Giovanni Diodati
"Questo gentiluomo, agendo di sua propria iniziativa, non considera tanto il senso proprio delle parole, ciò fa si che anche il popolano lo comprenda. Non è nemmeno un critico, o un oratore, o un teologo: il suo unico obiettivo è quello di compiacere il volgo, e fare leva sulle sue passioni. Le sue note in genere sono abbastanza plausibili, e servono all'interpretazione di diversi testi della Scrittura".
Giovanni Diodati nacque a Ginevra il 3 giugno 1576 da una famiglia benestante di origini lucchese. Il nonno Giovanni fu molto colpito a Lucca, dalla predicazione di Pietro Martire Vermigli. Tale simpatia per le idee protestanti lo fece notare dall’Inquisizione che per due anni (1558-1560) si interessò alla sua persona. Suo figlio Carlo stringe, a causa del suo lavoro, è un impiegato di commercio, legami con protestanti a Lione, e in seguito ad una recrudescenza di persecuzioni contro i riformati francesi, si trasferisce con la propria famiglia a Ginevra, dove già avevano trovato riparo altri lucchesi. Giovanni Diodati studia all’Accademia di Ginevra e già all'età di 19 anni è nominato dottore in teologia, mentre a 21 anni riceve la nomina di professore di ebraico all'Università di Ginevra. Diventato pastore nel 1608, nel 1609 divenne professore di teologia. Nel 1600 sposa Maddalena Burlamacchi, e il matrimonio, benedetto dal pastore Bernardo Basso, di Cuneo, viene celebrato a Ginevra nella Chiesa riformata italiana. Dal suo matrimonio nascono 9 figli, 5 maschi e 4 femmine. Nel 1608 Diodati diventa rettore e conserva la sua cattedra di ebraico fino al 1618. E' professore all'Accademia di Ginevra dal 1599 al 1645. Diodati lascia Ginevra solo per brevi viaggi all’estero: a Venezia nella Repubblica Veneta, in Francia per fare visita alle chiese riformate, e al Sinodo di Dordrecht in qualità di delegato della chiesa di Ginevra. Nella Repubblica veneta Diodati sperava di creare, un terreno favorevole all'affermazione della Riforma. Entrò così a fare parte del gruppo di "cospiratori", che contava tra i propri membri: fra Paolo Sarpi, il teologo ufficiale della repubblica veneta, due ambasciatori inglesi, sir Henry Wotton e Sir Dudley Carleton, George Bedell e l’ugonotto francese Philippe du Plessis-Mornay. Diodati operò insieme a costoro con l'obiettivo di indebolire il potere papale a Venezia. Pertanto visita Venezia due volte, nel 1605 e nel 1608, sotto lo pseudonimo di Giovanni Coreglia. A Venezia vi era grande necessità di libri protestanti fra l'aristocrazia; Diodati nel 1609 scrisse all’ugonotto du Plessis Mornay: "Un numero infinito di libri vi sono entrati a fiotti tutti i giorni, e sono avidamente raccolti tanto che se li strappano l'un l'altro con le mani e con le unghie". Diodati tradusse la Bibbia in italiano proprio per andare incontro a questo bisogno di edificazione, per lo stesso motivo tradusse le opere di Fra Paolo Sarpi e di Sir Edwin Sandys in francese. La bibbia del Diodati venne distribuita dall'ambasciatore inglese a Venezia, Sir Henry Wotton, che volle pure fosse stampato un Nuovo Testamento in formato più ridotto per rendere più facile la diffusione. Wotton venne molto criticato per avere distribuito la Bibbia del Diodati, ed egli stesso scrisse al conte di Salisbury durante il 1609: "Il Papa ha rinnovato personalmente il suo rimprovero, al nuovo vescovo residente di Venezia, circa la Bibbia che io ho introdotto nei suoi stati".
Diodati nel giugno del 1605 scriveva ad un suo amico: "Gli affari vanno di bene in meglio, il numero degli evangelici cresce grandemente. Desidero ardentemente lavorare in quei luoghi, e rapidamente. Mi sono deciso a intraprendere questa vocazione santa e desiderabile... Il papa ha le sue astute spie, e lo si può vedere dalla sorte che hanno avuto le bibbie che ho mandato". Non dobbiamo però pensare ad un Diodati politico senza scrupoli, che intendesse far trionfare la Riforma in Italia con trame politiche. Diodati era un credente sottomesso alla volontà di Dio e in numerose occasioni aveva affermato che solo lo Spirito Santo avrebbe potuto far trionfare la causa della Riforma. In una sua lettera a Duplessis-Mournay egli scrive: "Io voglio stare molto attento a non porre il minimo ostacolo alla libera azione dello Spirito Santo, sia per mia incapacità, che per paura di pericoli. Io sono convinto che Dio, che oltre le mie stesse speranze ed in modi a me sconosciuti, mi ha utilizzato nell'opera delle Sue Scritture, in questo stesso tempo e con grande successo, come mi assicura il giudizio di molti uomini d'esperienza e voi fra di essi. Sarà Lui a darmi, se necessario, parole di potenza e di sapienza, per il Suo servizio in questi luoghi per l'avanzamento del Suo regno, e la distruzione della grande Babilonia". (Diodati scrisse una cronaca della seconda visita a Venezia, la quale fu pubblicata da E. de Budé nel 1863 con il titolo di "Briève relation de mon voyage a Venise en septembre 1608" ).
Nel novembre 1605 Paolo Sarpi in una sua lettera afferma che a Venezia, fra il popolo vi sono fino a 15.000 persone " disposte a rinunciare alla Chiesa di Roma", e aggiunge: "Vi sono alcuni che da padre in figlio preservano la conoscenza del vero Dio, o perché sono discendenti dei riformati grigionesi, nostri vicini, o perché sono i superstiti degli antichi Valdesi, che avevano lasciato seguaci in Italia". La cospirazione contro il potere papale che poteva avere politicamente successo soltanto se i nobili e le autorità con le proprie conversioni l’avessero appoggiata, venne repressa quando una delle lettere del Diodati cadde nelle mani del gesuita francese Pierre Coton, che a quel tempo era confessore del Re di Francia, gli ecclesiastici compromessi con la Riforma vennero esiliati, i nobili impauriti fecero marcia indietro, mentre al popolo non restò che sottomettersi alle autorità cattoliche, o conservare in segreto la fede riformata.
Diodati venne inviato, insieme a Teodoro Tronchin, in qualità di rappresentante della chiesa riformata di Ginevra, al Sinodo riformato di Dordrecht del 1618-19 (va anche detto che insieme a Tronchin, Diodati aveva ricevuto incarico di convincere il governo olandese a cancellare un considerevole debito finanziario che Ginevra aveva contratto; tale azione diplomatica fu portata a termine con successo). La convocazione del sinodo era stata occasionata dal fatto che princìpi della teologia calvinista, in modo particolare il concetto di predestinazione e dunque la stessa giustificazione mediante la fede, erano stati messi in questione da diversi docenti universitari olandesi; costoro influenzati dalla teologia di Arminio (morto nel 1609) avevano riveduto tutto il sistema calvinista sulla base di presupposti estranei alla Parola di Dio. Nel 1610 erano persino giunti a presentare una “Rimostranza” contro l'insistenza dei calvinisti in merito alla predestinazione; nel 1611 una Contro-rimostranza aveva però ribadito come vincolante per le chiese riformate, la dottrina contestata. I rimostranti auspicavano una chiesa più tollerante, ma comunque sotto la supervisione dello stato, al contrario i calvinisti erano fermamente convinti che la chiesa non dovesse dipendere in modo alcuno dallo stato. Tali questioni avevano acceso dispute che stavano mettendo in pericolo l'unità non solo religiosa ma anche politica del mondo protestante. Il sinodo avrebbe dovuto confrontare le due posizioni; data l'importanza della situazione, la Chiesa di Ginevra vi prese parte attiva. Il Sinodo, tenuto negli anni 1618-19 nella città olandese di Dordrecht, mise capo ad una confessione di fede che va sotto il nome di "Canoni di Dort"; tali canoni rappresentano uno degli standard dottrinali del calvinismo. In essi si riaffermava la posizione calvinista in merito alla predestinazione e alle questioni ad essa connessi, la pretesa degli arminiani (o rimostranti) di un autonomia della coscienza (libero arbitrio) in relazione all’accettazione della salvezza venne rifiutata; vennero riaffermate la convinzione della depravazione totale dell'uomo (l'uomo con la Caduta, ha perduto la capacità di scegliere di servire Dio, egli è morto spiritualmente, cioè totalmente incapace di ricercare Dio e di fare la Sua volontà), l'elezione incondizionata (la scelta che Dio fa degli eletti non è fondata su una “previsione” della loro futura accettazione della salvezza, pertanto la salvezza non è condizionata da azione alcuna da essi compiuta), la redenzione limitata (Cristo è morto solo per gli eletti, pertanto solo coloro per i quali Cristo morì verranno a salvezza), la grazia irresistibile (la grazia divina non è passibile di essere rifiutata dagli eletti), e la perseveranza dei santi (coloro che sono salvati da Cristo, non potranno mai più perdere la salvezza). I Canoni vennero adottati ufficialmente dalla Chiesa riformata olandese. Ai Rimostranti venne negata la possibilità di predicare nelle chiese e di insegnare nelle università e i loro leader furono espulsi dal paese.
Convocato dagli Stati Generali olandesi, il Sinodo comprendeva delegati provenienti dalle diverse provincie dei Paesi Bassi. Oltre ai suoi membri olandesi, pastori e laici, al sinodo erano presenti delegati stranieri provenienti dalle chiese riformate dell'Inghilterra, della Scozia, del Palatinato, di Brema, dell'Assia, dei cantoni svizzeri e di Ginevra, rappresentata appunto da Giovanni Diodati. Vennero invitati anche i riformati francesi (ugonotti), ma Luigi XIII impedì loro di partecipare. Gli Stati-Generali scelsero cinque professori di teologia e 18 commissari. I delegati erano 56. Il rimostrante Episcopius denunciò il sinodo come non qualificato e non rappresentativo delle effettive posizioni della chiesa riformata, e pertanto rifiutò di partecipare ai lavori.
Durante il Sinodo Diodati cadde malato e non fu in grado, di partecipare a tutte le sessioni. Comunque egli relazionò sulla Perseveranza dei santi colpendo favorevolmente l'uditorio. Il delegato scozzese Balcanqual scrisse che Diodati aveva insegnato con la stessa dolcezza con la quale predicava, e non come i dottori usavano fare nelle scuole. Il suo intervento venne accolto bene persino dallo storico arminiano olandese G. Brandt. Diodati espresse anche pareri sulle traduzioni bibliche circolanti al suo tempo, ma di ciò non è rimasto traccia negli atti. Affrontò anche la questione della censura sulla stampa, forte della sua esperienza maturata a Venezia, sostenendo la tesi che la troppa severità sarebbe stata altrettanto dannosa che i pochi controlli. Diodati venne infine eletto membro del comitato che avrebbe messo per iscritto i Canoni di Dordrecht e fu incaricato di redigere la “Affermazione finale del Sinodo sulla dottrina della salvezza”. A proposito del secondo articolo dei canoni: Morte di Gesù Cristo e redenzione degli uomini mediante essa, Diodati e Tronchin presentarono un'interpretazione diversa da quella delle altre delegazioni, infatti prendevano le distanze dal concetto anselmiano di redenzione (vedi Acta del Sinodo di Dordrecht).
Per Diodati era della massima importanza che le Scritture fossero disponibili a tutti in forma leggibile e con semplici annotazioni. Questa suo desiderio lo condusse ad assumere l’incarico accademico di docente d'ebraico nell'Accademia ginevrina. Prima di questo episodio la cattedra d'ebraico era stata al servizio del pensiero umanistico, che riteneva che le lingue antiche andassero studiate non solo per se stesse, ma anche per recuperare il patrimonio di credenze e costumi dell’antichità. Con Diodati, questa impostazione doveva cambiare in direzione di un’approfondimento del contenuto dei testi sacri. Diodati si poneva nella tradizione di Melantone nel momento in cui esprimeva la convinzione di legare strettamente la guida di Dio e l'impegno umano in materia di traduzioni bibliche. In una lettera a J. A. De Thou, scritta durante il 1607, Diodati afferma: “...mi sono proposto con tutte le mie forze e nella più grande coscienza... di aprire la porta ai nostri italiani alla conoscenza della verità celeste. Nostro Signore, che mi ha miracolosamente guidato e fortificato in quest'opera, la fortifichi con la Sua benedizione, alla quale solo addebito la perfezione della mia opera, e dalla quale solo io confido nella sua gloria, a salute di coloro che Gli appartengono, il che è e sarà sempre l'unico obiettivo a cui dirigerò tutti i miei sforzi”.
Pubblicò la prima edizione della sua Bibbia nel 1607, traducendo direttamente dall'ebraico e dal greco, essa era una revisione dell'AT del Brucioli, del NT del benedettino filo-protestante Massimo Teofilo, pubblicato a Lione nel 1551 e già riveduto da Beza e dell'intera bibbia del medico lucchese Filippo Rustici, riparato a Ginevra nel 1555 (non vanno dimenticate le versioni del Sante Marmochini per l'intera Bibbia, a cui il Diodati è estramamente affine sul piano lessicale, e di Zaccaria Fiorentini per il NT). La seconda edizione (Ginevra 1641 questa versione prodotta con grande lavoro e sforzo, era molto simile alla versione francese del 1644, alla quale Diodati stava lavorando da molti anni) presenta un commentario ampliato che divenne tanto rinomato da essere tradotto anche in inglese. Quattro edizioni ancora furono stampate a Londra tra il 1643 e il 1664. L'edizione del 1641 ha i testi apocrifi collocati dopo il NT. La versione del Diodati ha conosciuto nei secoli varie revisioni, pubblicate sempre all'estero nei secoli XVII°-XVIII° soprattutto in Olanda e Germania, poichè in Italia era vietata sia la stampa che la diffusione delle Sacre Scritture. Nel 1849 si pubblica a Pisa il NT, e nel 1868 a Firenze l'intera Bibbia. Nel 1894 la Diodati venne sottoposta a revisione linguistica, e ancora nel 1924 da parte dei professori Giovanni Luzzi ed Enrico Bosio (che ricevettero tale incarico dalla Società Biblica). Quando la chiesa cattolica in virtù del Concordato (1929), chiese al governo italiano di vietare la vendita di Bibbie sulle quali non fosse chiaramente indicata l'origine protestante, si appose sul frontespizio della Diodati la dicitura: "Versione Riveduta in originale dal Dott. Giovanni Luzzi, già Prof. alla facoltà teologica Valdese di Roma". Nel 1995 vi è stata un'ulteriore revisione. Nonostante le molteplici correzioni, la versione Diodati si presenta come una traduzione accurata, la qual cosa ne ha permesso l'accettazione da parte delle maggiori Chiese protestanti, e la sua diffusione da parte delle Società Bibliche. La diffusione della Bibbia del Diodati è stata talora accompagnata da un certo numero di critiche di diversa provenienza, soprattutto cattoliche, ma questo non le ha impedito di conservare la posizione di versione più influente delle Scritture in italiano. Nel 1644 Diodati scrive alla chiesa riformata francese che la versione italiana aveva ricevuto "un'approvazione universale, persino tra gli ebrei, i cardinali gesuiti più celebri, altri principali ministri della chiesa romana e di tutti gli altri senza eccezione.
L’accoglienza della traduzione da parte dei cattolici fu abbastanza favorevole. L. E. Pan della Sorbona, si scaglia contro di essa: "All'inizio circa del nostro secolo, John Diodati, ministro a Ginevra, ci diede una nuova traduzione italiana dell'intera Bibbia, molto simile all'edizione francese di Ginevra". Il padre Simon trovò sia del bene che del male da dire sull'opera del Diodati, ma non era sfavorevole: "Vorrei che coloro che avessero l'interesse di leggere la traduzione italiana della Bibbia del Adeodates, che è più elegante di quella francese, e consiglio di leggere anche solo i riassunti dei capitoli per ottenere un veloce compendio della Bibbia. Accusava però Diodati di fare una parafrasi della Bibbia, solleticando "la fantasia dei suoi fratelli settari". Bartolomeo Gamba (1776-1841): "Il lucchese Giovanni Diodati quanto alla nettezza dell'esposizione meritò sempre elogi sommi; ed io, nel registrare un volgarizzamento riprovevole, siccome opera di un seguace delle ginevrine dottrine, lo ricordo siccome ricco di que' modi di dire di grave e casta semplicità, che provengono alle schiette parole della divina Scrittura" . Monsignore Emilio Tiboni (1853): "La lingua della versione e delle note del Diodati è classica, beché alcune forme non siano del tutto eleganti... Non devo tacere che i clericali scagliarono calunnie e maldicenze contro il Diodati, stimando lecita la frode e la menzogna per metterlo in cattiva vista, e per tal modo distornare altrui dal leggerlo; quasiché la bontà del fine giustifichi l'iniquità dei mezzi... In luogo di calunniare il Diodati per rimuoverlo dalle mani dei cattolici, tornerebbe per avventura meglio purgare questa Bibbia del calvinistico veleno di cui è infetta, e questa edizione corretta e migliorata per promuovere, proteggere e a quella del Martini sostituire" .
La Bibbia italiana del Diodati è stata un'impresa ancora più notevole della Versione Autorizata inglese, perché quest'ultima era il risultato del lavoro di un gruppo di studiosi, mentre Diodati aveva lavorato da solo, con l'eccezione forse dell'assistenza del teologo ginevrino, Benedetto Turrettini, e per aver prodotto una versione annotata dell'intera Bibbia (1607) quando aveva solo 31 anni. Le sue annotazioni rivelano una spiritualità di tipo pietista e pastorale dogmatico in anticipo di almeno cinquant'anni rispetto ai successivi sviluppi intellettuali delle Chiese riformate.
Giovanni Diodati si addormentò nel Signore il 13 ottobre del 1649 a 73 anni.