fatto costantemente citato: il diritto e l'onore del sacerdozio non appartengono più a uomini mortali visto che sono stati trasferiti a Gesù Cristo che è eterno.
3. La seconda caratteristica della messa, abbiamo detto, consiste nel fatto che essa annulla e distrugge la croce e la passione di Gesù Cristo. Il indubbio che innalzando un altare si abbatte la croce di Cristo. Poiché offrendo se stesso sulla croce in sacrificio per santificarci a perpetuità, e procurarci redenzione eterna (Eb. 9.12) , non c'è dubbio che egli ha compiuto un sacrificio, il cui effetto e la cui efficacia durano in eterno. In caso contrario non dovremmo tenerlo in maggior conto dei buoi e dei vitelli immolati sotto la Legge, il cui sacrificio è risultato privo di effetto e di valore, in quanto doveva essere costantemente ripetuto. Si deve perciò riconoscere ovvero che il sacrificio di Gesù Cristo in croce non ha avuto valore di purificazione e santificazione eterna, ovvero che Gesù Cristo ha compiuto un sacrificio unico, valido una volta per tutte.
È quanto afferma l'Apostolo che quel gran sommo sacerdote, o pontefice, Gesù Cristo mediante il sacrificio di se stesso, è apparso una volta, alla fine dei tempi, per cancellare, distruggere, abolire il peccato (Eb. 9.26). E ancora: la volontà di Dio è stata di santificarci mediante l'offerta di Gesù Cristo una volta per tutte (Eb. 10.10); ed oltre: che mediante una sola offerta ha resi perfetti quelli che sono santificati (Eb. 10.14). Egli aggiunge una significativa considerazione: essendoci stata procurata la remissione dei peccati una volta per tutte, non ha più motivo di essere alcun sacrificio per i peccati (Eb. 10.20.
Questo è stato espresso da Gesù Cristo stesso nelle ultime parole che pronunciò rendendo lo spirito quando disse: "È compiuto " (Gv. 19.30). Siamo soliti dare alle ultime parole di un morente valore normativo, quasi di ordine divino; ecco che Gesù Cristo, morendo, ci dice che, mediante il suo unico sacrificio, è adempiuta, in modo perfetto, la nostra salvezza. Come potrebbe dunque esser lecito aggiungere ogni giorno innumerevoli altri sacrifici come se il suo non fosse perfetto, quantunque egli ce ne abbia in modo così evidente dichiarato e illustrato la perfezione? La santissima Parola di Dio, infatti, non solo ci dichiara ma ci grida e attesta che quel sacrificio è stato adempiuto una volta e la sua efficacia, e il suo valore, sono eterni; coloro pertanto che ne cercano e ne desiderano altri, non lo accusano forse di essere imperfetto e inefficiente? E la messa creata e diffusa al punto che tutti i giorni si fanno centomila sacrifici, a che scopo tende, quali risultati raggiunge, se non seppellire e annullare la passione di Gesù Cristo con cui egli si è offerto quale unico sacrificio al Padre? Chi, se non una persona accecata, non si accorge che è stata una somma astuzia di Satana, per ostacolare e combattere la verità di Dio così chiara e manifesta? Non ignoro certo le argomentazioni illusorie con cui quel padre di menzogna è solito mascherare questa diavoleria, facendo credere che non si tratta di sacrifici molteplici e diversi, ma di uno solo, ripetuto molte volte. Senza difficoltà sono però dissipate queste sue tenebrose fumisterie. L'Apostolo, infatti, in tutta la sua argomentazione, non afferma soltanto che non vi sono altri sacrifici, ma che quello solo è stato offerto una volta e non si deve ripetere.
Coloro che si danno a ragionamenti più sottili pensano trovare una scappatoia affermando che non si tratta di ripetere il sacrificio ma semplicemente di applicazione. Questo sofisma si può però refutare senza difficoltà. Perché Gesù Cristo non si è offerto una volta a condizione che il suo sacrificio fosse quotidianamente ratificato mediante offerte, ma affinché il frutto ci fosse dato nella predicazione dell'evangelo, e nell'uso della Cena. Perciò san Paolo, avendo detto che Gesù Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato, ci ordina di mangiare (1 Co. 5, 7). Ecco dunque in che modo il sacrificio della croce di nostro Signore Gesù è applicato. Quando si dà a noi, e noi lo riceviamo con fede sincera.
4. Occorre però esaminare su quali basi i messaioli fondino il loro concetto di sacrificio. Citano la profezia di Malachia in cui nostro Signore dichiara che si offrirà profumo al suo nome per ogni luogo e oblazione pura (Ma.1.2). Non si tratta però di una cosa nuova o insolita nei profeti; dovendo parlare della vocazione dei pagani e indicare il culto spirituale di Dio, essi ricorrono all'esempio delle cerimonie della Legge, per dimostrare più facilmente ai contemporanei in che modo i pagani dovessero esser condotti ad una autentica partecipazione al patto di Dio; hanno così l'abitudine di descrivere le cose adempiute nell'evangelo sotto figure del loro tempo.
Si comprenderà questo fatto facendo alcuni esempi. Volendo dire che tutti i popoli si convertiranno a Dio, affermano che saliranno a Gerusalemme. Volendo dire che i popoli del Mezzogiorno e dell'oriente adoreranno Dio, affermano che offriranno in dono le ricchezze dei loro paesi. Volendo indicare la vasta e profonda conoscenza che sarebbe stata data ai credenti nel regno di Cristo, dicono che le ragazze profetizzeranno, i giovani avranno visioni e i vecchi dei sogni (Gl. 3.1). Queste citazioni si devono accostare ad un'altra profezia di Isaia ove è detto che vi saranno in Assiria e in Egitto altari eretti al Signore come in Giudea (Is. 19.19-21).
Domando ai papisti, in primo luogo: queste promesse non si sono adempiute nella fede cristiana? In secondo luogo: dove sono questi altari e quando sono stati edificati? Desidererei infine sapere, se a loro giudizio, quei due regni, menzionati con Giuda, dovessero avere ognuno il suo tempio come quello di Gerusalemme. Riflettendo attentamente a questi interrogativi saranno costretti a riconoscere che, in quel caso, il profeta descrive verità spirituali sotto immagini e figure del tempo suo. Ora e proprio questa l'interpretazione che noi proponiamo.
Espressioni di questo genere sono molto frequenti, non intendo perciò dilungarmi in citazioni. Questi sciocchi però si ingannano grossolanamente non riconoscendo altro sacrificio che quello della loro messa, i credenti invece compiono ora reali sacrifici a Dio, e offrono oblazioni pure, come vedremo appresso.
5. La terza funzione della messa consiste nel cancellare dalla memoria degli uomini la vera e unica morte di Gesù Cristo. Come fra gli uomini la validità di un testamento dipende dalla morte del testatario, nello stesso modo anche nostro Signore ha confermato con la sua morte il testamento Cl. Quale ci ha garantito la remissione dei nostri peccati e la giustizia eterna. Coloro che hanno l'ardire di recar modifiche o innovazioni in questo testamento smentiscono la sua morte e la reputano di nessun valore. Che è infatti la messa se non un nuovo testamento interamente diverso? Non promette forse ogni messa nuova remissione dei peccati e acquisizione di giustizia, cosicché vi sono altrettanti testamenti quante sono le messe? Torni dunque Gesù Cristo, e confermi con una nuova morte questo nuovo testamento, anzi, confermi con morti infinite gli infiniti testamenti delle messe! Non è senza motivo, pertanto, che ho detto all'inizio che la morte unica e autentica di Gesù Cristo è cancellata e dimenticata a causa delle messe.
Anzi la messa non tende forse direttamente a far sì che se fosse possibile Gesù Cristo venisse da capo ucciso e messo a morte? Poiché, come dice l'Apostolo, dove c'è testamento è necessario vi sia la morte del testatario (Eb. 9.16). La messa reca con se un nuovo testamento di Gesù Cristo, richiede dunque la sua morte. Anzi, è necessario che la vittima offerta in sacrificio sia uccis. E immolata. In ogni messa Gesù Cristo viene offerto in sacrificio; questo significa che in ogni momento, in mille luoghi, e crudelmente messo a morte. E non è questo argomento mio ma dell'apostolo, che dice: se Gesù Cristo avesse dovuto offrire se stesso molte volte, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo.
Conosco la loro replica, con cui, anzi, ci accusano di calunnia; dicono infatti che attribuiamo loro quello che non hanno mai pensato perché è in realtà impossibile. Sono pronto a riconoscere che ne la vita né la morte di Gesù Cristo sono in loro potere, e non discuto se abbiano proposito deliberato o meno di uccidere Cristo. Voglio solo illustrare quale assurdità sia nascosta nella loro mala dottrina quando venga accolta e lo dimostro solo per bocca dell'apostolo. Replichino finché vogliono che questo sacrificio e incruento; attesto, per conto mio, che i sacrifici non possono mutare natura a seconda del piacere degli uomini, o ricevono qualifiche diverse a loro piacimento.
Verrebbe a cadere così la sacra e inviolabile istituzione di Dio. Ne consegue dunque che questa affermazione dell'apostolo, non può essere annullata, che cioè lo spargimento di sangue è richiesto in ogni sacrificio perché vi possa essere purificazione.
6. Bisogna ora esaminare la quarta funzione della messa: essa ci sottrae il frutto che proviene dalla morte di Gesù Cristo, in quanto ci impedisce di conoscerlo o prenderlo in considerazione. Chi infatti si considera riscattato dalla morte di Gesù Cristo, vedendo nella messa una nuova redenzione? Chi crederà che i suoi peccati gli sono perdonati vedendo un'altra remissione? Né ci si sottrae a questa critica affermando che non otteniamo la remissione dei peccati nella messa, se non per il fatto che essa ci è già stata procurata dalla morte di Cristo. Questo equivarrebbe a dire che siamo riscattati da Cristo a condizione però di riscattarci noi stessi. Questa è la dottrina diffusa dai ministri di Satana, e da essi rivendicata oggi con proteste, spade, fuoco: quando offrono Gesù Cristo al Padre nella messa, in virtù di questa offerta, acquistiamo remissione dei peccati e siamo resi partecipi della passione di Gesù Cristo. Che valore può ancora avere la passione di Gesù Cristo? Non è forse ridotta a semplice esempio di redenzione da cui impariamo ad essere redentori di noi stessi? Lui stesso volendo garantirci nella Cena, che le nostre colpe ci sono perdonate, non limita la nostra attenzione al sacramento ma ci rimanda al sacrificio della sua morte, dichiarando che la Cena è un memoriale stabilito per insegnarci che la vittima per cui Dio fu placato doveva essere offerta una volta soltanto. Non basta affermare che Gesù Cristo è unica vittima per riconciliarci con Dio, se non si aggiunge subito che è stata una offerta unica, cosicché la nostra fede sia vincolata alla croce.
7. Vediamo ora l'ultimo beneficio della messa: la santa Cena in cui nostro Signore aveva lasciato stampato e inciso in ricordo della sua passione, è eliminata dalla messa, risulta anzi perduto e cancellato. La Cena è un dono di Dio che deve essere preso e ricevuto con azioni di grazia, al contrario si finge che il sacrificio della messa sia un tributo offerto a Dio che lo riceve da noi come una soddisfazione. Tanto è diverso il prendere dal dare tanta è la differenza tra il sacramento della Cena e un sacrificio.
Si tratta indubbiamente in questo caso di una sciagurata ingratitudine da parte dell'uomo: laddove egli doveva riconoscere un'azione di grazia, l'ampiezza della bontà divina e la sua liberalità, vuol far credere a Dio che lo vincola a sé.

Il sacramento ci promette non solo che siamo restituiti alla vita mediante la morte di Gesù Cristo ma siamo vivificati costantemente poiché allora è stato compiuto tutto ciò che concerne la nostra salvezza. Il sacrificio della messa dice una cosa ben diversa: bisogna che Gesù Cristo sia sacrificato ogni giorno perché possiamo avere qualche profitto.
La Cena doveva essere offerta e distribuita nelle pubbliche assemblee della Chiesa per educarci alla comunione mediante cui siamo tutti congiunti insieme a Gesù Cristo. Il sacrificio della messa spezza e distrugge questa comunione. Da quando si è introdotto quell'errore che occorrono sacerdoti per compiere sacrifici per il popolo, quasi la Cena fosse stata riservata a loro, non è più stata data alla comunità dei credenti come invece imponeva il comandamento di nostro Signore. Si è così aperta la via alle messe private, espressioni di un pensiero di scomunica più che della comunione quale è stata istituita da nostro Signore; poiché il prete sacerdote infatti nel trangugiare il suo sacrificio, si isola dall'insieme del popolo dei fedeli. Onde evitare equivoci, definisco messe private tutte quelle in cui non si verifica alcuna partecipazione alla Cena di nostro Signore da parte dei fedeli, qualsiasi sia il numero di coloro che assistono.
8. Riguardo al termine di messa, non ho mai capito donde sia venuto; verosimilmente, a mio avviso, è stato derivato dalle offerte che si facevano durante la Cena. Per questa ragione gli antichi dottori non usano comunemente il termine al singolare. Ma lasciamo stare la questione terminologica.
Le messe private contrastano, a mio avviso, con l'istituzione di Gesù Cristo, e pertanto si tratta di una profanazione della Chiesa. Che cosa ci ha infatti ordinato il Signore? Di prendere il pane e distribuirlo fra noi. Quale interpretazione di questo fatto dà san Paolo? Che la frazione del pane rappresenta la comunione del corpo di Cristo (1 Co. 10.16). Quando dunque un uomo mangia da solo, senza rendere gli altri partecipi, che analogia c'è con quell'ordine?
Essi replicano che egli lo fa nel nome della Chiesa tutta. Con quale autorità? Non significa forse beffarsi apertamente di Dio il compiere per proprio conto ciò che doveva farsi in comune nella comunità dei credenti? Data la chiarezza delle parole di Gesù Cristo e di san Paolo possiamo concludere in breve che ovunque il pane non sia rotto per essere distribuito ai credenti non c'è alcuna Cena, ma una falsa e perversa per contraffazione. Una finzione di questo genere è corruzione, e la corruzione di un così grande mistero non si compie senza empietà. Nel caso delle messe private siamo dunque in presenza di un grave e deplorevole abuso. Anzi, poiché un errore ne genera sempre un altro, quando ci si allontana dalla retta via, da quando si è introdotto l'uso di offrire messa senza comunione si è a poco a poco presa l'abitudine di cantar messe infinite in tutti gli angolini dei templi. Così si distrae la gente di qua e di là mentre dovrebbe essere raccolta in un luogo unico per essere il sacramento della sua unità.
I papisti contestino, se lo possono, il fatto che non sia idolatria il mostrare nelle loro messe il pane, per farlo oggetto di adorazione. Invano pretendono che questo pane sia testimonianza della presenza del corpo di Cristo. Comunque si interpretino le parole: "Ecco il mio corpo ", non sono state pronunciate perché un sacrilego, senza Dio né legge, né fede né coscienza, muti e tramuti ogni qual volta gli sembra bene, il pane in corpo di Cristo per abusarne a suo piacimento, ma perché i credenti, in obbedienza al comandamento del loro maestro Gesù Cristo, abbiano con lui autentica partecipazione nella Cena.
9. Questa perversione risulta infatti sconosciuta a tutta la Chiesa antica. Quantunque i più spudorati papisti si facciano scudo degli antichi dottori, ricorrendo falsamente alla loro testimonianza, è in realtà chiaro come il sole a mezzogiorno che la loro prassi è del tutto contraria all'uso antico e si tratta di un abuso che è sorto nei tempi in cui ogni cosa, nella Chiesa, era corrotta e depravata.
Prima di terminare domando però ai nostri dottori specialisti in messe: sapendo che Dio preferisce l'obbedienza a tutti i sacrifici e che egli chiede si ottemperi alla sua voce più che offrirgli sacrifici (1 Re 15.22) come si può pensare gli sia gradito questo tipo di sacrificio, di cui non esiste alcuna indicazione né conferma in una sola sillaba della Scrittura? Inoltre, conoscendo la dichiarazione dell'apostolo secondo cui nessuno deve attribuirsi o usurpare per se il titolo e l'onore del sacerdozio, se non coloro che sono chiamati da Dio, come Aronne (Eb. 5.4) , e che Gesù Cristo stesso non ha preso questo incarico da se, ma ha obbedito alla vocazione del Padre, devono dimostrare ovvero che Dio ha creato e istituito il loro sacerdozio, ovvero confessare che il loro ordine e la loro confessione non sono da Dio; visto che, senza essere chiamati, vi si sono insediati da se con temerarietà. Non sono però in grado di citare un solo testo scritto che giustifichi il loro sacerdozio. Che ne sarà dunque dei sacrifici visto che un sacrificio non può essere offerto senza prete?
10. A chi voglia contestare, valendosi dell'autorità degli antichi, che si debba dare del sacrificio della Cena una interpretazione diversa da quella che abbiamo dato e a questo scopo ricorra a citazioni frammentarie e staccate dal contesto, risponderò che gli antichi non si possono citare a difesa, per giustificare quella fantasticheria del sacrificio della messa creata dai papisti.
Gli antichi usano bensì il termine "sacrificio ", ma precisando sempre che intendono solo il ricordo di quel vero e unico sacrificio compiuto sulla croce da Gesù Cristo, il quale chiamano sempre nostro unico Salvatore. "Gli Ebrei "dice sant'Agostino "sacrificando animali si preparavano profeticamente al sacrificio che Gesù Cristo ha offerto; i credenti, nella offerta e nella comunione del corpo di Gesù Cristo, celebrano il ricordo del sacrificio già compiuto ". Questo pensiero è espresso più ampiamente nell'opera intitolata della fede, a Pietro Diacono attribuita anch'essa a sant'Agostino; ecco il testo: "Tieni per certo, e non dubitare in alcun modo, che il figlio di Dio, essendosi fatto uomo per noi, si sia offerto in sacrificio di onore soave a Dio suo Padre a cui si offrivano, nei tempi dell'antico Patto, animali, ma a cui si offrono ora i sacrifici di pane e di vino. In queste vittime animali, vi era una figura della carne di Cristo ch'egli doveva offrire per noi, e del suo sangue che doveva spargere per la remissione dei peccati; nei sacrifici cui ricorriamo vi sono azioni di grazia e ricordo della carne che Cristo ha offerto per noi e del sangue che ha sparso ". Ne consegue che questo dottore, dico sant'Agostino, chiama spesso la Cena: "sacrificio di lode ". Risulta così che nei suoi libri è detta "sacrificio "per la sola ragione che è ricordo, immagine, attestato del sacrificio unico, vero, autentico, singolare, con cui Gesù Cristo ci ha riscattati.

Un testo interessante si trova altresì nel quarto libro della Trinità. Dove conclude, dopo aver parlato di un unico sacrificio, che vi sono quattro cose da considerare: la persona di colui che offre, di colui a cui si offre, che cosa si offre e per chi. Ora il nostro mediatore stesso e lui solo ha offerto se stesso al Padre suo per rendercelo propizio. Ci ha fatto essere uno con se, offrendosi per noi; ha offerto l'oblazione ed è stata nello stesso tempo l'offerta. Con questa interpretazione concorda anche san Crisostomo.
Il. Riguardo al sacerdozio di Gesù Cristo gli antichi Padri l'hanno avuto in tanta considerazione che sant'Agostino dichiara che sarebbe un'azione degna dell'anticristo il voler istituire un vescovo o un pastore quale intercessore tra Dio e gli uomini R. Per parte nostra affermiamo che il sacrificio di Gesù Cristo ci è presentato in modo tale che quasi lo si può contemplare, ad occhio nudo, sulla croce; come si esprime l'Apostolo dicendo che Gesù Cristo era stato crocifisso fra i Galati quando l'annunzio della sua morte era stata annunziata loro (Ga 3.1).
Considerando però che gli antichi stessi hanno fuorviato questo ricordo in una direzione diversa da quella che richiedeva l'istituzione del Signore, vedendo nella loro cena non so qual spettacolo d'immolazione reiterata, o per lo meno rinnovata, l'atteggiamento più sicuro per i credenti è di attenersi all'ordine del Signore, puro e semplice, che la chiama cena, affinché la sola autorità di lui costituisca la norma. È vero che avendo essi avuto retta intelligenza di questo mistero, e non essendo mai stata loro intenzione l'allontanarsi dal sacrificio unico di Gesù Cristo, non mi sentirei di tacciarli di empietà; non penso però si possa giustificare il fatto di aver, in qualche modo, errato nella forma esteriore. Hanno prestato attenzione alle forme giudaiche più di quanto richiedesse l'ordine di Gesù Cristo. Questo è dunque il punto su cui meritano di essere redarguiti: si sono conformati eccessivamente all'antico Patto, e non accontentandosi della semplice istituzione di Cristo, hanno accondisceso alle ombre della Legge in modo eccessivo.
12. Esiste è vero, una somiglianza, tra i sacrifici della legge mosaica e il sacramento dell'eucaristia, nel senso che quelli hanno rappresentato l'efficacia della morte di Cristo quale ci è oggi palesata nell'eucaristia. Ma una diversità sussiste riguardo al modo di rappresentazione. Poiché nell'antico Patto i preti raffiguravano il sacrificio che Gesù Cristo doveva compiere, la vittima, in quel caso, sostituiva Gesù Cristo, vi era l'altare per compiere il sacrificio; ogni cosa insomma avveniva in modo tale che si vedeva visibilmente attuata una forma di sacrificio per l'ottenimento del perdono dei peccati.
Ma da quando Gesù Cristo ha attuato la realtà di quelle cose il Padre celeste ha stabilito per noi una forma diversa: egli ci presenta il frutto del sacrificio che gli è stato offerto dal figlio suo, ci ha dunque dato un tavolo su cui mangiare e non l'altare per offrire sacrifici. Non ha consacrato dei sacerdoti per immolare vittime, ma ha istituito dei ministri per distribuire al popolo il sacro nutrimento. Ed essendo il mistero grande ed eccellente, maggiore ha da essere il rispetto di cui è circondato. Perciò il metodo più sicuro consiste nel rinunciare alla temerarietà dei sensi umani, per attenersi esclusivamente a quanto ci insegna la Scrittura. Se poniamo mente al fatto che si tratta della cena del Signore e non della Cena degli uomini, nulla ci deve distrarre o allontanare dalla volontà di lui; né autorità vane, né distanza di tempo, né altri elementi esteriori.
L'Apostolo perciò, volendo ripristinare nella sua pienezza, fra i Corinzi, la Cena che era stata corrotta da alcuni errori, considera che l'argomento migliore e più diretto consiste nel richiamarli a quella unica istituzione che si deve considerare, secondo quanto egli afferma, norma perpetua (1 Co. 11.20).
13. Ad evitare che qualche litigioso, per polemizzare più oltre, tragga spunto dai termini "sacrificio "e "sacerdote ", preciserò brevemente in quale accezione li ho adoperati nel corso di questa discussione.
Dichiaro anzitutto non comprendere in base a quali motivazioni si debba estendere il termine "sacrificio "a tutte le cerimonie pratiche concernenti il culto. Constatiamo che, secondo l'uso costante della Scrittura, il termine "sacrificio "è riferito a quell'atto che i Greci chiamano ora tsusia ora prosfora ora telete, che indicano in forma generale ogni cosa offerta a Dio; si richiede perciò una distinzione, distinzione che si deve ricavare dai sacrifici della legge mosaica, sotto l'ombra dei quali, il Signore ha voluto rappresentare al suo popolo tutta la realtà dei sacrifici spirituali.
Ora, quantunque i tipi di questi sacrifici siano stati molti, tuttavia si possono ricondurre a due categorie. Poiché ovvero l'offerta era fatta a mo' di soddisfazione per il peccato, la cui colpa veniva riscattata davanti a Dio, ovvero si faceva come atto cultuale, a testimoniare dell'onore che si rendeva a Dio. In questa seconda categoria si distinguono tre tipi di sacrifici. Infatti sia che, con suppliche, si chiedesse favore e grazia, sia che si tributasse lode a Dio per i suoi benefici, sia che si intendesse semplicemente rinnovare il ricordo del suo patto, in ogni caso si trattava sempre di manifestare una riverenza per il suo nome; si deve perciò includere in questa seconda categoria ciò che nella Legge è chiamato "olocausto ", "libazione ", "oblazione ", "primizie ", "sacrifici incruenti ".
Per questa ragione noi pure distingueremo due tipi di sacrifici e definiremo il primo così: quelli destinati a garantire l'onore e il rispetto di Dio con cui i credenti lo riconoscono come colui da cui deriva e proviene ogni bene e gli rendono, per questo motivo, la grazia che gli è dovuta. L'altra categoria: sacrifici di propiziazione e di espiazione. Il sacrificio di espiazione è quello che viene fatto per placare l'ira di Dio, dare soddisfacimento alla sua giustizia, e così facendo, cancellare i peccati e purificare il peccatore affinché, essendo lavato dalle macchie sue ed essendo reintegrato nella condizione di purezza della giustizia, sia nuovamente posto in rapporto di grazia con Dio. I sacrifici che venivano offerti al tempo della Legge per cancellare i peccati erano così detti (Es. 29.36) , non in quanto fossero sufficienti a cancellare l'iniquità e riconciliare gli uomini con Dio, ma in quanto raffiguravano il vero sacrificio che è stato infine compiuto in perfetta aderenza alla verità, da Gesù Cristo, e da lui solo, perché nessun altro lo poteva fare. Ed è stato compiuto una volta sola perché soltanto di quello si possono dire eterne sia l'efficacia che la forza. Come ha attestato lui stesso dicendo che ogni cosa era stata adempiuta (Gv. 19.30) , che cioè quanto era necessario a riconciliarci con la grazia del Padre, per ottenere la remissione dei peccati, giustizia e salvezza, era con la sua sola offerta compiuto, consumato, perfettamente adempiuto, e mancante di nulla; in modo tale che dopo di lui nessun altro sacrificio poteva più aver luogo.
14. Dobbiamo pertanto concludere che si bestemmia in modo obbrobrioso e intollerabile Gesù Cristo, il suo sacrificio, compiuto per noi, e la sua morte in croce, quando si fa una offerta con l'intenzione di ottenere la remissione dei peccati, la riconciliazione con Dio, la giustizia. A che altro tende la messa, se non renderci partecipi della passione di Cristo con una nuova offerta? Non avendo infine la loro presunzione alcun limite, hanno giudicato insuffficiente la pretesa che il loro sacrificio sia comune a tutta la Chiesa, in modo generico, ed aggiungono perciò che è in loro potere riferirlo in modo specifico a questo o a quello, a loro piacimento; o piuttosto a chiunque voglia, pagando bene,
Acquistare la loro merce. Non potendo mantenere le tariffe di Giuda, ma volendo, in qualche modo, seguirne l'esempio, hanno mantenuto la similitudine della cifra: quello vendette Gesù Cristo per trenta monete d'argento, essi, per quanto sia loro possibile, lo vendono per trenta denari di rame. Egli però lo vendette una volta sola, costoro ogni volta che trovano un compratore. Contesto perciò che i sacerdoti del Papa lo siano di diritto: abbiano cioè il potere d'intercedere presso Dio mediante questa offerta e placare l'ira sua cancellando i peccati. Poiché Gesù Cristo è il solo sacerdote del nuovo Patto, cui sono stati trasferiti tutti i sacrifici antichi, in quanto hanno il loro termine in lui. Quantunque la Scrittura non faccia alcun accenno del sacerdozio eterno di Gesù Cristo, tuttavia, poiché Dio, abolendo quello stabilito al tempo della Legge, non ne ha stabilito altri, l'argomento degli apostoli risulta decisivo: nessuno si deve attribuire da se quell'onore qualora non vi sia chiamato (Eb. 5.4).
Come ardiscono dunque questi sacrileghi dirsi sacerdoti del Dio vivente da cui non hanno avuto riconoscimento del loro ufficio? Come osano usurpare questo titolo per farsi boia di Cristo?
15. Si legge in Platone, al capitolo secondo della Repubblica, un testo interessante da cui risulta che questa stessa perversa opinione regnava tra i pagani. Egli afferma, infatti, che usurai, adulteri, spergiuri e ingannatori, dopo aver effettuato molte crudeltà, rapine, frodi, estorsione e altre male azioni, si ritenevano a posto avendo stabilito una cerimonia annuale per cancellare il ricordo di tutti i loro peccati. Il filosofo pagano prende in giro questa assurda illusione di pensare poter soddisfare Dio così facendo, quasi bendargli gli occhi perché non veda tracce del peccato e potersi dedicare, d'altra parte a fare il male con maggior lena. Sembra quasi che egli alluda in questo testo al rito della messa quale è oggi nel mondo. Tutti sanno che è cosa condannabile frodare il prossimo. Tutti considerano delitto grave opprimere vedove, ingannare orfani, sfruttare i poveri, procacciarsi con traffico illecito beni altrui, arraffare qua e là quanto più possibile con frodi e spergiuri e usurpare con la violenza e l'oppressione tutto ciò che non è nostro. Come mai tanta gente osa farlo quasi senza paura di punizione? Considerando attentamente tutto il problema, comprendiamo che il loro ardire deriva dal fatto che hanno la certezza di poter soddisfare Dio con il sacrificio della messa, pagandogli ciò che gli devono, o utilizzando questo mezzo di riconciliarsi con Dio.

Platone, continuando il suo discorso, si fa beffe della sciocca opinione che si illude di riscattare le colpe che si dovrebbero scontare nell'altro mondo. A che scopo mi chiedo, mirano la celebrazione di tanti anniversari e la maggior parte delle messe se non a permettere a coloro che sono stati in vita crudeli tiranni, ladri o predoni, o dediti ad ogni sorta di male, di riscattarsi nel Purgatorio?
16. Nell'altra categoria di sacrifici, detti sacrifici di ringraziamento e di lode, sono da annoverarsi tutti gli atti di carità compiuti nei riguardi del nostro prossimo, atti che, in un certo modo, son fatti a Dio stesso che viene così onorato nella persona dei suoi membri; sono altresì da includersi le nostre preghiere, lodi, azioni di grazie e tutto quanto facciamo per onorare e servire Dio. Queste offerte derivano tutte dal sacrificio fondamentale con cui siamo dedicati e consacrati, corpo e anima, per essere templi di Dio. Non è infatti sufficiente che le nostre azioni esteriori siano volte al suo servizio, ma è necessario che anzitutto noi stessi, con tutte le nostre opere siamo a lui consacrati affinché tutto ciò che è in noi, serva alla gloria sua ed esalti la sua magnificenza. Questo tipo di sacrifici non ha la funzione di placare l'ira di Dio e ottenere la remissione dei peccati, né di procurar giustizia ma ha solo lo scopo di magnificare e glorificare Dio. Questo tipo di sacrifici non gli può infatti essere gradito se non procede da coloro che, avendo ottenuto remissione dei peccati, sono già riconciliati con lui e altrimenti giustificati. Anzi questo sacrificio è così necessario alla Chiesa che non può essere tralasciato. Sarà pertanto eterno, finché durerà il popolo di Dio come ha scritto il Profeta. In questo senso bisogna intendere la testimonianza di Malachia: "Poiché dal sol levante fino al ponente grande è il mio nome fra le nazioni, e in ogni luogo s'offrono al mio nome profumi ed oblazioni pure; poiché grande è il mio nome fra le nazioni, dice il Signore " (Mach 1.2); come potremmo noi eliminarlo! Nello stesso modo san Paolo ci ordina di offrire a Dio i nostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, qual culto logico (Ro 12.1). In questo testo egli si esprime in modo molto appropriato aggiungendo che questo e il nostro culto razionale, reso a Dio. Si intende con questo un modo spirituale di servire e onorare Dio che è implicitamente contrapposto ai sacrifici carnali della legge mosaica. Analogamente le elemosine e le buone azioni sono definite "vittime cui Dio prende piacere " (Eb. 13.10, ed è detta "sacrificio di odor soave " (Fl. 4.18) la liberalità con cui i Filippesi avevano aiutato san Paolo nella sua indigenza, son dette "sacrifici spirituali "tutte le opere dei credenti.
17. È forse necessario prolungare la nostra ricerca, visto che questo modo di parlare si riscontra così spesso nella Scrittura? Anche quando il popolo si trovava ancora guidato dall'insegnamento generico della Legge, i profeti dichiaravano abbastanza chiaramente che i sacrifici di animali avevano qual contenuto una sostanza e una verità che permane anche oggi nella Chiesa cristiana. Per questa ragione Davide chiedeva che la sua preghiera salisse al Signore come fumo di incenso (Sl. 141.2); Osea definisce le azioni di grazia sacrifici delle labbra (Os 14.2) e Davide, in un altro testo, sacrifici di lode (Sl. 50.23); affermazione che l'Apostolo ha imitato, ordinando di offrire sacrifici di lode a Dio, che egli interpreta come il frutto di labbra confessanti il suo nome (Eb. 13.15). Questo tipo di sacrifici non potrebbe non essere presente nella Cena di nostro Signore, nella quale annunciando e commemorando la sua morte e formulando azione di grazia, non facciamo altro che offrire sacrifici di lode. A motivo di questo incarico di sacrificio, tutti noi credenti, siamo detti un sacerdozio reale (1 Pi. 2.9) , poiché in Gesù Cristo offriamo a Dio sacrifici di lode, cioè il frutto di labbra confessanti il suo nome, come abbiamo udito dall'apostolo. Non potremmo comparire davanti a Dio con i nostri doni e le nostre offerte senza un intercessore, e questo mediatore è Gesù Cristo che intercede per noi, in virtù del quale offriamo noi stessi e tutto quanto ci appartiene al Padre. Egli è nostro pontefice essendo entrato nel santuario celeste, e ce ne apre la porta. Egli è il nostro altare su cui poniamo le nostre oblazioni; in lui osiamo tutto quello che osiamo. Insomma è colui che ci ha fatto essere re e sacerdoti per il Padre (Re 1.6).
18. Non ci resta da desiderare se non che i ciechi vedano, i sordi odano, e i bambini capiscano che questa abominazione della messa, essendo presentata in recipienti d'oro (sotto il nome cioè di parola di Dio ) ha così ubriacato, stordito e instupidito tutti i re e i popoli della terra, dal più grande al più piccolo, cosicché resi più stupidi degli animali, fanno consistere il principio e la fine della loro salvezza in questo baratro mortale. Certo Satana non inventò giammai strumento più efficace per combattere e abbattere la pace del regno di Gesù Cristo. Questa messa è una Elena per la quale i nemici della verità combattono oggi con tanta crudeltà, furore, e rabbia. E realmente si tratta di una Elena con cui si prostituiscono di prostituzione spirituale, fra tutte la più esecrabile. Non tocco neppure Cl. Mignolo i gravi e deplorevoli abusi con cui potrebbe esser stata contaminata o corrotta, secondo la loro giustificazione, la purezza della loro sacra messa: quanto sia cioè deplorevole il mercato che esercitano, quanti e quali illeciti guadagni realizzino i sacerdoti con il loro recitar messe, con quanta rapina soddisfino la loro ingordigia. Intendo soltanto mostrare, con poche e semplici parole, in che consista la santissima santità della messa per cui è stata così a lungo tanto ammirata e fatta oggetto di tanta venerazione. Occorrerebbe redigere un trattato molto più ampio per illustrare, secondo loro, chiaramente e degnamente così grandi misteri. Ma non ho l'intenzione di rinvangare qui immondizie, che si palesano agli occhi di tutti. Deve essere chiaro agli occhi di tutti che la messa, considerata nei suoi aspetti più elevati, e in base ai quali potrebbe esser maggiormente stimata, è, dalla radice alla sommità, piena di ogni sorta di empietà, di bestemmie, di idolatrie, di sacrilegi, anche senza considerare le sue conseguenze e le supplicazioni.
19. I lettori hanno qui in sunto tutto quanto ho considerato necessario conoscere riguardo a questi due sacramenti, il cui uso è stato affidato alla Chiesa cristiana sin dall'inizio del nuovo Patto e fino alla consumazione del secolo. Il battesimo rappresenta l'ingresso in questa Chiesa e una prima professione di fede; la Cena è un nutrimento costante, mediante cui Gesù Cristo nutre spiritualmente i suoi credenti. Come vi è un solo Dio, una sola fede, un solo Cristo e una sola Chiesa, che è il suo corpo, così il battesimo e unico e non è mai ripetuto. La Cena invece è distribuita spesso, affinché coloro che sono stati raccolti e inseriti nella Chiesa, abbiano la certezza che sono costantemente nutriti e saziati da Gesù Cristo.
All'infuori di questi due sacramenti la Chiesa dei credenti non deve accoglierne altri, non essendovene altri istituiti da Dio. Poiché è facile comprendere che non spetta all'autorità o alla facoltà degli uomini inventare e istituire nuovi sacramenti. Ricordiamo quanto è stato più chiaramente esposto sopra: che i sacramenti sono istituiti da Dio per essere segni di qualche promessa sua e attestare la sua buona volontà nei nostri riguardi; consideriamo altresì che nessuno è stato consigliere di Dio (Is. 40.13; Ro 11.34) , per poterci promettere nulla di certo riguardo alla sua volontà, né renderci certi e sicuri di qual sia il suo sentimento nei nostri confronti, né dire ciò che vuol darci, né ciò che vuole negarci. Ne consegue che nessuno può stabilire o istituire segni che siano testimonianze della volontà o della promessa di Dio. Lui solo offrendoci dei segni può testimoniare di se nei nostri riguardi. Esprimendoci più brevemente e anche in forma più semplice e più chiara: non può esistere sacramento privo di una promessa di salvezza. E tutti gli uomini, raccolti insieme, non sarebbero in grado di prometterci nulla riguardo alla nostra salvezza. Non possono, pertanto, di per se stessi stabilire o istituire alcun sacramento.
20. La Chiesa cristiana si accontenti perciò di questi due, e non solo non ne ammetta, approvi o riconosca altri nel tempo presente, ma non ne desideri né richieda un terzo, sino alla consumazione dei secoli. Il fatto che ai Giudei, furono dati, oltre quelli che avevano ordinariamente, altri sacramenti, secondo la successione dei tempi (la manna, l'acqua che scaturisce dalla roccia, il serpente di rame e altri simili: Es. 16.13; 17.6; 1 Co. 10.3 ; Nu. 21.8; Gv. 3.14) era motivato dal fatto che, mediante questa varietà, dovevano essere ammoniti a non arrestarsi a queste figure, la cui realtà non era duratura, ma aspettare da Dio qualcosa di meglio che durasse senza mutamenti e senza fine.
Ben diverso deve essere il nostro modo di procedere; a noi è stato rivelato e manifestato Gesù Cristo, che ha in se tutti i tesori della scienza e della sapienza (Cl. 2.3) in sì grande quantità e abbondanza, che sperare o richiedere qualche accrescimento di questi tesori, sarebbe veramente voler tentare Dio, irritarlo e provocarlo. Dobbiamo aver fame soltanto di Gesù Cristo, e cercare, contemplare, desiderare, possedere lui solo sino al gran giorno in cui nostro Signore manifesterà appieno la gloria del suo regno e, apertamente, si farà vedere da noi quale egli è (1 Gv. 3.2). Il tempo in cui viviamo è perciò definito nella Scrittura come l'ultima ora, l'ultimo giorno, gli ultimi tempi (1 Gv. 2.18; 1 Pi. .1.20), affinché nessuno si inganni desiderando inutilmente dottrine e rivelazioni nuove. Poiché dopo aver in molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri mediante i profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo figlio beneamato (Eb. 1.2) , che solo è in grado di manifestarci il Padre (Lu 10.22). In realtà lo ha manifestato a noi nella misura in cui era necessario, diventando per noi uno specchio in cui lo dobbiamo contemplare (1 Co. 13.12).
Così come è stata sottratta agli uomini l'autorità di fare e stabilire nuovi sacramenti nella Chiesa di Dio, sarebbe auspicabile che in quelli istituiti da Dio stesso fossero introdotte meno invenzioni possibile. Come infatti il vino si guasta e perde il suo sapore nell'acqua e tutta la farina fermenta a causa del lievito, così la purezza dei misteri divini si guasta e corrompe quando l'uomo vi aggiunge qualcosa di suo.
Constatiamo perciò che i sacramenti nella forma odierna, sono scaduti dalla loro purezza e dalla loro autorità. Ovunque si incontrano pompa, cerimonie e commedie più del necessario e, al contrario, non si fa conto o menzione alcuna della parola di Dio senza la quale i sacramenti stessi non sono sacramenti e le cerimonie da Dio stesso istituite non possono essere evidenziate nella moltitudine delle altre e sono anzi declassate e sommerse. Quanto poco appare nel battesimo ciò che soltanto dovrebbe essere messo in evidenza cioè il battesimo stesso! La Cena è stata interamente annullata quando è stata trasformata in messa, eccetto una volta all'anno, in cui appare in qualche modo, ma squartata, dispersa, spezzata, divisa. E del tutto deformata.
CAPITOLO 19
VERA NATURA DELLE ALTRE CINQUE CERIMONIE FALSAMENTE DETTE SACRAMENTI
1. La discussione che precede sul tema dei sacramenti è tale da convincere ogni persona docile e sobria a non spingere la sua curiosità oltre i limiti, e a non ricevere, senza il fondamento della parola di Dio, altri sacramenti all'infuori di quei due che abbiamo visto istituiti dal Signore. Dato però che la teoria dei sette sacramenti è stata sempre così diffusa fra la gente, ha fatto oggetto di tante polemiche e prediche e sin dall'antichità si è piantata nel cuore di tutti e vi permane tuttora radicata, mi sembra utile esaminare in modo più approfondito quei cinque altri riti che, comunemente, sono annoverati fra i sacramenti del Signore e, avendone svelato il carattere falsamente sacramentale, far conoscere ai semplici che cosa siano in realtà e come siano stati, sin qui, accolti fra i sacramenti senza ragione.
In primo luogo tengo a precis.re che non sollevo la questione terminologica per amore di polemica ma, poiché l'abuso del termine conduce a cattive conseguenze, sono costretto a refutarlo perché la verità della cosa stessa risulti chiara. So bene che i cristiani non debbono essere vincolati con superstizione alle parole, purché la realtà sia autentica e valida. Non sarebbe dunque il caso, per un termine, di sollevare una questione, quand'anche risultasse usurpato ingiustamente a condizione che la dottrina fosse pura.
C'è però un'altra ragione per rifiutare il termine "sacramento ". Coloro infatti che ne contano sette, attribuiscono a tutti questa definizione: "Sono segni visibili della invisibile grazia di Dio "e li fanno veicoli dello Spirito Santo, mezzi per il conferimento della giustizia e fondamento della remissione dei peccati. Lo stesso Maestro delle Sentenze afferma che i sacramenti dell'antico Patto sono stati, impropriamente, indicati con questa definizione in quanto non conferivano ciò che raffiguravano. [: accettabile, vi domando, l'idea che non debbano essere ritenuti sacramenti quei segni che il Signore stesso ha consacrato esplicitamente di sua bocca, e a cui ha commesso promesse così ricche e questo onore sia invece trasferito a cerimonie inventate dalla mente umana?
Perciò ovvero i papisti mutano la loro definizione, o si astengono dall'usurpare indegnamente quel termine che ingenera opinioni false e perverse.
L'estrema unzione, dicono essi, è sacramento ed è anch'essa figura e causa della grazia invisibile. Non potendosi assolutamente accettare la conclusione, che pretendono far derivare dal termine, conviene prevenirli riguardo all'uso stesso del termine e opporre subito resistenza a ciò che rischia di causare errori. Analogamente, volendo dimostrare che l'estrema unzione è sacramento, aggiungono questa motivazione: essa consiste nel segno esteriore e nella parola di Dio. Non riscontrandosi però né comandamento né promessa da riferire a questo che altro possiamo fare se non opporci?
2. È dunque evidente che la nostra polemica non concerne i termini ma la realtà stessa; è chiaro altresì che questa discussione non è superflua se tali sono le conseguenze. Dobbiamo pertanto ricordare quanto è stato sopra dimostrato con inoppugnabili motivazioni: la facoltà di istituire i sacramenti spetta a Dio solo. Dovendo il sacramento recare consolazione e conferma alle coscienze dei credenti, è chiaro che non potrebbero ricevere questo carattere di certezza da un uomo. Il sacramento deve essere una testimonianza della misericordiosa volontà di Dio nei nostri riguardi, di cui nessun angelo e nessun uomo può essere testimone, perché nessuno è stato consigliere di Dio (Is. 40.13; Ro 11.34). Egli stesso ci dichiara, mediante la sua parola, quali siano le sue intenzioni. Il sacramento è un sigillo da cui è sigillato il testamento e la promessa di Dio. Non potrebbero essere sigillo di tali promesse realtà materiali o appartenenti a questo mondo se non fossero a ciò destinate dal potere di Dio. L'uomo dunque non ha facoltà di istituire sacramenti poiché non appartiene al suo potere far sì che i grandi misteri di Dio siano nascosti sotto cose così vili. Bisogna che la parola di Dio preceda a far sì che il sacramento sia sacramento, come è detto molto bene da sant'Agostino.
Inoltre, se non vogliamo cadere in molte assurdità, è necessario distinguere tra i sacramenti e le altre cerimonie. Gli Apostoli hanno pregato in ginocchio (At. 9.40; 20.30; faremo di ciò un sacramento? Gli antichi si volgevano verso Oriente per pregare, la visione del sol levante sarà per noi sacramento? Il gesto di alzare le mani è legato nella Scrittura con la preghiera (1 Ti. 2.8) , ne faremo un sacramento? Di questo passo ogni atteggiamento dei santi sarebbe sacramento.
3. Se pensano ridurci al silenzio con l'autorità della Chiesa antica, dico che falsamente ne invocano la tutela. Questo numero di sette non si trova infatti in alcuno dei dottori della Chiesa né si è in condizione di determinare quando sia entrato nell'uso. Riconosco, è vero, che i dottori della Chiesa fanno, a volte, uso del termine con una certa libertà e in diverse occasioni; ma indicando indifferentemente con esso ogni cerimonia in uso nella cristianità. Quando però parlano dei segni che ci debbono essere testimonianza della grazia di Dio si accontentano di questi due: battesimo ed eucarestia.
Citerò alcuni testi di sant'Agostino per documentare la mia affermazione. Egli si esprime così a Ianuario: "Voglio che tu sappia che nostro Signore Gesù, come afferma egli stesso nell'evangelo, ci ha imposto un gioco lieve e un carico leggero. Ha pertanto stabilito nella Chiesa cristiana un numero limitato di sacramenti, facili da osservare, di significato evidente quali il battesimo, consacrato al nome della Trinità e la comunione al corpo e al sangue del Signore e qualche altro ordinato nella Scrittura ".
E ancora nel libro: Della dottrina cristiana: "Dalla risurrezione di nostro Signore possediamo pochi segni ordinati da lui o dai suoi apostoli. Quelli che abbiamo sono facili da osservare ed eccellenti nel loro significato quali il battesimo e la celebrazione del corpo e del sangue del Signore ".
Non fa menzione alcuna di quel numero sette in cui i papisti vedono così grande mistero, perché? È concepibile questo silenzio da parte sua se questo numero fosse già stato accolto nella Chiesa, considerando anche che la sua curiosità nell'osservare le cifre è sempre stata grande, come si sa, forse più del necessario? Facendo menzione del battesimo e della Cena passa sotto silenzio gli altri. Non esprime chiaramente con questo il fatto che quei due segni hanno una preminenza singolare in dignità e tutte le altre cerimonie devono essere di grado inferiore? Affermo pertanto che, riguardo al loro numero di sette sacramenti, i papisti, non hanno solo la parola di Dio contraria ma anche la Chiesa antica, quantunque facciano finta di no e si vantino di averla dalla loro parte.
DELLA CONFERMAZIONE.
4. Secondo la prassi della Chiesa antica i figli dei cristiani giunti nell'età che, comunemente, si dice: di giudizio, erano presentati al vescovo per fare confessione della loro fede cristiana come i pagani convertiti al momento del loro battesimo. Quando infatti un uomo maturo voleva essere battezzato veniva istruito per qualche tempo finché fosse in grado di fare una confessione di fede davanti al vescovo e a tutto il popolo. Quelli che erano stati battezzati nella loro infanzia, non avendo fatto tale confessione al momento del loro battesimo, diventati adulti, si presentavano una seconda volta al vescovo per essere esaminati sulla base del catechismo allora in uso.
Affinché questo atto avesse maggior dignità e prestigio si ricorreva alla cerimonia della imposizione delle mani. Il giovane,
Avendo così confermato la sua fede, era accompagnato con una benedizione solenne. Questa cerimonia è spesso menzionata dagli antichi dottori. Per esempio da Leone vescovo di Roma quando afferma: "Se alcuno si converte dall'eresia non lo si battezzi una seconda volta ma gli sia conferita, mediante l'imposizione delle mani da parte del vescovo, la potenza dello Spirito Santo che gli mancava precedentemente ".
I nostri avversari non mancheranno di gridare, a questo punto, che tale cerimonia deve essere detta sacramento in quanto vi è conferito lo Spirito Santo. In un altro testo, però, Leone dichiara cosa intenda con questa affermazione che chi è stato battezzato da eretico non debba essere ribattezzato ma confermato con l'imposizione delle mani pregando gli dia il suo Spirito Santo; questo accade perché quell'uomo ha ricevuto solo la forma del battesimo e non la santificazione. Anche Girolamo fa menzione di questo contro i Luciferiani. E quantunque si inganni chiamandola prescrizione apostolica, è tuttavia molto lontano dalle assurde fantasticherie che hanno ora i papisti. Precisa anzi il suo pensiero aggiungendo che questa benedizione è stata lasciata ai vescovi soli più per motivo di onore che per necessità.
Quanto a me approverei una tale imposizione delle mani qualora si attuasse semplicemente come forma di intercessione. Sarei del tutto favorevole a che se ne facesse uso anche oggi purché con purezza e senza superstizioni.
5. Coloro che sono venuti in seguito hanno rovesciato e sepolto questi antichi ordinamenti e al loro posto hanno introdotto quella tal confermazione da essi inventata e l'hanno fatta valere qual sacramento di Dio. E per ingannare la gente hanno fatto finta che il suo potere fosse quello di conferire lo Spirito Santo come accrescimento della grazia, data con l'innocenza al battesimo, confermare al combattimento coloro che al battesimo fossero stati rigenerati a vita. Ora questa confermazione viene effettuata con l'unzione e con le parole: "Ti segno del segno della santa croce e confermo con l'unzione di salvezza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ".
Queste cose sono belle ed edificanti, dove è però la parola di Dio che annunzi in questo caso la presenza dello Spirito Santo? Non sono in grado di citarne neppure la traccia. In base a che cosa possono pretendere che la loro unzione è uno strumento dello Spirito Santo? Vediamo dell'olio, un liquido grasso e spesso, ma nulla più. "La parola "dice sant'Agostino "sia aggiunta agli elementi e questi diventeranno sacramenti ". Mostrino dunque questa Parola se vogliono farci vedere nell'olio qualcosa di più dell'olio stesso. Se si dichiarano, come è il caso, ministri dei sacramenti non sarebbe il caso di polemizzar più a lungo. La prima regola di un ministro è di non prendere alcuna iniziativa senza mandato. Citino dunque qualche mandato che sia stato loro dato per compiere questo e non si discuterà oltre. Se tale mandato manca non possono negare che il loro modo di agire sia frutto di una presunzione assai grave.
Per la stessa ragione nostro Signore poneva ai Farisei la domanda se il battesimo di Giovanni fosse dal cielo o dagli uomini. Qualora avessero risposto: dagli uomini, lo dichiaravano vano e frivolo. Se invece lo dicevano: dal cielo, si vedevano costretti ad accogliere la dottrina di Giovanni. Nel timore di recare offesa a Giovanni non osarono dichiarare che il suo battesimo fosse dagli uomini (Mt. 25.27). Analogamente se la confermazione è dagli uomini risulta chiaramente che si tratta di cosa frivola e vana. Vogliono dimostrare che è dal cielo? Lo provino.
6. Pretendono garantirsi con l'esempio degli apostoli, i quali, a loro giudizio, non hanno compiuto nulla senza motivo. È ben vero, e non sarei io a rimproverarli qualora potessero dimostrare di imitare gli apostoli. Ma che cosa questi ultimi hanno fatto? San Luca narra, nel libro degli Atti che gli apostoli, residenti a Gerusalemme, avendo udito che i territori della Samaria avevano ricevuto la parola di Dio vi delegarono Pietro e Giovanni e costoro essendovi giunti, pregarono per i Samaritani affinché lo Spirito Santo fosse loro concesso, che non era ancora sceso su alcuno di loro, quando erano stati battezzati solo nel nome di Gesù; e narra ancora che, dopo aver pregato, gli apostoli imposero le mani a costoro, e in seguito a questa imposizione i Samaritani ricevettero lo Spirito Santo (At. 8.14-17). Lo stesso san Luca fa menzione in altre circostanze, di questa imposizione delle mani.

Constato che in questo caso gli apostoli hanno eseguito fedelmente il loro compito. Il Signore voleva che le grazie visibili e meravigliose del suo Spirito Santo, che spandeva allora sul suo popolo, fossero amministrate dagli apostoli e distribuite mediante questa imposizione delle mani. In questa cerimonia non mi pare si possa individuare qualche profondo mistero; penso che gli apostoli l'hanno adoperata per significare che offrivano a Dio quello a cui imponevano le mani e lo raccomandavano a lui. Se riscontrassimo oggi, nella Chiesa, quel ministero che era stato allora ordinato agli apostoli dovremmo logicamente mantenere l'imposizione delle mani. Dato però che questa grazia non è più conferita, a che serve l'imposizione delle mani? Certo lo Spirito Santo sussiste tuttora nel popolo di Dio, e la Chiesa non può esistere senza la guida e il consiglio dello Spirito; abbiamo la promessa, che non verrà mai meno, secondo cui Cristo chiama a se coloro che hanno sete affinché bevano l'acqua della vita (Gv. 7.37) , ma quei poteri eccezionali e quelle manifestazioni appariscenti che erano conferite mediante l'imposizione delle mani, sono cessate dovendo avere una durata limitata nel tempo. Bisogna infatti che la nuova predicazione dell'evangelo e il nuovo regno di Cristo fossero esaltati e magnificati mediante miracoli tali che, sino a quel momento, non si erano né visti né uditi. Quando il Signore ha messo fine a questi miracoli, non per questo ha abbandonato la sua Chiesa, ma ha solo dichiarato che la magnificenza del suo Regno e la dignità della sua parola erano sufficientemente garantite. In che cosa dunque questi commedianti seguono gli apostoli? Sarebbe opportuno che mediante l'imposizione delle mani si manifestasse immediatamente, e in modo evidente, la forza dello Spirito Santo. Questo non accade. Perché dunque ricorrere all'imposizione delle mani? Riconosciamo certo che essa fu in uso presso gli apostoli ma con tutt'altra intenzione.
7. Questo riferimento all'imposizione delle mani è del tutto privo di significato, altrettanto quanto il pretendere che il soffio, con cui il Signore soffiò sui suoi discepoli (Gv. 20.22) , sia un sacramento, mediante cui viene conferito lo Spirito Santo. Quando il Signore lo fece non volle significare con questo che lo dovessimo fare anche noi. E in questo stesso modo gli apostoli hanno fatto uso dell'imposizione delle mani, durante il tempo in cui piaceva al Signore rispondere alle loro preghiere con il dono dello Spirito, e non affinché quelli, che in seguito sarebbero venuti, imitassero senza alcun frutto questo segno di per se vuoto e inutile come fanno ora queste scimmie.
Anzi, qualora riuscissero a dimostrare che nell'imposizione delle mani seguono gli apostoli (con cui tuttavia non c'è nulla in comune all'infuori di questa assurda e perversa imitazione ) donde hanno ricavato quell'olio che chiamano salutare? Chi ha insegnato loro a cercare la salvezza nell'olio, ad attribuirgli poteri di dar conforto spirituale; è forse san Paolo il quale ci sottrae così fortemente agli elementi di questo mondo (Ga 4.9) , e che non condanna nulla in modo così radicale quanto il soffermarsi a pratiche del genere? (Cl. 2.20).
Al contrario mi permetto di dichiarare coraggiosamente, non sulla base di un mio giudizio ma su quello di Dio, che rinunciano alla salvezza in Cristo quelli che definiscono l'olio olio di salvezza e rifiutano il Cristo, non avendo parte in modo alcuno al regno di Dio. L'olio infatti esiste per lo stomaco e lo stomaco per l'olio e il Signore li distruggerà entrambi; cioè tutti questi deboli elementi che si logorano con l'uso non appartengono in nulla al Regno di Dio che è invece di natura spirituale ed eterna.
E che? Dirà qualcuno, vuoi tu misurare con lo stesso metro l'acqua in cui siamo battezzati e il pane e il vino sotto cui ci è presentato il corpo e il sangue del Signore nella Cena? Rispondo che nei sacramenti vi sono due elementi da considerare: la sostanza dell'oggetto corporale, che ci è presentato, e il segno che vi è posto mediante la parola di Dio, segno in cui sta tutta la sua forza. In quanto dunque il pane, il vino e l'acqua, che costituiscono i sacramenti, quali ci si presentano, mantengono la loro sostanza naturale, è vera la parola di san Paolo: il nutrimento è per il ventre ed il ventre per il nutrimento, il Signore distruggerà entrambi (1 Co. 6.13); tali sostanze infatti deperiscono e si disfano con la figura di questo mondo. Ma in quanto queste cose sono santificate dalla parola di Dio, per diventare sacramenti, non ci vincolano alla carne ma ci forniscono un insegnamento spirituale.
8. Consideriamo più da vicino quante mostruosità genera quest'olio. Questi oliatori affermano che lo Spirito Santo è conferito al battesimo per creare l'innocenza e nella confermazione per aumentare le grazie, che nel battesimo siamo rigenerati a Vita nuova, e nella confermazione siamo equipaggiati per il combattimento. Sono a tal punto privi di pudore che si spingono sino a negare la perfezione del battesimo senza confermazione. Quale perversità! Non siamo forse sepolti mediante il battesimo con Cristo per essere resi partecipi della sua risurrezione? (Ro 6.4). Ora san Paolo interpreta questa compartecipazione alla morte e alla vita di Gesù Cristo nel senso che rappresenta la mortificazione della nostra carne e la vivificazione dello spirito in quanto il nostro vecchio uomo è crocifisso affinché camminiamo in novità di vita. In che cosa potremmo essere meglio equipaggiati nel combattimento contro il Diavolo? Se osano calpestare in questo modo, senza rispetto, la parola di Dio, dovrebbero, per lo meno, rispettare la Chiesa di cui si pretendono figli obbedienti. In realtà questa falsa dottrina non potrebbe essere condannata in modo più severo di quanto fu anticamente decretato al concilio di Milevo, ai tempi di sant'Agostino: chiunque dichiara il battesimo essere dato per la sola remissione dei peccati e non per aiuto della grazia dello Spirito Santo sia anatema . Riguardo a quella citazione di san Luca, a cui già ci siamo riferiti, secondo cui i Samaritani erano stati battezzati nel nome di Gesù eppure non avevano ricevuto lo Spirito Santo (At. 8.16) , non è detto che essi non avessero ricevuto nessun dono dello Spirito, credevano infatti in Gesù Cristo, e lo confessavano di tutto cuore; è dichiarato che non avevano le manifestazioni evidenti e le grazie visibili connesse Cl. Dono dello Spirito. In questo senso è detto che gli apostoli ricevettero lo Spirito nel giorno della Pentecoste (At. 2.4) , quantunque già da lungo tempo fosse stato loro detto da Cristo: "Non siete Voi che parlate ma lo Spirito del Padre parla in voi " (Mt. 10.20).
Considerate, a questo punto, voi tutti che siete di Dio, la sottile e pestilenziale malizia di Satana! Egli fa sì che sia conferito nella sua confermazione ciò che in realtà era dato al battesimo per distoglierci astutamente dal battesimo. Chi dubiterà ora che questa dottrina sia satanica, la quale avendo sottratto al battesimo le promesse che gli erano specifiche le trasferisce altrove? Si vede, ripeto, su che fondamento poggia questa fantastica unzione. La parola di Dio dichiara che tutti coloro che sono battezzati in Cristo hanno rivestito Cristo con tutti i suoi doni (Ga 3.27). La parola di questi oliatori è che non abbiamo ricevuto alcuna promessa al battesimo in grado di fortificarci nel combattimento contro il Diavolo. La prima dichiarazione è verità; implicito è dunque che quest'ultima sia menzogna.
Posso dunque definire questa confermazione in modo più preciso di quanto abbiano fatto sin qui: si tratta di una chiara contumelia, una bestemmia contro il battesimo di cui ne oscura, per non dire annulla, l'uso, e si riduce ad una falsa promessa del Diavolo per sottrarci alla verità di Dio o, se preferiamo, si tratta di olio contaminato dalla menzogna del Diavolo per ingannare i semplici e gli ingenui.
9. Inoltre questi oliatori affermano che tutti i credenti devono ricevere, mediante l'imposizione delle mani, lo Spirito Santo dopo il battesimo per essere cristiani compiuti, poiché non c'è nessun vero cristiano se non colui che è unto mediante il crisma episcopale. Sono parole loro.
Ho sempre creduto che tutto ciò che riguarda la fede cristiana fosse contenuto e dichiarato nelle Scritture; ora, a quel che vedo, bisogna cercare altrove la norma autentica della religione. La sapienza di Dio, la verità celeste, tutta la dottrina di Cristo darebbero dunque solo l'avvio al cristiano, l'olio lo renderebbe perfetto. In base a tale dottrina sono condannati gli apostoli e tutti i martiri che, è ben evidente, non sono mai stati unti. Infatti non esisteva allora questo olio santo mediante cui la loro fede cristiana potesse essere resa compiuta, anzi che li facesse cristiani, dato che non lo erano ancora.
Non ho bisogno di proseguire, questi oliatori si confutano da se. Quanta parte del loro popolo infatti si fa cresimare dopo il battesimo? Neppure la centesima. Perché dunque tollerano l'esistenza di questi mezzi cristiani nel loro gregge, mentre potrebbero così facilmente porre rimedio alla loro imperfezione? Perché tanta negligenza nel permettere che i loro sudditi omettano di fare ciò che non può essere omesso senza rendersi colpevole di grave delitto? Perché non obbligare in modo tanto più insistente ad una azione così necessaria e senza la quale, secondo la loro opinione non si può ottenere salvezza se non in caso di impedimento per morte subitanea? Certo tollerando che essa sia così facilmente disprezzata, confessano tacitamente che non ha il valore che essi fingono di attribuirle.
10. Pretendo infine che si deve avere, per questa sacra unzione, una riverenza maggiore che per il battesimo in quanto è conferita dalla mano dei grandi prelati laddove il battesimo è semplicemente amministrato dai sacerdoti.
A questo punto sono impazziti del tutto dando alle loro invenzioni tale valore da osare, in nome di queste, insultare le sante istituzioni di Dio? Lingua sacrilega oseresti tu contrapporre al sacramento di Cristo del grasso infetto dal puzzo del tuo alito e carico di incantesimi dalle tue parole? Oseresti tu paragonarlo all'acqua santificata dalla parola di Dio? Paragonarla sembrava troppo poco alla tua presunzione, hai dovuto anteporla. A questo mirano i decreti della santa Sede apostolica!

Alcuni di loro hanno voluto mettere un freno a questa rabbia insensata che pareva eccessiva, a loro giudizio, ed hanno affermato che l'olio della confermazione deve tenersi in maggior considerazione del battesimo non in quanto possieda e conferisca maggior potere, utilità, ma in quanto è dato da persone di maggior dignità e si compie in una parte del corpo più degna, cioè sulla fronte, o che conferisce un maggior accrescimento di potenza quantunque il battesimo abbia maggior valore per quanto concerne la remissione dei peccati.
Per quanto concerne la prima motivazione non si rivelano forse Donatisti vincolando la forza del sacramento alla dignità del ministro? Ammettiamo tuttavia che la confermazione possa considerarsi rivestita di maggior dignità in considerazione della dignità della mano episcopale. Se qualcuno chiede loro donde venga ai vescovi questa prerogativa che argomento possono addurre se non le loro fantasie? Gli apostoli, affermano, furono i soli a valersi di quel diritto, in quanto essi soli hanno distribuito lo Spirito Santo. Sono forse apostoli solo i vescovi? Anzi sono essi in qualche modo apostoli? Concediamo loro anche questo; perché non ricorrere al medesimo argomento affermando che i vescovi sono i soli a poter toccare il sangue nella Cena di nostro Signore, che negano ai laici, in quanto nostro Signore l'ha data, come essi pretendono, soltanto agli apostoli? Se agli apostoli soltanto perché non trarne la conseguenza che debba essere dato solo ai vescovi? In quel caso essi fanno gli apostoli semplici sacerdoti, nel caso nostro ne fanno dei vescovi. Inoltre Anania non era affatto apostolo pure fu inviato a san Paolo per fargli ricuperare la vista, battezzarlo e riempirlo di Spirito Santo (At. 9.17-19). Aggiungerò ancora questo oltre la misura: se tale ufficio spettava di diritto ai soli vescovi perché hanno osato affidarlo ai semplici preti come si legge in alcune epistole di Gregorio?
2. Quanto frivola, sciocca ed assurda è l'altra motivazione, che cioè la loro confermazione debba essere considerata più degna del battesimo di Dio, in quanto è la fronte che viene umettata d'olio mentre nel battesimo è la testa. Quasi il battesimo fosse fatto con l'olio e non con l'acqua. Chiamo a testimoni, in questo caso, tutti coloro che temono Iddio perché giudichino se questi falsari non si sforzano di contaminare la purezza del sacramento con il lievito della loro falsa dottrina. Ho affermato altrove che difficilmente si può riconoscere ciò che è di Dio in mezzo alla moltitudine delle invenzioni umane. Se qualcuno non mi prestò fede in quel caso, per lo meno creda ora ai suoi maestri. Ecco l'acqua, il segno di Dio, disprezzata e rifiutata; così tanto onorano nel battesimo soltanto il loro dio. Al contrario affermiamo che nel battesimo la fronte è bagnata con un'acqua paragonato alla quale il loro olio è da considerarsi semplicemente letame, sia nel battesimo che nella confermazione. E se qualcuno viene a dire che costa più caro sarà facile rispondere che la loro vendita è un inganno, iniquità e furto.
La loro empietà risulta manifesta nel terzo argomento, quando insegnano che nella confermazione viene conferito un accrescimento di potere maggiore che nel battesimo. Gli apostoli hanno amministrato le grazie visibili dello Spirito Santo mediante l'imposizione delle mani. In che si dimostra utile il grasso di questi ingannatori?
Lasciamo da parte questi maestri che giustificano la bestemmia con altre bestemmie. Si tratta di un nodo insolubile e val meglio reciderlo che perder tempo a scioglierlo.
12. Vedendosi privi della garanzia della parola di Dio, e di ogni ragione plausibile, pretendono trattarsi di una prassi tradizionale, molto antica e confermata dal consenso di molte generazioni. Quand'anche ciò risultasse vero, non sarebbe un argomento valido. Il sacramento non viene dalla terra ma dal cielo, non dagli uomini ma da Dio soltanto. Mostrino che Dio è autore della loro confermazione se vogliono che la si consideri sacramento. Perché tirare in ballo l'antichità visto che gli antichi non menzionano in nessun caso più di due sacramenti? Dovessimo trarre dagli uomini la garanzia della nostra fede avremmo un argomento inoppugnabile in questo: gli antichi non hanno mai considerato sacramento ciò che falsamente essi chiamano sacramento. Gli antichi parlano dell'imposizione delle mani; la chiamano forse sacramento? Sant'Agostino afferma esplicitamente che non è altro se non una forma di preghiera . E non vengano in questo caso a confondere le carte, con le loro assurde distinzioni, dicendo che il testo di sant'Agostino non deve intendersi riferito all'imposizione delle mani confermata ria ma all'imposizione delle mani curatoria e riconciliatoria. Il libro è nelle mani di tutti. Se interpreto le parole in un senso diverso da quello che sant'Agostino ha dato, scrivendole, mi si sputi in faccia. Egli parla degli eretici che si riconciliavano con la Chiesa e dichiara che non dovevano essere battezzati ma bastava imporre loro le mani affinché, mediante il vincolo della pace, Dio conferisse loro il suo Spirito. E prevedendo l'obiezione che sarebbe irragionevole ripetere l'imposizione delle mani piuttosto che il battesimo, egli aggiunge che esiste una sostanziale differenza in quanto quella non è che una forma di preghiera che si fa sull'uomo. Che tale sia il senso del suo dire risulta ancora da un altro suo testo dove dice: "Si impongono le mani agli eretici che si riconducono alla Chiesa per unirli nello spirito della carità, in cui consiste il dono di Dio e senza la quale nessuna santificazione può essere salutare per l'uomo ".
13. Io augurerei che riprendessimo la prassi seguita dagli antichi prima che questo aborto di sacramento entrasse in uso. Non che esistesse allora una simile forma di confermazione, che non si può neppur nominare senza che venga recata ingiuria al battesimo, ma una istruzione cristiana mediante cui i fanciulli, o coloro che sono usciti dall'infanzia, avessero occasione di dichiarare le motivazioni della loro fede in presenza della Chiesa. Sarebbe questa una eccellente forma di istruzione: avere un formulario in cui fossero contenuti e illustrati, in modo semplice, i punti fondamentali della nostra religione, cui la Chiesa universale deve consentire senza divergenza, e il bambino verso i dieci anni si presentasse alla Chiesa per fare la sua confessione di fede. Interrogato su ogni punto vi dovesse rispondere; qualora ignorasse qualcosa o non avesse afferrato bene il significato fosse istruito in tal modo da saper confessare, presente e testimone la Chiesa, la vera fede, pura e unica con cui tutto il popolo dei credenti onora Dio.
È indubbio che, se venisse attuata questa disciplina, si porrebbe rimedi alla pigrizia di molti genitori, essi non potrebbero infatti tralasciare l'istruzione dei loro figli, di cui ora non si danno molta cura senza incorrere in vergogna. Vi sarebbe nel popolo una migliore intesa nella fede comune né si riscontrerebbe una così grande ignoranza in molti. Parecchi non sarebbero così facilmente trascinati da nuove dottrine; insomma ognuno avrebbe, in qualche modo, uno schema della dottrina cristiana.
DELLA PENITENZA.
14. Viene appresso la penitenza, riguardo alla quale si esprimono in modo così confuso e disordinato che non si può ricavare nulla di chiaro e di certo dalla loro dottrina. Abbiamo in altra sede trattato diffusamente l'insegnamento della Scrittura riguardo alla penitenza, e in seguito ciò che costoro insegnano. Ora dobbiamo semplicemente accennare alle ragioni molto superficiali, anzi del tutto prive di valore, in base alle quali ne fanno un sacramento.
Illustrerò tuttavia, brevemente, anzi tutto la prassi della Chiesa antica, riferendosi alla quale i papisti hanno contrabbandato le loro assurde fantasie, e le mantengono tuttora.
Gli antichi seguivano nella penitenza pubblica questa prassi: quando il penitente aveva soddisfatto le penitenze che gli erano state imposte, era riconciliato con la Chiesa mediante l'imposizione delle mani. Questo rappresentava un segno di assoluzione che doveva, da un lato dare conforto al peccatore e dall'altro ammonire il popolo che il ricordo della sua offesa doveva essere cancellato. Questo segno è stato sovente definito da san Cipriano concessione o dono di pace. Anzi, affinché quest'atto avesse maggior autorità era stato stabilito che non si dovesse fare senza il consenso del vescovo. A questo si riferisce il decreto del secondo concilio di Cartagine secondo cui un prete non deve riconciliare pubblicamente un penitente. In un altro decreto del concilio di Orange: coloro che abbandonano questo mondo prima della fine della loro penitenza potranno ricevere la comunione senza l'imposizione delle mani riconciliatorie; ma se qualcuno riacquista la salute sia riconciliato dal vescovo. Si trova pure un decreto simile nel terzo concilio di Cartagine. Tutti questi statuti avevano lo scopo di tutelare quella severità che si voleva fosse mantenuta. Il vescovo doveva essere a conoscenza della causa in quanto si sarebbe potuto trovare preti troppo inclini a concedere il perdono. San Cipriano attesta però, in un altro scritto, che il vescovo non era solo ad imporre le mani sul penitente ma tutto il clero partecipava con lui a questo gesto.
Da allora, col passar del tempo, questa prassi è stata così pervertita che si è giunti a trasformare questa cerimonia in assoluzione privata, cioè fuori della penitenza pubblica. Di qui nasce la distinzione fatta da Graziano nella raccolta delle Decretali tra la riconciliazione pubblica e quella privata.
Per quanto mi riguarda affermo che la norma di cui parla san Cipriano è santa e utile alla Chiesa e vorrei fosse oggi applicata. Riguardo all'altra non la riprovo del tutto, nondimeno non penso sia di grande utilità.
Noi constatiamo comunque che l'imposizione delle mani nella penitenza è cerimonia istituita dagli uomini e non stabilita da Dio; di conseguenza deve essere considerata cosa indifferente o essere inclusa nelle pratiche di cui non si deve far conto come dei sacramenti fondati invece sulla parola di Dio.

15. I teologi romanisti che hanno il vezzo di insozzare e corrompere ogni cosa con le loro glosse si danno un gran daffare per dimostrare il carattere sacramentale della penitenza. Non c'è da stupirsi per questa loro difficoltà: cercano quello che non esiste. Non sapendo, infine, che fare, da gente priva di argomenti, lasciano che tutto permanga in sospeso, nel vago, incerto e confuso in una diversità di opinioni.
Così da un lato affermano che la penitenza esteriore è sacramento. Quand'è così bisogna considerarla segno della penitenza interiore, cioè della contrizione del cuore, che diventa perciò la sostanza del sacramento; affermano d'altra parte che entrambi sono sacramenti, non due ma uno solo, nella sua pienezza. E che fatto esteriore è solo sacramento, l'interiore sacramento e sostanza, e la remissione dei peccati è sostanza del sacramento, non sacramento.
Per dare una risposta a tutte queste interpretazioni si riferisca a quanto dicono costoro la definizione che abbiamo dato sopra e si riscontrerà che manca ogni corrispondenza, visto che la penitenza non è affatto una cerimonia esterna istituita dal Signore per confermare la nostra fede.
Risponderanno che la mia definizione non è normativa al punto che debbano sentirsi vincolati necessariamente, ascoltino dunque sant'Agostino, a cui fanno finta di obbedire con assoluta riverenza: "I sacramenti "dice "sono istituiti in forma visibile per gli uomini carnali, affinché siano, per gradi condotti dalle cose che si vedono a quelle che si intendono con l'intelletto ". Che cosa si può trovare, in questa definizione, che assomigli a quello che chiamano sacramento della penitenza?
Sant'Agostino afferma ancora in un altro testo: "Il sacramento è così detto perché in lui una cosa è vista e una cosa è intesa. Ciò che si vede ha figura corporea, ciò che vi è inteso ha una conseguenza spirituale ". Neppure questo si addice al sacramento della penitenza, così come lo presentano, in cui non esiste alcuna forma corporea che sia rappresentazione di frutti spirituali.
16. A volerli confutare, sul loro stesso terreno ci si può chiedere: se esiste qui un qualche sacramento non è forse più opportuno affermare che è rappresentato dall'assoluzione del prete piuttosto che dalla penitenza esteriore o interiore? Sarebbe infatti facile affermare che si tratta di una cerimonia stabilita per dare alla nostra fede conferma della remissione dei peccati, e riferita alla potestà delle chiavi, come la chiamano, cioè: quanto avrai legato e sciolto sulla terra sarà legato e sciolto nei cieli. Si potrebbe obiettare, in risposta, che molti sono assolti dal prete senza che tale assoluzione rechi alcun vantaggio, mentre, secondo la loro dottrina, i sacramenti della nuova legge devono recare in efficacia quanto rappresentano in figura.
La risposta non è difficile: come nella Cena siamo in presenza di una doppia manducazione, l'una sacramentale, comune ai buoni e ai malvagi, l'altra spirituale riservata in particolare ai buoni, analogamente si potrebbe dedurre che l'assoluzione si riceve sotto una doppia forma. È vero che non sono sin qui riuscito a capire come possano affermare che i sacramenti della nuova legge hanno tale efficacia; come ho dimostrato trattando questa materia a suo tempo. Ho inteso qui soltanto affermare che questo scrupolo non impedisce che si definisca l'assoluzione del prete "sacramento "; risponderanno per bocca di sant'Agostino che la santificazione è a volte presente senza la presenza del sacramento e questo sacramento è a volte presente senza la santificazione interiore . Che i sacramenti compiono quanto raffigurano solo per gli eletti; anche che gli uni rivestono Cristo nella recezione del sacramento, gli altri sino alla santificazione. Il primo modo si verifica sia per i buoni che per i malvagi, il secondo solo per i buoni. Certo si sono fuorviati in modo puerile e sono stati accecati dal sole non essendo in grado di comprendere, in questo problema, un fatto così evidente.
17. Qualsiasi interpretazione diano del loro sacramento contesto però si debba considerare tale.
In primo luogo perché non c'è alcuna promessa di Dio, ed è questa che costituisce l'unico fondamento del sacramento. Abbiamo già dichiarato in precedenza che il potere delle chiavi non si riferisce in alcun modo ad una forma di assoluzione specifica ma alla sola predicazione dell'evangelo, rivolto a molte come ad una sola persona, senza distinzione; nostro Signore cioè, con questa promessa, non intende affatto porre le basi di una assoluzione specifica da farsi particolarmente al singolo ma di una assoluzione rivolta indistintamente a tutti i peccatori senza carattere particolare.
In secondo luogo ogni cerimonia che si può produrre in questo caso è pura invenzione degli uomini, mentre è stato precedentemente stabilito che le cerimonie sacramentali riferentisi ai sacramenti non possono essere stabilite se non da Dio; quanto hanno inventato e raccontato, circa il sacramento della penitenza, non è dunque altro che finzione e inganno.
Anzi, hanno rivestito questo sacramento di un titolo che non gli competeva, affermando che si tratta di una seconda tavola di salvezza dopo il naufragio. Se qualcuno ha macchiato Cl. Peccato la veste di innocenza ricevuta al battesimo la può lavare mediante la penitenza. È dichiarazione di san Girolamo, affermano. Sia di chi vuole, non se ne può giustificare il significato perverso, qualora la si interpreti a modo loro, quasi il battesimo possa essere cancellato dal peccato, e non debba invece essere ricordato dai peccatori ogniqualvolta cercano la remissione dei peccati, affinché riprendano coraggio, forza, e fiducia di ottenere quella remissione dei peccati, promessa loro appunto nel battesimo.
L'insegnamento dato da san Girolamo, in forma un po' troppo approssimativa, che cioè il battesimo da cui sono scaduti coloro che meritano la scomunica è rimediato mediante la penitenza, è da questi falsari utilizzato per difendere la loro empietà. Molto appropriatamente si dirà il battesimo sacramento di penitenza poiché è stato dato come consolazione per coloro che si sforzano di far penitenza. E affinché non si pensi trattarsi di una mia fantasia ricorderò che è stata questa opinione ferma e generale nella Chiesa antica. Nel libro intitolato Della fede, che si attribuisce a sant'Agostino, il battesimo è appunto definito "sacramento di fede e di penitenza ".
Perché ricorrere a testimonianze incerte; si può forse trovare qualcosa di più esplicito delle parole dell'evangelista: Giovanni ha predicato il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati? (Mr. 1.4; Lu 3.3).
DELLA ESTREMA UNZIONE.
18. Il terzo sacramento contraffatto è l'estrema unzione; solo il prete la può dare, in fin di vita, con l'olio consacrato dal vescovo e con la formula: con questa santa unzione e per sua misericordia Dio ti perdoni tutto ciò con cui lo hai offeso con l'udito, la vista, l'odorato, il tatto e l'olfatto. Pretendono che il potere e l'efficacia di questo sacramento sia duplice: cioè la remissione dei peccati e il sollievo della malattia fisica, se fosse ancora il caso, o la salvezza dell'anima.
Sostengono che ad istituire questo sacramento sia stato san Giacomo con le parole: "C'è fra voi qualche infermo? Chiami gli anziani della Chiesa, e preghino su di lui, ungendolo d'olio nel nome del Signore; e ritroverà la salute, se ha commesso dei peccati gli saranno rimessi ", (Gm. 5.14).
Si può, riguardo a questa unzione ripetere quanto si è già detto riguardo all'imposizione delle mani: trattasi di un trucco da giocolieri, una scimmiottatura con cui, senza ragione e senza utilità, vogliono imitare gli apostoli. San Marco narra che gli apostoli nel loro primo viaggio missionario, risuscitarono i morti, cacciarono i diavoli, purificarono i lebbrosi, guarirono i malati secondo l'ordine che avevano ricevuto dal Signore; e aggiunge che nel guarire i malati fecero uso dell'olio. "Ungevano d'olio molti malati "dice "e li guarirono " (Mr. 6.13). È questo che san Giacomo tenne presente quando ordinò di chiamare gli anziani per ungere il malato.
Chi però consideri con quanta libertà nostro Signore, e i suoi apostoli, si sono comportati in queste forme esteriori, comprenderà facilmente che queste cerimonie non nascondevano affatto sì grandi misteri. Nostro Signore, volendo restituire la vista al cieco, fece del fango con polvere e saliva (Gv. 9.6). Ne guariva alcuni toccandoli, altri con la parola (Mt. 9.29; Lu 18.42). Nello stesso modo gli apostoli hanno guarito alcune malattie con la sola parola, altre mediante il contatto, altre con l'unzione (At. 3.6; 5.16; 19.12).
Potranno obiettare che questa unzione non è stata accolta dagli apostoli senza ragione, non più di tutte le altre cose. Lo ammetto. Non nel senso però che rappresentasse uno strumento mediante cui ridare la salute, ma solo un segno, con cui venisse ricordato ai semplici donde proveniva questo potere, ad evitare che ne attribuissero il merito agli apostoli. Si tratta di una cosa comune nella Scrittura: significare lo Spirito Santo e i suoi doni mediante l'olio.
Del resto la grazia di guarire i malati non si riscontra più al giorno d'oggi, come altri miracoli che il Signore ha voluto fossero compiuti un tempo, per rendere mirabile a tutti la predicazione del suo Evangelo, che risultava allora nuova. Quand'anche ammettessimo l'estrema unzione essere stata un sacramento del potere, amministrato in quel tempo dagli apostoli, non ci appartiene ora in alcun modo visto che l'amministrazione di quei poteri non ci è più affidata.
19. Perché poi vedere un sacramento in questa estrema unzione più che in tutti gli altri segni e simboli menzionati nella Scrittura? Perché non fare uso di qualche piscina, come quella di Siloè in cui si tuffavano in certe occasioni i malati (Gv. 9.7) ? Sarebbe inutile, dicono. Non più inutile certo dell'unzione. Perché non si coricano sui morti, visto che san Paolo risuscitò un giovane morto stendendosi su di lui (At. 20.10) ? Perché non fanno un sacramento di fango composto di terra e saliva? Tutti questi esempi, affermano, rivestono un carattere di eccezionalità, ma questo dell'unzione è ordinato da san Giacomo. D'accordo, ma san Giacomo parlava per un tempo in cui la Chiesa godeva di quella benedizione che abbiamo menzionato. È: ben vero che ci vogliono far credere la stessa forza risiedere oggi nella loro unzione, noi però sperimentiamo il contrario.
Nessuno deve stupirsi della spudoratezza con cui hanno ingannato le anime, che vedevano accecate e inebetite in quanto le avevano private della loro luce e della loro vita, cioè della parola di Dio, non hanno neppure il pudore di ingannare i sensi del corpo che vive e sente. Sono dunque degni di essere presi n giro quando si vantano di possedere la grazia di guarigione. Certo nostro Signore assiste i suoi in ogni tempo e soccorre, quando è necessario, le loro infermità non meno di un tempo, ma non manifesta più quella potenza né i miracoli che si compivano per mano degli apostoli in quanto quel dono è stato limitato
Nel tempo ed è scomparso in parte anche a causa dell'ingratitudine degli uomini.
20. Non senza ragione gli apostoli raffiguravano, mediante l'olio, la grazia che era stata loro affidata, per far vedere che era la potenza di Dio, non la loro a guarire, costoro al contrario recano somma ingiuria allo Spirito Santo affermando che un po' d'olio puzzolente e inefficace contenga in realtà la potenza dello Spirito. È come pretendere che ogni olio sia virtù dello Spirito in quanto viene così chiamato nella Scrittura, o tutte le colombe siano lo Spirito Santo per il fatto che sotto tale forma è apparso (Mt. 3.16; Gv. 1.32). Imparino a leggere. Per conto nostro ci basta per ora sapere, in modo inequivocabile, che la loro unzione non è sacramento in quanto non è cerimonia istituita da Dio e non ha ricevuto da lui alcuna promessa. Quando infatti richiediamo al sacramento queste due cose: si tratti di una cerimonia istituita da Dio e vi sia congiunta una promessa, noi chiediamo parimenti che tale cerimonia sia stabilita per noi e la promessa concerna noi. Nessuno oggi richiede perciò che la circoncisione sia considerata sacramento della Chiesa cristiana, quantunque sia stata stabilita per ordine di Dio e vi fosse congiunta una promessa, in quanto non è stata ordinata a noi e la promessa che vi era congiunta non è stata fatta a noi. Che la promessa connessa con la loro unzione, non ci concerne affatto, l'abbiamo chiaramente insegnato prima, ed essi ce ne danno le prove. La cerimonia non potrebbe essere assunta se non da coloro che hanno la grazia di conferire guarigione e non da questi macellai più abili ad uccidere e ferire che guarire.
21. Quand'anche avessero ottenuto che l'affermazione di san Giacomo concernente l'unzione, convenga al nostro tempo (cosa da cui sono ben lungi ) non per questo avranno ottenuto di farci approvare la loro unzione di cui ci hanno sin qui imbrattati. Giacomo vuole che tutti i malati siano unti, costoro ungono di grasso non dei malati ma dei corpi semi morti quando l'anima è già pronta ad uscire o, come dicono, in estremità. Se posseggono nel loro sacramento una medicina per temperare la sofferenza della malattia o recare qualche sollievo all'anima si mostrano assai crudeli nel non recare in tempo quel rimedio.
San Giacomo chiede che il malato sia unto dagli anziani della Chiesa, costoro non ammettono altro untore all'infuori del prete. Interpretare il termine "anziani ", nel testo di san Giacomo, nel senso di prete ed affermare che il plurale è stato adoperato per riverenza è argomento del tutto privo di serietà; come se la Chiesa di quel tempo avesse tanta abbondanza di preti da poter recare le loro fiale d'olio in lunga processione.
Quando san Giacomo ordina semplicemente di ungere i malati non intende parlare che di olio comune, e nel testo di san Marco non si fa menzione di olio speciale, costoro non tengono in considerazione l'olio se non è consacrato dal vescovo, cioè scaldato dal suo alito, caricato di incantesimi dai suoi mormorii, salutato nove volte in ginocchio dicendo a tre riprese: ti saluto olio santo; ti saluto sacro crisma; ti saluto santo balsamo. Tale è il loro rituale. Donde hanno preso questi esorcismi?
San Giacomo afferma che quando il malato sarà stato unto con olio e si sarà pregato per lui, se è in peccato sarà assolto ed essendo perdonato dinanzi a Dio, otterrà anche sollievo alla sua pena: egli non intende affermare che i peccati siano cancellati dal grasso ma che le preghiere dei credenti raccomandando il fratello afflitto a Dio, non saranno vane. Costoro, perversamente, pretendono che in virtù della loro sacra unzione, cioè della loro abominevole unzione, i peccati siano perdonati.
Ecco l'uso che fanno, quando li si lasci in preda alla loro folle fantasia, della testimonianza di san Giacomo. Per non logorarci inutilmente nella confutazione delle loro menzogne consideriamo semplicemente le loro storie: vi si narra che Innocenzo, papa di Roma al tempo di sant'Agostino, stabilì che non solo i preti ma tutti i cristiani usassero dell'unzione per i loro malati. Come conciliano questo con quanto vogliono farci credere?
DEGLI ORDINI ECCLESIASTICI
22. Il sacramento dell'ordine si trova, nel loro elenco al quarto posto, ma risulta così fertile che partorisce altri sette sacramenti. Roba da ridere! Ti dicono che ci sono sette sacramenti e quando li si vuol contare ne vengono fuori tredici; e non possono ricorrere al cavillo di dire che i sette sacramenti dell'ordine sono un solo sacramento in quanto tendono tutti ad un sacerdozio unico e sono come gradini per raggiungere quello. Risulta infatti che ognuno di questi ha cerimonie particolari, anzi, quando si afferma che vi sono grazie diverse, non si può, secondo la loro dottrina, dubitare del fatto che ci si trovi in presenza di sette sacramenti. Perché stare a discutere su questo quasi si trattasse di una cosa dubbia, quando essi stessi dichiarano esplicitamente che ve ne sono sette?
Menzioneremo, in primo luogo, quanta assurdità vi sia nella loro pretesa che gli ordini siano sacramenti; discuteremo appresso se la cerimonia mediante la quale si introduce un ministro nel suo stato debba ricevere quel nome.
Stabiliscono dunque sette ordini o gradi ecclesiastici, cui danno i titoli di sacramento e sono i seguenti: ostiari, lettore, esorcista, accolita, suddiacono, diacono, sacerdote. Sono sette, come dicono, in virtù delle sette grazie dello Spirito Santo, espresse in sette forme, e di cui devono essere riempiti coloro che sono promossi a questi ordini sacri, ma tale grazia è loro accresciuta e più abbondantemente elargita in ogni successiva promozione.
In primo luogo il numero è invenzione, frutto di una errata esegesi della Scrittura. È: loro sembrato infatti leggere, in Isaia, la menzione di sette grazie dello Spirito Santo (Is. 11.2) , quantunque in realtà in quel testo ne menzioni solo sei e non abbia inteso fare l'elenco di tutte le grazie dello Spirito. In altri testi della Scrittura è altresì detto Spirito di vita (Ez. 1.20) , di santificazione e d'adozione dei figli di Dio (Ro 1.4; 8.15) così come è detto, in quel testo di Isaia, Spirito di sapienza, di intelligenza, di consiglio, di forza, di conoscenza e di timore del Signore. Tuttavia altri, più perspicaci, non fanno menzione di sette ordini, bensì di nove, per un parallelismo, dicono, con la Chiesa trionfante. E ancora c'è discussione fra loro in quanto gli uni considerano la tonsura come primo ordine, il vescovato come ultimo. Gli altri escludendo la tonsura includono l'arcivescovato. Isidoro fa una nuova distinzione scindendo salmisti e lettori, affidando ai primi il canto e ai secondi la lettura delle Scritture per l'insegnamento del popolo, distinzione che è mantenuta nei canoni.
In così grande diversità d'opinioni che dobbiamo lasciare o accettare? Affermeremo che vi sono sette ordini? Il Maestro delle Sentenze lo insegna ma dottori molto meglio informati dicono altrimenti. Per di più questi stessi dottori sono discordi, e dal canto loro i sacri canoni ci indicano una soluzione diversa. Questo è il consenso che esiste fra gli uomini quando iniziano a disputare delle cose di Dio senza la sua parola.
23. Dove la loro follia sorpassa ogni limite è quando pretendono fare di Cristo il precursore di ogni loro ordine.
In primo luogo, affermano, egli ha esercitato l'ufficio di ostiario quando ha espulso dal tempio venditori e compratori (Gv. 2.15; Mt. 21.12); e lo dichiara affermando: "Io sono la porta ". Ha assunto l'ordine di lettore quando nella sinagoga ha letto Isaia . È stato esorcista quando, toccando le orecchie e la lingua del sordo muto, gli ha reso l'udito e la favella (Mr. 7.33). Ha dichiarato di essere accolita con le parole: "Chiunque mi segue non cammina nelle tenebre" (Gv. 8.12). L'ufficio di suddiacono è stato da lui adempiuto quando, cintosi di un asciugamano, ha lavato i piedi agli apostoli (Gv. 13.4). Distribuendo il suo corpo e il suo sangue nella Cena (Mt. 26.20 ha esercitato l'ordine di diacono. Ha compiuto ciò che compete al sacerdote quando si è offerto sulla croce al Padre (Mt. 27.50).
Cose simili non si possono ascoltare senza ridere e mi stupisce che si siano potute scrivere senza suscitare il riso, se quelli che le hanno scritte erano uomini dotati di humor. Degno di menzione è però la sottigliezza con cui arzigogolano attorno al termine "accolito ", traducendolo "ceroferario ", da un termine che, penso, deve significare "mago ", ignoto però in tutte le lingue e in tutti i paesi. Accolita significa in greco "colui che segue e accompagna ", Cl. Loro ceroferario intendono "colui che porta i ceri ". Qualora prendessi sul serio queste follie al punto da volerle confutare meriterei di essere oggetto di beffa, tanto sono cose vane e prive di serietà.
24. Tuttavia, affinché non possano più oltre ingannare anche le donnette, bisogna smascherare le loro menzogne. Con gran pompa e solennità creano i loro lettori, salmisti, ostiari, accoliti per impegnarli in compiti che poi affidano ai bambini, o a coloro che chiamano laici. Chi accende infatti il più delle volte i ceri o versa l'acqua e il vino? Dei ragazzini o qualche poveretto che si procura così il pane. Non sono questi che aprono e chiudono le porte delle Chiese? Chi ha mai visto nei loro templi un accolito o un ostiario fare il suo lavoro? Chi anzi fungeva da accolito nella sua infanzia, cessa di esserlo quando è ordinato tale. Si è indotti a credere che agiscono intenzionalmente in questo modo, rinunciando a ciò che compete alla loro carica non appena ne ricevono il titolo. Perciò è necessaria per loro l'ordinazione a tali sacramenti, e il dono dello Spirito Santo: per non più far nulla. Replicano che questo abbandonare e disprezzare il proprio compito deve imputarsi alla perversità dei tempi presenti? Dovranno parimenti ammettere che nella Chiesa odierna l'Ordine sacro, così altamente magnificato, è privo di frutti e di significato, e le loro Chiese sono soggette ad una maledizione radicale in quanto lasciano maneggiare da laici e ragazzi ceri e paramenti, che nessuno dovrebbe essere autorizzato a toccare se non chi è consacrato accolito, Chiese che affidano a ragazzi il canto che dovrebbe essere riservato a bocche consacrate.
A che prò consacrare esorcisti? So bene che gli Ebrei hanno avuto i loro esorcisti (At. 19.13). Constato però che costoro ricevevano il loro titolo dagli esorcismi che compivano. Chi ha invece mai sentito dire che questi esorcisti falsificati abbiano compiuto un atto della loro professione? Pretendono di essere investiti del potere di imporre le mani agli arrabbiati, gli infedeli, i demoniaci? Non sono però in grado di convincere i diavoli che posseggono tale autorità, e non solo perché i diavoli non obbediscono ai loro ordini ma anche perché sono i diavoli stessi a comandarli; a mala pena infatti si troverebbe fra loro il 10% che non sia posseduto dallo spirito maligno. Tutte le loro chiacchiere riguardo agli ordini minori, se ne contino cinque o sei, è semplicemente frutto di menzogna e di ignoranza.
Abbiamo poc'anzi, trattando dell'ordine della Chiesa, fatto menzione degli accoliti, ostiari, lettori, quali erano anticamente. La mia intenzione, a questo punto è semplicemente di condannare questa novità che consiste nel trasformare gli ordini ecclesiastici in sette sacramenti, novità di cui non si trova traccia nei dottori antichi ma solo in quei babbei di teologi della Sorbona e di canonisti.
25. Consideriamo ora le loro cerimonie. Tutti coloro che sono accolti nella loro sinagoga sono anzitutto ordinati chierici. Segno di tale ordinazione è la tonsura sulla sommità del capo affinché la corona attesti, come essi pretendono, la dignità reale dei chierici chiamati a governare se stessi e gli altri, secondo la parola di san Pietro: "Voi siete una gente eletta, un sacerdozio reale e una nazione santa " (1 Pi. 2.9). Questo è un sacrilegio in quanto hanno usurpato per se stessi un titolo che apparteneva alla Chiesa intera. San Pietro infatti si rivolge a tutti i credenti; costoro invece hanno riferito esclusivamente a se stessi le sue parole, quasi avesse detto siate santi soltanto ai tonsurati, e loro soltanto fossero stati acquisiti dal sangue di Gesù Cristo. Ma lasciamo stare questo discorso.
Trovano altre motivazioni alla loro tonsura: la sommità della loro testa scoperta dovrebbe significare che i loro pensieri devono contemplare senza impedimenti la gloria di Dio, faccia a faccia, o dimostrare che i vizi della bocca e degli occhi sono per loro sorpassati, o significare l'abbandono dei beni temporali, e la corona dei capelli che rimangono è figura dei beni che essi trattengono per il sostentamento della loro vita. E tutto questo in figura, perché il velo del tempio non è ancora stato squarciato, per quanto ci concerne. Perciò, volendo far credere di aver pienamente adempiuto il loro ufficio, raffigurando queste cose mediante la loro tonsura, non sentono più il bisogno di compierle nella realtà. Fino a quando penseranno ingannarci con queste menzogne e queste illusioni? Tagliando una ciocca dei loro capelli i chierici dimostrano che hanno rinunciato all'abbondanza dei beni terreni, che contemplano la gloria di Dio essendo liberati da ogni impedimento, che hanno mortificato le concupiscenze degli occhi e delle orecchie. Ma se non esiste fra tutte le condizioni umane una che sia pari alla loro per rapacità, ignoranza e immoralità. Perché non ci dimostrano la loro santità nei fatti, anziché rappresentarcela in figura mediante segni falsi e menzogneri?
26. Quando infine sostengono che la loro chierica trae la sua origine e la sua motivazione dai Nazirei, che valore ha questo argomento se non dimostrare che i loro misteri derivano dalle cerimonie giudaiche, anzi si debbono considerare pure Giudaicherie? E quando citano il caso di Priscilla, Aquila e san Paolo, che, avendo fatto un voto, si tagliarono i capelli per essere purificati (At. 18.18) , dimostrano solo una grande stupidità. Poiché di Priscilla non è fatta menzione alcuna e si parla di uno solo degli altri due, e non è chiaro di quale, dato che la tonsura di cui parla san Luca si può riferire tanto a san Paolo quanto ad Aquila. Anzi non si può concedere loro ciò che rivendicano; che cioè abbiano preso esempio da san Paolo, farò notare infatti alle persone semplici che san Paolo non si è mai raso il capo in vista di una qualche santificazione, ma semplicemente per adattarsi alla debolezza del suo ambiente. Mi piace definire questo tipo di voto, voto di carità, e non di pietà, e formulato cioè non in vista di un qualche atto di pietà o per servizio di Dio, ma per venire incontro alla ignoranza dei deboli, come afferma egli stesso dicendo di essersi fatto giudeo con i Giudei ecc. (1 Co. 9.20). Anzi egli ha fatto questo in una sola occasione, e per breve tempo, per adattarsi ai Giudei. Costoro, però volendo imitare le purificazioni dei Nazirei senza uno scopo ottengono il risultato di dar vita ad un nuovo Giudaismo.
Con una analoga mancanza di coscienza è redatta la lettera decretale che impone ai chierici, secondo l'Apostolo, di non lasciarsi crescere i capelli, ma di raderli in tondo come cerchi; quasi l'Apostolo, insegnando ciò che è decoroso per ogni uomo (1 Co. 11.4) , si fosse preoccupato assai della tonsura circolare dei loro chierici.
Da questi ordinamenti i lettori possono dedurre cosa siano gli altri ordini cui si dovrebbe giungere, passando attraverso un tale ingresso.

27. Dalla testimonianza di sant'Agostino risulta chiara l'origine della tonsura dei chierici. Dato che anticamente nessun uomo si lasciava crescere i capelli, se non persone effemminate desiderose di apparire graziose ed eleganti, si giudicò che autorizzare i chierici a farlo, avrebbe costituito cattivo esempio. Fu dunque decretato che tutti i chierici si radessero per non far nascere il sospetto di volersi mettere in mostra e adornarsi con raffinatezza. La tonsura era, in quei tempi, abitudine così diffusa che alcuni monaci, volendosi mostrare più santi degli altri, e aver qualche motivo di distinguersi, si lasciavano crescere i capelli. Lungi dall'essere riservata ai chierici, la tonsura risultava invece una prassi quasi generale. Quando, più tardi la capigliatura lunga tornò in uso, e si convertirono a Gesù Cristo molti popoli, quali la Francia, la Germania, l'Inghilterra, abituati a questa moda, i chierici, verosimilmente, per le ragioni summenzionate, presero l'abitudine di farsi radere interamente. Quando in seguito, la Chiesa è stata interamente corrotta, e tutti gli ordinamenti antichi sono stati o pervertiti o mutati in superstizione, non riscontrandosi più motivo alcuno in questa tonsura clericale (in realtà non c'era altro che una assurda e immotivata imitazione dei predecessori ) , è stato creato questo gran mistero che costoro, con grande faccia tosta, tirano ora in ballo per garantire i loro sacramenti.
Nei loro riti di consacrazione gli ostiari ricevono le chiavi del tempio, a significare che ne sono custodi; ai lettori si dà una Bibbia; agli esorcisti il formulario e il registro degli scongiuri; agli accoliti i ceri e la patena. Sono queste le grandi cerimonie che contengono, se dobbiamo creder loro, tanta potenza da essere non solo segni e prove ma causa della grazia invisibile. Tale ne è infatti, secondo la loro definizione, il significato, quando le si accetti come sacramento.
Per concludere brevemente, affermo che è irragionevole, da parte dei teologi sofisti e canonisti, l'aver fatto di questi ordini minori dei sacramenti, visto che si tratta di cerimonie, sono loro stessi ad ammetterlo, sconosciute alla Chiesa primitiva e inventate molto tempo dopo. Dato che nei sacramenti sono contenute promesse di Dio, la loro istituzione non spetta agli angeli né agli uomini, ma soltanto a colui che ha potere di fare promesse.
28. Rimangono i tre ordini così detti "maggiori "in cui è stato incluso il suddiaconato, da quando si è fatto strada la moltitudine degli ordini minori. Usano per definirli il termine singolare di "ordini sacri o, in quanto pensano poter riscontrare testimonianze nella parola di Dio; occorre, invece, dimostrare quanto sia perverso il loro uso della Scrittura a sostegno di questa tesi.
Iniziamo con l'ordine dei preti o del sacerdozio. Questi due termini infatti indicano la medesima realtà e si chiamano "sacerdoti "o "preti "coloro cui è affidato, per usare le loro parole, l'ufficio di fare sull'altare sacrificio del corpo e del sangue di Cristo, di recitare le preghiere e benedire i doni. Essi ricevono pertanto al momento della loro consacrazione il calice con la patena e l'ostia quali segni del potere da essi posseduto di offrire a Dio sacrifici di riconciliazione. Vengono loro unte le mani per dimostrare che hanno il potere di consacrare.
Tutte queste cose sono lungi dal trovare appoggio nella parola di Dio, anzi non si potrebbe corrompere in modo più perverso i suoi ordini e le sue leggi.

In primo luogo deve considerarsi stabilito una volta per tutte quanto abbiamo detto nel capitolo precedente: quelli che si dicono preti, avendo la pretesa di offrire sacrifici di riconciliazione, non potrebbero recare a Cristo maggiore offesa. Lui solo è stato ordinato dal Padre e consacrato con giuramento per essere sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec in un sacerdozio senza fine e senza successori (Sl. 110.4; Eb. 4.6; 7.3). È lui che ha offerto una volta per tutte un sacrificio di riconciliazione eterna, e di perdono, e che ora, entrato nel santuario celeste, prega per noi. È bensì vero che in lui siamo tutti sacerdoti, ma unicamente per offrire a Dio lode e ringraziamento e per offrire a noi stessi quanto ci appartiene. È stata però concessa al Signore Gesù una superiorità particolare: placare Dio, e cancellare i peccati con il suo sacrificio. Usurpando costoro tale autorità, come dovremmo considerare il loro sacerdozio se non un deplorevole sacrilegio? È certo, nel caso loro, somma impudenza volerlo rivestire del titolo di sacramento.
Riguardo all'imposizione delle mani, cui si ricorre per insediare i veri sacerdoti e i ministri della Chiesa nella loro funzione, non ho nulla in contrario a che la si consideri sacramento. Si tratta anzitutto di una cerimonia ricavata dalla Scrittura; in secondo luogo si tratta di una cerimonia che non può considerarsi vana, in quanto, come dice san Paolo, è segno della grazia spirituale di Dio (1 Ti. 4.14). Il fatto che non l'abbia riferita insieme agli altri due elementi, al sacerdozio di tutti i credenti, deriva unicamente dal fatto che si tratta di un atto che non è ordinario comune fra tutti i credenti, ma concerne un compito particolare.
D'altra parte, se riferisco questo onore al ministero ordinato da Gesù Cristo non è il caso che i preti romanisti, creati secondo l'ordine del Papa, se ne vantino. Coloro che diciamo essere ordinati da Gesù Cristo quali dispensatori dell'evangelo e dei sacramenti, non sono ordinati per fungere da macellai in quotidiani sacrifici. L'ordine che è stato dato loro è quello di predicare l'Evangelo e di pascere il gregge di Cristo non quello di compiere sacrifici (Mt. 28.19; Mr. 16.15; Gv. 21.15).
La promessa delle grazie dello Spirito Santo fatta loro non concerne l'espiazione dei peccati ma il retto governo della Chiesa.
29. Le cerimonie corrispondono pienamente alla realtà. Nostro Signore, inviando i suoi apostoli per predicare l'Evangelo, soffia su di loro (Gv. 20.22). Mediante questo segno egli intende raffigurare la potenza dello Spirito Santo che poneva su di loro. Questa brava gente ha conservato questo gesto di soffiare, e quasi sputasse lo Spirito Santo dalla bocca, mormora sui preti che consacra dicendo: "ricevete lo Spirito Santo ". A tal punto si impegnano a non lasciar nulla da imitare, in modo perverso, e non dico imitare come ciarlatani o attori che pur mantengono nel loro atteggiamento un certo stile, ma come scimmie impazienti di imitare ogni cosa a sproposito e senza discrezione.
Seguiamo l'esempio di nostro Signore, affermano. Nostro Signore però ha fatto molte cose che non ha voluto fossero imitate. Dice ai suoi discepoli: "Ricevete lo Spirito Santo "e in un'altra occasione dice a Lazzaro: "Lazzaro esci " (Gv. 11.43). Dice al paralitico: "Alzati e cammina " (Mt. 9.6). Perché non ripetere a tutti i morti e a tutti i paralitici le stesse parole? Egli ha voluto mostrare l'opera della sua divina potenza quando ha riempito i suoi apostoli della grazia dello Spirito Santo, soffiando su di loro. Sforzandosi di fare altrettanto assumono le prerogative di Dio, quasi lo sfidano. Sono lungi però dal raggiungere il loro scopo e non fanno altro che beffarsi di Cristo con le loro assurde scimmiottature. Sono, è vero, così sfrontati da pretendere che lo Spirito Santo sia ad essi conferito. La realtà di questa pretesa però è verificata sul piano dell'esperienza dove ci è mostrato che tutti quelli che sono consacrati preti da cavalli diventano asini, e da sciocchi, pazzi furiosi.
Non voglio tuttavia stare a polemizzare su questo punto; deploro soltanto il fatto che da questa cerimonia, che per Cristo aveva valore di segno particolare per il miracolo che compiva, sia stata tratta questa deduzione; la pretesa di essere imitatori di Cristo è comunque lungi dal recare loro aiuto.
30. Inoltre donde hanno ricavato l'unzione? Dai figli d'Aronne, rispondono, da cui deriva il loro ordine. Preferiscono dunque ricorrere ad esempi non appropriati anziché ammettere che quanto fanno temerariamente è frutto di loro invenzione. Non considerano invece il fatto che pretendendosi successori dei figli d'Aronne recano offesa al sacerdozio di Gesù Cristo che è stato solo raffigurato dal sacerdozio levitico e di cui è stato compimento, come già abbiamo avuto modo di rilevare, e l'epistola agli Ebrei attesta in modo inequivocabile. Se trovano tanto piacere nelle cerimonie mosaiche perché non fanno tuttora sacrifici di buoi di vitelli e di agnelli? Mantengono certo ancora una gran parte del tabernacolo e di tutta la religione giudaica: ma manca loro il fatto di sacrificare vitelli e buoi. Chi non vede che la pratica di questa unzione è molto più pericolosa e perniciosa che la circoncisione, principalmente quando si associa con una superstizione ed una concezione faris.ica della dignità delle opere? I Giudei fondavano la loro giustizia nella circoncisione; costoro fanno consistere le grazie spirituali nell'unzione. Non possono dunque pretendersi imitatori dei leviti se non facendosi apostati di Gesù Cristo e rinunciando all'ufficio di pastore.
31. Eccoti il loro olio sacro che imprime un carattere che non si può cancellare, che dicono "indelebile "; quasi l'olio non potesse essere cancellato o ripulito con sale e polvere e, qualora sia penetrato in profondità, con sapone. Questo carattere però è spirituale. Che relazione esiste fra l'olio e l'anima? Hanno forse dimenticato la citazione di sant'Agostino che separando la Parola dall'acqua non rimane nulla che acqua, e che è in virtù della Parola che essa diventa sacramento? Qual è la parola presente nel loro grasso? Si tratta forse dell'ordine dato a Mosè di ungere i figli d'Aronne (Es..30.30) ? Gli furono però analogamente dati ordini riguardo alle vesti sacerdotali e agli altri paramenti di cui dovevano rivestirsi Aronne e i suoi figli; indicazioni riguardo all'uccisione di un vitello e al suo sangue che doveva essere arso, ai montoni da uccidersi e bruciarsi e alla consacrazione delle orecchie e dei vestiti d'Aronne e dei suoi figli mediante il sangue di uno dei montoni, ed altre innumerevoli cerimonie che mi stupisco siano state omesse mantenendo solo l'unzione. Amano essere bagnati? Perché poi con olio piuttosto che con sangue? È indubbiamente interessante quell'impegno a cui consacrano le loro forze nell'inventare una religione nuova, composta d'elementi laici, cristiani, pagani come un vestito d'Arlecchino. La loro unzione e dunque puzzolente in quanto risulta priva di sale cioè priva della parola di Dio.

Rimane l'imposizione delle mani che si può definire, lo ammetto, sacramento, qualora sia usata come si deve quale autentica promozione di legittimi ministri; contesto però si riscontri tale sacramento in quella commedia che essi recitano ordinando i loro preti. Sono infatti privi di comandamenti e non considerano il fine cui tende la promessa, vogliono essere autorizzati ad adoperare il segno? Occorre il tal caso che lo adeguino alla verità per cui e stato istituito e creato.
32. Riguardo all'ordine dei diaconi, sarei del tutto favorevole qualora questo ufficio fosse ripristinato nella sua purezza integrale quale si riscontra al tempo degli apostoli e nella Chiesa antica. Ma i diaconi che essi Ci propongono che cosa hanno in comune con quelli? Non faccio riferimento alle persone per non essere accusato di dare una valutazione della loro dottrina sulla base dei vizi umani; ribadisco però che è da parte loro irragionevole fare riferimento ai diaconi ordinati nella Chiesa antica, per giustificare i loro diaconi, quali ce li presenta la loro dottrina.
Affermano che compete ai loro diaconi di assistere il sacerdote e di provvedere tutto ciò che è richiesto nei sacramenti per esempio nel battesimo e nella cresima: mettere il vino nei calici e il pane nella patena, mettere in ordine l'altare, portare la croce, leggere il Vangelo e l'Epistola al popolo. Si riscontra forse in tutto questo un solo elemento dell'autentico ufficio dei diaconi?
Consideriamo ora come procedono alla loro istituzione: il vescovo solo pone una mano sul diacono che deve ordinare, gli mette sulla spalla sinistra la stola per significare che ha preso il giogo leggero di Dio per sottoporre al timor di Dio tutto ciò che appartiene al lato sinistro; gli pone in mano un testo dell'evangelo affinché prenda coscienza di esserne annunciatore. Che cosa hanno a fare tutte queste cose con i diaconi? Agiscono come uno che, volendo ordinare degli apostoli, affidasse loro l'incarico di incensare, adornare le immagini, accendere i ceri, scopare i templi, metter trappole per i topi, e scacciare i cani. Chi accetterebbe che costoro fossero detti apostoli e paragonati agli apostoli di Cristo? Non ci vengano dunque a spacciare per diaconi quelli che sono ordinati soltanto per i loro giochi e le loro commedie.
Li designano anche Cl. Termine di leviti deducendo la loro istituzione da quella dei figli di Levi. Qui per conto mio riconosco che questo è vero, se si dichiarano per parte loro, pronti ad ammettere la realtà che cioè, rinnegando Gesù Cristo, tornano nuovamente alle cerimonie levitiche e alle ombre della religione mosaica.
33. È: forse il caso di parlare dei suddiaconi? Quantunque avessero anticamente la cura dei poveri si è affidato loro non so qual frivolo impegno; recare tovaglioli e tovaglie sull'altare, offrire l'occorrente ai sacerdoti per lavarsi, metter sull'altare il calice e la patena e altre cose simili. Quando affermano di essere preposti a ricevere le offerte si deve intender questo in senso che le fanno sparire e le divorano.

La cerimonia cui ricorrono per insediarsi nel loro ufficio si adatta benissimo ad esso: il vescovo pone loro in mano il calice e la patena; l'arcidiacono il tovagliolo con l'acqua e altri vecchiumi. Vorrebbero che riconoscessimo la presenza dello Spirito Santo in queste sciocchezze: chi mai se ne potrà convincere?
Per terminare e non dover ripetere ancora una volta quanto è già stato esposto, riaffermiamo questo fatto che sarà sufficiente per coloro che hanno uno spirito docile e modesto e per cui questo libro è stato scritto: c'è sacramento solo laddove si riscontra una cerimonia congiunta con la promessa; o più esattamente laddove la promessa è evidenziata dalla cerimonia. In questi casi non si ode una sola sillaba di promessa. Invano dunque si cercherebbe una cerimonia a conferma della promessa. D'altra parte non si riscontra alcuna cerimonia istituita da Dio: non vi può dunque essere sacramento.
DEL MATRIMONIO.
34. L'ultimo sacramento della loro lista è il matrimonio. Tutti riconoscono che è stato istituito da Dio, ma nessuno si era accorto che fosse un sacramento fino al tempo di papa Gregorio. Quale persona di buon senso se ne sarebbe infatti accorta? Si tratta, è certo, di un'ordinanza divina buona e santa. Ma lo sono altrettanto i mestieri di contadino, muratore, calzolaio e barbiere che tuttavia non sono sacramenti. Per l'esistenza di un sacramento non si richiede soltanto che sia opera di Dio, occorre sia una cerimonia esteriore ordinata da lui per confermare una promessa. Che non vi sia nulla di tutto ciò nel matrimonio i bambini stessi lo vedono.
Affermano che è in se una realtà sacra, cioè della unione spirituale di Cristo e della Chiesa. Se intendono il termine "segno "nel senso di un contrassegno che ci sia stato proposto da Dio a sostegno della nostra fede non colgono nel segno. Se intendono semplicemente parlare di una similitudine, dimostrerò che la loro argomentazione è del tutto falsa. San Paolo dice: "Come una stella differisce dall'altra in luminosità, così sarà della risurrezione dei morti " (1 Co. 15.41) , ecco un sacramento! Cristo dice: "Il regno dei cieli è simile ad un granel di senape " (Mt. 13.32) , ecco un altro sacramento! E ancora: "Il regno dei cieli è simile a lievito " (Mt. 13.33) , eccoci un terzo sacramento. Isaia dice: "Il Signore condurrà il suo gregge come un pastore " (Is. 30.2) , ecco il quarto. In un altro testo: "Il Signore verrà innanzi come un eroe " (Is. 42.13) , ecco il quinto. Dove andremo a finire! Secondo un ragionamento di questo genere tutto si potrebbe considerare sacramento. Quante sono le similitudini e le parabole nella Sacra Scrittura, altrettanti dovrebbero essere i sacramenti. Il furto stesso sarebbe sacramento in quanto è scritto: "Il giorno del Signore sarà come un ladro " (1 Ts. 5.2). Chi è in grado di sopportare le assurde divagazioni di questi sofisti? Ammetto che sia buona cosa, ogni qualvolta ci troviamo in presenza di una vigna rammentarci le parole di nostro Signore: "Io sono la vigna, voi siete i tralci, il Padre mio è il vignaiolo " (Gv. 15.5); e quando incontriamo un pastore ricordarci quell'altra parola di Cristo quando afferma: "Io sono il buon pastore; le mie pecore ascoltano la mia parola " (Gv. 10.11-27). Ma se venisse in mente a qualcuno di trasformare queste similitudini in sacramenti sarebbe il caso di mandarlo dal medico.
35. Allora ricorrono alla parola di san Paolo nella quale, essi dicono, il termine sacramento è riferito al matrimonio. Il testo è il seguente: "Chi ama sua moglie ama se stesso. Nessuno ebbe mai in odio la sua carne; anzi la nutre e la cura teneramente come anche Cristo fa per la Chiesa. Poiché siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa; perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una stessa carne. Questo sacramento è grande: dico riguardo a Cristo e alla sua Chiesa " (Ef. 5.29-32). Trattare in questo modo la Scrittura significa però confondere il cielo e la terra.
San Paolo vuole mostrare ai mariti che devono avere per le loro mogli un particolare affetto e per questo offre loro l'esempio di Cristo. Come egli ha sparso tutti i tesori della sua bontà
Per la Chiesa, cui si era unito, così ognuno manifesti, nei riguardi della propria moglie, un affetto simile.
Egli prosegue affermando: "Chi ama sua moglie ama se stesso come Cristo ha amato la Chiesa ". Ora per dimostrare in che modo Cristo abbia amato la Chiesa come se stesso, anzi come si sia unito alla Chiesa, sua sposa, riferisce a lui ciò che Mosè dice esser stato detto di Adamo. Quando nostro Signore ebbe condotto Eva davanti ad Adamo, questi, sapendola formata dalla sua costola, dice: "Questa è ossa delle mie ossa e carne della mia carne " (Ge 2.23). San Paolo dichiara che tutto ciò è stato adempiuto in Cristo e in noi quando dice che siamo membra del suo corpo, della sua carne, delle sue ossa, anzi siamo una carne con lui, egli conclude esclamando: "Questo è un gran mistero! ". Ad evitare che l'ambiguità dell'espressione potesse ingannare qualcuno aggiunge espressamente che non intende riferirsi alla comunione carnale dell'uomo e della donna, ma all'unione spirituale di Cristo e della sua Chiesa. In realtà è un grande mistero che Cristo abbia accettato gli fosse tolta una costola da cui noi fossimo formati, cioè essendo forte volle essere debole affinché per la sua potenza, fossimo fortificati, sì che non viviamo soltanto una vita nostra, ma egli vive in noi.
36. Sono stati tratti in inganno dal termine "sacramento "che si legge nella traduzione comune. È forse questa una buona ragione perché tutta la Chiesa debba subire le conseguenze della loro ignoranza? San Paolo ha adoperato il termine "mistero ", che significa cosa segreta; il traduttore, pur potendo ricorrere alla traduzione letterale e tradurre "segreto ", o trascrivere letteralmente, considerando il fatto che fra i Latini il termine era abbastanza frequente ha preferito ricorrere al termine sacramentum senza dargli però un significato diverso da quello che san Paolo aveva dato con il termine greco mistero; e poi inveiscono contro lo studio delle lingue; abbagli di questo tipo, in questioni così facili e chiare si prendono solo perché si ignorano le lingue. Perché poi fermarsi tanto sul termine sacramento in questo testo, e lasciarlo passare, senza dargli peso, quando fa loro comodo? Il traduttore infatti l'ha adoperato sia nella prima lettera a Timoteo (1 Ti. 3.9) , che in questa stessa epistola agli Efesini (Ef. 1.9) , con il significato di mistero.
Perdoniamo loro questo errore, dovrebbero però avere chiara memoria delle loro menzogne per non cadere in contraddizione con se stessi. Infatti, dopo aver onorato il matrimonio Cl. Titolo di sacramento, lo definiscono impudicizia, sozzura carnale; questa è leggerezza e incostanza. Non è però assurdo rifiutare ai preti un sacramento? Qualora affermino di proibire non il sacramento ma solo il piacere dell'atto carnale neppure questo vale come scappatoia. Essi stessi insegnano infatti che l'atto carnale è un elemento sacramentale e l'unione che abbiamo con Cristo è figurata in esso in conformità alla natura, in quanto l'uomo e la donna sono fatti una sola carne unicamente nell'unione carnale. Alcuni di costoro hanno riscontrato in questo caso due sacramenti: uno concernente l'unione di Dio e dell'anima nel rapporto tra fidanzato e fidanzata, e uno da riferirsi a Cristo e alla Chiesa nel rapporto tra marito e moglie. Comunque sia l'atto carnale è a loro giudizio sacramento, non era perciò lecito precluderlo ad un cristiano, a meno di non affermare che i sacramenti dei cristiani sono così diversi da non poter coesistere uno con l'altro.
Un altro inconveniente della loro dottrina è costituito da questo fatto: affermano che nei sacramenti viene conferita la grazia dello Spirito Santo, riconoscono che l'atto carnale è sacramento però negano che in questo atto sussista la presenza dello Spirito Santo.
37. Per evitare di ingannare la Chiesa soltanto in un punto chi potrebbe enumerare la moltitudine di errori, di menzogne, di inganni, di cattiverie che hanno associato a questo sbaglio? Si potrebbe affermare che dando al matrimonio carattere sacramentale hanno solo cercato una scusa per ogni abominazione. Poiché avendo ottenuto vittoria su questo punto hanno avocato a se l'istruttoria delle cause matrimoniali, trattandosi di cose sacre a cui non potevano metter mano i giudici laici. Inoltre a garantire la loro tirannia hanno stabilito leggi che risultano per un verso cattive nei confronti di Dio e per l'altro ingiuste nei riguardi degli uomini, ad esempio: I matrimoni contratti fra giovani sotto la tutela dei genitori possono considerarsi validi e irrevocabili anche quando siano contratti senza il consenso dei suddetti; non sia lecito contrarre matrimonio fra cugini fino al settimo grado; infatti in quello che per loro è quarto grado, secondo il retto intendimento del Diritto risulta essere il settimo; e di quelli che siano stati contratti in questa forma siano sciolti ed annullati. Inventano così a loro piacimento gradi di parentela contrari alle leggi di tutte le nazioni e allo stesso ordine di Mosè (Le 18.6). Non sia lecito ad un uomo che abbia ripudiato sua moglie adultera risposarsi. I genitori spirituali, cioè il padrino e la madrina, non possano contrarre fra loro matrimonio. Non siano celebrate nozze dalla Settuagesima sino all'ottava di Pasqua né durante le tre settimane anteriori alla nascita di san Giovanni (che ora vengono computate prendendo quella di Pentecoste e le due precedenti ) , né dall'avvento all'epifania e infinite altre leggi simili che sarebbe impossibile esaminare.
È giunto però il momento di allontanarci dal loro fango, in cui ci siamo soffermati più a lungo di quanto avrei voluto. Penso tuttavia aver reso qualche servizio smascherando, in parte, la stupidità di questi asini.

Istituzioni della religione cristiana
di Giovanni Calvino (1559)
www.iglesiareformada.com
Biblioteca