IV. La sovranità di Dio nell’opera della salvezza
“Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!” (Ro. 11:33).
“La salvezza viene dal SIGNORE” (Gi. 2:10), ma il Signore non salva tutti. Perché no? Egli, di fatto, ne salva alcuni. Se, però, Egli ne salva alcuni, perché non salva anche gli altri? E’ perché sono troppo peccatori e depravati? No, perché l’Apostolo scrive: “Certa è quest'affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo” (1 Ti. 1:15). Se quindi Dio salva “il primo dei peccatori”, nessuno n’è escluso a causa della sua depravazione. Allora, perché Dio non salva tutti? E’ forse perché alcuni hanno un cuore troppo di pietra per essere da Lui raggiunti? No, perché di chi maggiormente ha il cuore di pietra è scritto: “Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra, e metterò in loro un cuore di carne” (Ez. 11:19). Forse è perché sono troppo ostinati, troppo intrattabili, troppo ostili che Dio non riesce ad attirarli a Sé?
Prima di rispondere a questa domanda, facciamocene un’altra? Faccio appello all’esperienza dei cristiani che stanno leggendo questo libro. Amico: non c’era forse un tempo in cui anche tu camminavi secondo il consiglio degli empi, un tempo in cui tu ti fermavi nella via dei peccatori, un tempo in cui ti sedevi in compagnia degli schernitori? Non c’era un tempo in cui anche tu dicevi: “Non vogliamo che Costui regni su di noi" (Lu. 19:14)? Non c’era forse un tempo in cui tu non volevi venire a Cristo per avere la vita? (Gv. 5:40). Sì, non c’era forse un tempo in cui la tua voce si confondeva con chi dice a Dio: “Ritirati da noi! Noi non ci curiamo di conoscere le tue vie! Che cos'è l'Onnipotente perché lo serviamo? Che guadagneremo a pregarlo?" (Gb. 21:14,15). Con vergogna devi riconoscere che vi era certamente un tempo in cui eri così. Come mai, però, oggi non sei più così? Che cos’è che ti ha portato dalla tua passata ed arrogante sufficienza all’umile spirito del supplicante, dall’inimicizia con Dio alla pace con Lui, dall’illegalità alla volenterosa sottomissione, dall’odio all’amore? Non c’è dubbio, come uno che sia “nato dallo Spirito”, risponderesti: “Per la grazia di Dio io sono quello che sono” (1 Co. 15:10). Vedi, allora, come il fatto che altri ribelli non siano salvati non sia dovuta ad una carenza nelle capacità di Dio, né al Suo rifiuto di forzare l’uomo? Se Dio è stato in grado di sottomettere la tua volontà e conquistare il tuo cuore, e questo senza interferire nella tua responsabilità morale, non sarebbe forse in grado di fare lo stesso con altri? Certamente. Allora vedi come sia incoerente, illogico, folle, cercare di trovare ragioni per lo stato attuale ed il destino ultimo degli empi, alla presunta incapacità di Dio di salvarli, o che essi non Glielo abbiano permesso? Dici: “E’ venuto però per me il tempo in cui volevo ricevere Cristo come mio Salvatore”. Si, è vero, ma è stato il Signore a fare in modo che tu lo volessi[1] (Sl. 110:3; Fl. 2:13). Perché Iddio, allora non fa in modo che tutti lo vogliano? Oh bella, perché Egli è sovrano e fa tutto ciò che Gli piace!
Per tornare, però, alla domanda fatta all’inizio: “Perché mai non sono tutti salvati, soprattutto quelli che, di fatto, odono l’Evangelo?”. Risponderesti ancora a questa domanda: “Perché la maggioranza rifiuta di credere?”. Beh, questo è vero, ma si tratta solo di una parte della verità. Si tratta di una verità dal punto di vista umano. Vi è anche, però, un punto di vista di Dio, ed è necessario pure evidenziare questo punto di vista, sennò deruberemmo Iddio della Sua gloria. I non salvati sono perduti perché rifiutano di credere, gli altri sono salvati perché credono. Perché, però, questi ultimi credono? Che cos’è che fa sì che essi pongano la loro fede in Cristo? E’ forse perché essi sono più intelligenti dei loro compagni, e più pronti a discernere il loro bisogno di salvezza? Non sia mai! “Che cosa, infatti, ti rende diverso? Che cosa hai tu che non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti glori come se non l'avessi ricevuto?” (1 Co. 4:7).
E’ Dio stesso la differenza fra gli eletti ed i non-eletti, perché è scritto: “Ma noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intendimento, affinché conosciamo colui che è il Vero” (1 Gv. 5:20). La fede è un dono di Dio, “perché non tutti hanno la fede” (1 Ts. 3:2). Vediamo, quindi, come Dio non conferisca questo dono a tutti. A chi dunque Egli conferisce questo favore salvifico? Risposta: Ai Suoi eletti: “tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero” (At. 13:48). Per questo leggiamo: “Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per promuovere la fede degli eletti di Dio e la conoscenza della verità che è conforme alla pietà” (Tt. 1:1). Dio non sarebbe così parziale nella distribuzione dei Suoi favori? Si, ma non ha Egli il diritto di farlo?
Ancora ci sono coloro oserebbero mormorare contro Dio? Egli risponderebbe loro così: “Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?” (Mt. 20:15). Dio è sovrano nell’elargizione dei Suoi doni, sia nel campo naturale che in quello spirituale.
Fin qui l’affermazione generale del principio in discussione. Passiamo ora ad un’esposizione più particolareggiata.
1. La sovranità di Dio Padre nell’opera di salvezza
Il testo biblico per eccellenza che afferma nel modo più forte l’assoluta sovranità di Dio in connessione con la determinazione che Egli attua sul destino delle Sue creature, è forse il nono capitolo dell’epistola ai Romani. Non intendiamo qui passare in rassegna l’intero capitolo, ma limitarci ad esaminare i versetti che vanno dal 21 al 23: “Il vasaio non è forse padrone dell'argilla per trarre dalla stessa pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso ignobile? Che c'è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con gran pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione, e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria”. Questi versetti presentano l’umanità decaduta come altrettanto impotente ed inerte di pasta d’argilla. Questo testo biblico rende evidente come non vi sia differenza alcuna in sé fra gli eletti ed i non eletti: essi sono “argilla della stessa pasta”. Questo concorda con Efesini 2:3 dov’è detto che tutti sono per natura “figli d’ira”. Esso insegna che il destino ultimo d’ogni individuo è deciso dalla volontà di Dio: “meno male” che stia così, perché se la cosa fosse lasciata alla nostra volontà, il destino ultimo di tutti noi sarebbe solo il Lago di fuoco. Esso dichiara che Dio stesso di fatto fa una differenza fra le rispettive destinazioni che Egli assegna alle Sue creature, perché un vaso è stato “per uso nobile e un altro per uso ignobile”; alcuni sono “vasi d'ira preparati per la perdizione” mentre altri sono: “vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria”..
Certo è che questi testi abbassano molto l’orgoglioso cuore della creatura perché lo rappresentano come argilla nelle mani del vasaio, ma è esattamente ciò che le Scritture di Verità dicono a questo riguardo. Oggi è il tempo dell’arroganza, dell’orgoglio intellettuale, della deificazione dell’uomo, ed è proprio oggi che abbiamo più che mai bisogno di insistere sul fatto che il “vasaio” abbia pieno diritto di operare con l’argilla e sull’argilla quello che meglio crede. Al tempo stesso dobbiamo insistere come Dio, quando modella i Suoi vasi come vuole e secondo il Suo beneplacito, tratti sempre con giustizia con le Sue creature: come Giudice di tutta la terra, Egli fa e farà sempre ogni cosa per motivi giusti e buoni. Dio esige il Suo incontestabile diritto di fare come vuole con ciò che Gli appartiene.
Dio non ha solo il diritto di fare con le Sue creature ciò che vuole, ma Egli di fatto esercita questo Suo diritto, cosa che Egli mostra in modo evidentissimo nella Sua grazia predestinante. Prima ancora della fondazione del mondo Iddio fece una scelta, una selezione, un’elezione. Davanti ai Suoi occhi onniscienti stava l’intera razza di Adamo, e da essa Egli estrasse un popolo, predestinandolo alla “adozione di figli”, predestinandolo “ad essere conforme “all’immagine di Suo Figlio”, “ordinandolo a vita eterna”. Molti sono i testi biblici che presentano questa verità benedetta. Concentreremo ora la nostra attenzione su sette fra essi.
1. “Gli stranieri, udendo queste cose, si rallegravano e glorificavano la Parola di Dio; e tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero”(At. 13:48). Sono stati escogitati tutti gli artifizi immaginabili per smussare la lama tagliente di questo testo biblico, per cercare di eludere il significato ovvio di queste parole, ma è stato invano, perché nulla mai sarà in grado di riconciliare questo ed altri brani simili con la mente dell’uomo naturale, infatti:“Tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero”. Qui apprendiamo quattro cose: (1) che credere è la conseguenza e non la causa del decreto di Dio; (2) che solo un numero limitato di persone sono state “ordinate a vita eterna”, perché, se tutti senza eccezione fossero così ordinati da Dio, allora le parole “tutti quelli che” sarebbero prive di significato; (3) che questa “ordinazione” di Dio non si riferisce a semplici privilegi esteriori, ma a “vita eterna”, non al servizio, ma alla salvezza stessa; (4) che tutti, “tutti quelli che”, e non uno di meno – che sia stato ordinato da Dio a vita eterna – certamente giungerà a credere. Vale la pena di citare a questo riguardo, le parole del beneamato Spurgeon. Egli disse: “Sono stati fatti molti tentativi per provare che queste parole non insegnano la predestinazione, ma questi tentativi fanno così chiaramente violenza all’oggettività di questo testo, che non sprecherò nemmeno il mio tempo a rispondere loro. Io leggo: “Tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, credettero”, e non cercherò di contorcere il testo, ma darò gloria alla grazia di Dio attribuendo a quella grazia soltanto la fede dell’uomo. Non è forse Dio a dare la disposizione a credere? Se gli uomini sono disposti ad avere vita eterna, non è forse Lui, in ogni caso, a così disporli? Sarebbe forse sbagliato per Dio accordare così la Sua grazia? Se è giusto per Lui accordarla, sarebbe per Lui sbagliato proporsi di accordarla? Vorresti che Egli l’accordasse incidentalmente? Se è giusto per Lui accordare grazia oggi, non era giusto forse che Egli si proponesse di accordarla prima d’oggi? Inoltre, dato che Egli non cambia, non sarebbe giusto che a questo si fosse proposto dall’eternità?”-
2. “Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia. Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia” (Ro. 11:5,6). Le parole “Così anche” all’inizio di questa citazione, si riferiscono al versetto precedente, dove è detto: “Ma che cosa gli rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal»”. Notate in particolare la parola “riservato”. Al tempo d’Elia, vi erano settemila uomini (una piccola minoranza) che erano stati divinamente preservati dall’idolatria e portati alla conoscenza del vero Iddio. Questa preservazione ed illuminazione non era dovuta ad alcunché avesse potuto trovarsi in loro, ma solo alla speciale influenza ed opera di Dio. Quale gran favore questi individui avevano ricevuto da Dio! Ora, dice l’apostolo, proprio come vi era stato un “residuo riservato per Dio” ai tempi d’Elia, così pure avviene nell’attuale dispensazione. “Un residuo eletto per grazia”: ecco così che la causa dell’elezione è fatta risalire alla sua fonte. La base sulla quale Dio ha eletto questo “residuo” non era la fede che Egli aveva “previsto” in loro, perché una scelta basata sulla previsione di buone opere non avrebbe potuto essere chiamata “grazia”, ma “ricompensa”, perché, dice l’apostolo “se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia”. Tutto questo vuol ricordare che grazia ed opere sono due cose contrapposte, non hanno alcunché un comune, non si possono mescolare più di quanto lo possano acqua ed olio. L’idea, quindi, di un bene intrinseco, previsto nelle persone così scelte, o di alcunché di meritorio operato in loro, è rigidamente escluso. “Un residuo eletto per grazia” significa una scelta incondizionata risultante dal sovrano favore di Dio; in una parola, si tratta di un’elezione assolutamente gratuita.
3. “Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, perché nessuno si vanti di fronte a Dio” (1 Co. 1:26-29). In questo brano, per ben tre volte si fa riferimento alla scelta di Dio, e una scelta necessariamente presuppone una selezione, prenderne alcuni e lasciarne altri. Colui che sceglie è Dio stesso, come disse Gesù ai Suoi apostoli: “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi” (Gv. 15:16). Il numero delle persone scelte è strettamente definito: “Non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili…”, il che concorda con Matteo 20:16: “Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi, perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt. 20:16 ND). Questo per quanto riguarda il fatto della scelta da parte di Dio; notate, però, ora, gli oggetti di questa scelta. Coloro che sono oggetto di una scelta da parte di Dio sono “le cose deboli del mondo… le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate…”. Perché? Per dimostrare e magnificare la Sua grazia. Le vie di Dio, come pure i Suoi pensieri, sono diversi da quelli dell’uomo. La mente carnale avrebbe supposto che Dio avesse scelto persone opulente e d’influenza, persone gradevoli e colte, così che il cristianesimo avesse conquistato l’approvazione e l’applauso del mondo sfoggiando gloria carnale. No, non è avvenuto così, “perché quello che è eccelso tra gli uomini, è abominevole davanti a Dio” (Lu. 16:15). Dio sceglie “le cose ignobili”. Lo fece ai tempi dell’Antico Testamento. La nazione che Egli scelse come portatrice dei Suoi santi oracoli ed il canale attraverso il quale la Discendenza promessa sarebbe venuta, non era l’antico Egitto, i fieri babilonesi, i greci, altamente civilizzati ed eruditi. No, coloro sui quali Yahweh ripose il Suo amore e considerò “pupilla dei Suoi occhi”, furono gli ebrei, nomadi e disprezzati. Così fu quando il nostro Signore mise la Sua tenda fra gli uomini. Coloro che Egli chiamò in favorita intimità con Sé e li mandò nel mondo come Suoi ambasciatori, erano, per la maggior parte, incolti pescatori. Così è stato da allora. Così è oggi. All’attuale percentuale di crescita, non ci vorrà molto prima che diventi chiaro che il Signore avrà più persone che Gli appartengono nella disprezzata Cina più che negli altamente favoriti U. S. A.; più fra i neri non civilizzati dell’Africa di quanto non ne abbia nell’erudita (?) Germania! Lo scopo della scelta di Dio, la ragion d’essere della sua selezione è “perché nessuno si vanti di fronte a Dio” – affinché non ci sia nulla negli oggetti della Sua scelta per il quale si pensi che essi abbiano titolo ai Suoi speciali favori. Allora tutta la lode sarà liberamente attribuita alle straripanti ricchezze della Sua molteplice grazia.
4. “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà. In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà” (Ef. 1:3-5,11). Ancora una volta qui c’è detto a quale punto del tempo (se può chiamarsi tempo) in cui Dio scelse coloro che avrebbero poi dovuto essere Suoi figli mediante Gesù Cristo. Non fu dopo che Adamo era caduto, affondando la sua razza nel peccato e nella maledizione, ma molto prima che Adamo vedesse la luce, persino prima che il mondo stesso fosse fondato, che Dio ci scelse in Cristo. In questo testo pure apprendiamo quale sia lo scopo che Dio aveva di fronte a Lui al riguardo dei Suoi eletti, cioè: “Perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui”, per “essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli”, un’affermazione, questa, che confuta l’empia accusa che spesso viene sollevata che, per Dio, decidere il destino eterno delle Sue creature prima che siano nate, sia tirannico ed ingiusto. Infine noi qui veniamo informati che, in questa questione, Egli non chiese consiglio a nessuno, ma che siamo “stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà”.
5. “Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità” (2 Ts. 2:13). Qui vi sono tre cose che meritano speciale attenzione. In primo luogo, il fatto che ci venga espressamente detto che gli eletti di Dio siano stati “eletti a salvezza”. Più chiaro di così non si può. Queste parole spazzano via con sol colpo tutti i sofismi e gli equivoci di coloro che affermano che l’elezione non si riferisca altro che a privilegi esteriori o a livello di servizio! E’ ai fini della “salvezza” stessa che Dio ci scelse. In secondo luogo, è qui pure molto chiaro che l’elezione a salvezza non trascura l’uso di mezzi appropriati per effettuarla. La salvezza si raggiunge “mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità”. Non è affatto vero che proprio perché Iddio ha scelto una certa persona affinché siano salvata, questa sia salvata volente o nolente, sia che crede oppure no: non c’è alcuna evidenza di questo nelle Scritture. Lo stesso Dio che predestinò il fine, pure ne stabilì i mezzi; lo stesso Dio che “elesse a salvezza”, decretò pure che il Suo proposito si realizzasse attraverso l’opera dello Spirito e la fede nella verità. In terzo luogo, che Dio ci abbia scelto a salvezza è causa profonda di fervente lode. Notate come l’Apostolo esprima questo: “Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti ecc.”. Invece di ritirarsi cono orrore dalla dottrina della predestinazione, il credente, quando vede questa verità benedetta com’essa è sviluppata dalla Scrittura, scopre in essa la base della gratitudine e del suo rendimento di grazie come nient’altro potrebbe fare, eccetto l’indicibile dono dello stesso Redentore.
6. “Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che c’è stata fatta in Cristo Gesù fin dall'eternità”. La Scrittura è davvero chiara e lineare! E’ l’uomo che, con le sue parole, oscura il consiglio di Dio. E’ impossibile affermare la cosa in modo più chiaro e forte di questo. La nostra salvezza non ci risulta “a motivo delle nostre opere”, cioè, non è dovuta a nulla che vi sia in noi, né è la ricompensa di alcunché che noi si possa aver fatto. Al contrario, è il risultato del “proposito” e della grazia di Dio, e questa grazia ci è stata accordata in Cristo Gesù “fin dall’eternità”. E’ per grazia che siamo stati salvati, e nel proposito di Dio, questa grazia ci è stata conferita non solo prima che noi venissimo alla luce, non solo prima della caduta di Adamo, ma anche prima di quel distante “principio” di Genesi 1:1. E’ qui che giace l’incrollabile certezza del popolo di Dio. Se la Sua scelta è stata dall’eternità, essa durerà per tutta l’eternità! “Non c’è nulla che sopravviva all’eternità se non ciò che proviene dall’eternità, e ciò che così è venuto, lo sarà” (G. S. Bishof).
7. “…eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, ad ubbidire e ad essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo: grazia e pace vi siano moltiplicate” (1 Pi. 1:2). Qui ancora l’elezione da parte del Padre precede l’opera dello Spirito Santo nel credente e la stessa obbedienza della fede, in coloro che sono salvati. Questo lo sottrae completamente dalla creatura, fondandosi solo sul compiacimento sovrano dell’Onnipotente. La “prescienza di Dio Padre” non si riferisce qui alla Sua prescienza d’ogni cosa, ma significa che i santi erano presenti da ogni eternità in Cristo davanti alla mente di Dio. Dio non “preconosceva” che certe persone avrebbero udito l’Evangelo ed avrebbero creduto indipendentemente dal fatto che Egli avesse “ordinato” queste alla vita eterna. Ciò che la prescienza di Dio vide in tutti gli uomini era piuttosto amore per il peccato ed odio verso di Lui. La “prescienza” di Dio è basata sui Suoi propri decreti, com’è chiaro da Atti 2:23: “Quest’uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste” – notate qui l’ordine delle espressioni: prima il “determinato consiglio” di Dio (il Suo decreto), poi la Sua “prescienza”. Ancora vediamo questo in Romani 8:28,29: “Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli”. Qui la prima parola, “perché”, si riferisce al versetto precedente e all’ultima sua espressione, che dice: “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno”- questi sono coloro che Egli ha “preconosciuti” e “predestinati”. Dev’essere, infine, rilevato che, quando leggiamo nella Scrittura che Dio “conobbe” certe persone, la parola indica “conoscere con approvazione ed amore”: “Se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui” (1 Co. 8:3). Agli ipocriti, Iddio dirà: “Io non vi ho mai conosciuto”, cioè, “io non vi ho mai amato”. “…eletti secondo la prescienza di Dio Padre” significa, quindi, scelti da Lui come oggetto speciale della Sua approvazione ed amore.
Riassumendo l’insegnamento di questi sette brani, apprendiamo che Dio ha “ordinato a vita eterna” certuni e che, come conseguenza di questa ordinazione, essi, a tempo debito, “credono”; che l’ordinazione di Dio alla salvezza dei Suoi eletti non è dovuta a cose buone che si trovano in loro, né ad alcunché di meritorio che essi abbiano compiuto, ma solo per la Sua “grazia”; che Dio ha appositamente selezionato gli oggetti più impensabili per essere recipienti dei Suoi speciali favori, affinché “nessuno si glori alla Sua presenza”; che Dio scelse il Suo popolo in Cristo prima della fondazione del mondo, non perché essi lo fossero, ma affinché diventassero irreprensibili e senza macchia di fronte a Lui; che, avendo selezionato alcuni alla salvezza, Egli pure decretò i mezzi attraverso i quali il Suo eterno consiglio si fosse realizzato; che la stessa “grazia” mediante la quale siamo salvati era, nei propositi di Dio, “data a noi in Cristo Gesù prima che il mondo iniziasse”, che molto prima che essi erano stati di fatto creati, gli eletti di Dio erano già presenti nella Sua mente, erano da Lui “preconosciuti”, cioè erano oggetti ben definiti del Suo eterno amore.
Prima di volgerci alla prossima divisione di questo capitolo, è necessaria un’ulteriore parola al riguardo dei soggetti della grazia predestinante. Ci soffermiamo ancora su questo terreno, perché è a questo punto che la dottrina della sovranità di Dio nel predestinare alcuni alla salvezza è attaccata più di frequente. Coloro che pervertono questa verità, cercano invariabilmente di trovare una qualche causa al di fuori della stessa volontà di Dio, che possa così spingerlo ad impartire salvezza ai peccatori; qualcosa o altro che possa essere attribuito alla creatura, che dia loro titolo a ricevere la misericordia dalle mani del Creatore. Ritorniamo così alla domanda: “Perché Dio sceglie quelli che sceglie?”, che cosa c’era negli eletti stessi che attraeva il cuore di Dio verso di loro? Forse perché in loro vi erano delle virtù? Perché avevano un cuore generoso, un carattere dolce, perché dicevano la verità? In una parola, perché erano “buoni” che Dio li scelse? No, perché nostro Signore disse: “Uno solo è il buono” (Mt. 19:17). Forse Dio li scelse per opere buone da essi compiute? No, perché è scritto: “Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c'è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” (Ro. 3:12). Forse perché essi davano evidenza di serietà e zelo nel cercare Dio? No, perché ancora sta scritto: “Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio” (Ro. 3:11). Era perché Dio aveva previsto che essi avrebbero creduto? No, perché come potrebbero credere in Cristo coloro che erano “morti nei loro peccati e nelle loro trasgressioni”? Come poteva Dio preconoscere che alcuni uomini avrebbero creduto, quando la fede sarebbe stata loro impossibile? La Scrittura dichiara che quelli: “avevano creduto mediante la grazia di Dio” (At. 18:27). La fede è un dono di Dio, e indipendentemente da questo dono nessuno potrebbe mai credere. La causa della Sua scelta giace in Lui stesso e non negli oggetti della Sua scelta. Egli scelse coloro che scelse semplicemente perché Egli scelse di scegliergli!
“Noi siamo figli per l’elezione divina, noi che crediamo in Cristo. Per destinazione eterna, grazia sovrana, noi ora riceviamo, Signore, la Tua misericordia. Per questo ti rendiamo grazie e gloria!”.
2. La sovranità di Dio il Figlio nella salvezza
Per chi è morto Cristo? Certamente non si può contestare il fatto che il Padre avesse uno specifico proposito, quando Lo consegnò alla morte, o che il Figlio avesse davanti a Lui uno specifico progetto nel deporre la Sua vita: “A Dio sono note da sempre tutte le opere sue” (At. 15:18 ND). Qual era, dunque il proposito del Padre e il progetto del Figlio? Rispondiamo: Cristo morì per gli eletti di Dio. Siamo ben consapevoli del fatto che il progetto limitato nella morte del Figlio, sia stato oggetto di molte controversie – quale grande verità della Bibbia, per altro, non lo è stata? Nemmeno dimentichiamo che tutto ciò che abbia a che fare con la Persona e l’opera del nostro Salvatore benedetto, debba essere trattata con il massimo rispetto, e che in appoggio ad ogni affermazione che facciamo, sia necessario poter dire “Così dice il Signore”. Faremo dunque appello alla Legge ed alla Testimonianza.
Per chi morì Cristo? Chi erano quelli che Egli intese redimere attraverso lo spargimento del Suo sangue? Certamente il Signore Gesù aveva una qualche determinazione assoluta davanti a Sé prima di andare alla Croce. Se l’aveva, ne consegue che l’estensione di quel proposito, dovesse essere certamente limitata, perché un proposito o una determinazione assoluta deve essere pienamente realizzata. Se la determinazione di Cristo avesse incluso tutta l’umanità, allora tutta l’umanità sarebbe stata certamente salvata. Per sfuggire a quest’inevitabile conclusione, molti hanno affermato che non vi fosse davanti a Cristo alcuna determinazione assoluta, ma che nella Sua morte, fosse stata semplicemente provveduta, per tutta l’umanità, una possibilità di salvezza, su condizione. Si può contestare, però, quest’idea, notando come, di fatto, vi siano precise promesse fatte dal Padre al Figlio prima che Lui andasse alla croce, prim’ancora di incarnarsi. Le Scritture dell’Antico Testamento presentano il Padre che promette al Figlio una certa ricompensa per le Sue sofferenze in favore dei peccatori. In questa fase ci limiteremo a due affermazioni che si trovano nel famoso capitolo 53 di Isaia. Lì troviamo Iddio che dice: “Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza … Egli vedrà il frutto del suo tormento interiore, e ne sarà saziato” e che il giusto Servo di Dio “renderà giusti i molti” (vv. 10 e 11). Fermiamoci qui e chiediamoci: in che modo potrebbe essere certo che Cristo avrebbe visto “la Sua discendenza” ed essere “saziato” del “frutto del Suo tormento” salvo che la salvezza di certi membri della razza umana non fosse stata divinamente decretata, e quindi resa certa?[2] In che modo avrebbe potuto essere certo che Cristo avrebbe “reso giusti i molti”, se non fosse stato disposto che essi lo avrebbero accolto come loro Salvatore? D’altro canto, insistere che il Signore Gesù espressamente si fosse proposto la salvezza di tutta l’umanità, significherebbe accusarlo di ciò di cui nessun essere intelligente dovrebbe essere reso colpevole, cioè, proporsi, progettare ciò che, in virtù della Sua onniscienza, Egli sapeva che mai sarebbe avvenuto[3]. L’unica alternativa che ci rimane, quindi, per quanto riguarda il proposito predeterminato della Sua morte, è che Cristo sia morto solo per gli eletti. Per riassumere con una sola frase, che confidiamo essere intelligibile ad ogni lettore, diremmo: Cristo è morto non solo per rendere possibile la salvezza di tutti coloro che il Padre Gli aveva affidato, ma per rendere certa la salvezza di tutti coloro che il Padre Gli aveva affidato. Cristo non è morto semplicemente per rendere perdonabili i peccati, ma “per annullare il peccato con il suo sacrificio” (Eb. 9:26). Inoltre, per sapere chi sono coloro il cui peccato sarebbe stato “annullato”, la Scrittura afferma chiaramente trattarsi del peccato degli eletti , “il mondo” (Gv. 1:29) del popolo di Dio!
1. L’estensione limitata del progetto di Redenzione è conseguenza necessaria della scelta operata dall’eternità dal Padre a che certuni fossero salvati. Le Scritture ci informano che, prima della stessa incarnazione del Signore, Egli disse: “Allora ho detto: "Ecco, vengo" (nel rotolo del libro è scritto di me) "per fare, o Dio, la tua volontà" (Eb. 10:7). Dopo essersi incarnato, Egli dichiara: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv. 6:38). Se dall’inizio Dio aveva scelto alcuni affinché fossero salvati, allora, siccome la volontà di Cristo era in perfetto accordo con quella del Padre, Egli non certo avrebbe cercato di allargare il numero degli eletti. Ciò che qui abbiamo affermato, non è solo una nostra deduzione plausibile, ma è in stretta armonia con l’espresso insegnamento della Parola. Ripetutamente il Signore fa riferimento a quelli che il Padre gli aveva “dato”, e riguardo ai quali Egli era particolarmente esercitato. Dice infatti: “Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori ... Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno di quelli che egli mi ha dati, ma che li risusciti nell'ultimo giorno” (Gv. 6:37,39). E ancora: “Padre, l'ora è venuta; glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te ... giacché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati. ... Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu mi hai dati dal mondo; erano tuoi e tu me li hai dati; ed essi hanno osservato la tua parola. ... Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi ... Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo" (Gv. 17:1, 2, 6, 9, 24). Prima della fondazione del mondo, il Padre ha predestinato un popolo affinché fosse conforme all’immagine di Suo Figlio, e la morte e risurrezione del Signore Gesù era stata finalizzata per portare a compimento questo divino proposito.
2. La natura stessa della Redenzione rende evidente come, nella sua applicazione ai peccatori, nei propositi di Dio essa fosse limitata. L’opera espiatoria di Cristo può essere considerata da due punti di vista principali – rispetto a Dio e rispetto all’umanità. Rispetto a Dio, l’opera che Cristo compì sulla croce era una propiziazione, placando essa l’ira di Dio, una soddisfazione resa alla divina giustizia e santità. Rispetto all’uomo, essa era una sostituzione o atto vicario, in cui l’Innocente aveva preso il posto del colpevole, il Giusto che moriva per l’ingiusto. Una stretta sostituzione, però, di Persona a persona, e l’infliggere su di Lui sofferenze volontarie, implica il definito riconoscimento da parte del Sostituto (o Vicario) e di Colui per il quale Egli opera la propiziazione delle persone per le quali agisce, delle persone che Egli rappresenta e i cui peccati Egli porta, quelle i cui obblighi legali Egli assolve. Inoltre, se il Legislatore accoglie la soddisfazione operata dal Sostituto, allora, coloro per i quali agisce il Sostituto, devono essere necessariamente assolti. Se io ho un debito e non sono in grado di pagarlo, e subentra un altro che paga per me pienamente il mio creditore, ricevendone per riconoscimento un attestato, una ricevuta, allora, agli occhi della legge, il mio creditore non può pretendere più nulla da me. Sulla croce, il Signore Gesù Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto, e che questo fosse stato accettato da Dio, fu attestato dalla tomba trovata vuota tre giorni dopo. La questione ora è questa: per chi è stato offerto questo prezzo di riscatto? Se fosse stato offerto per tutta l’umanità, allora il debito incorso da ogni essere umano sarebbe stato cancellato. Se Cristo portò nel Suo stesso corpo sul legno i peccati di tutta l’umanità senza eccezione, allora nessuno perirebbe. Se Cristo fosse stato “reso maledizione” per tutta la razza d’Adamo, allora nessuno oggi sarebbe “sottoposto a condanna”. Dio non può esigere due volte il pagamento, prima dalle mani del Garante e poi ancora dalle mie. Cristo, però, non pagò i debiti di tutta l’umanità senza eccezione, perché ancora vi sono persone che verranno “gettate in prigione” (cfr. 1 Pi. 3:19, dove ricorre la medesima parola per “prigione”), e “di là non usciranno, finché non abbiano pagato l'ultimo centesimo” (Mt. 5:26), cosa che, ovviamente, non potrà mai avvenire. Cristo non portò i peccati di tutta l’umanità, perché ancora vi sono persone che “moriranno nel loro peccato” (Gv. 8:21), e nelle quali il peccato “rimane” (Gv. 9:41). Cristo non “divenne maledizione” per tutta l’umanità, perché d’alcuni Egli ancora dirà: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!” (Mt. 25:41). Dire che Cristo morì per tutti indistintamente, dire che Egli sia divenuto Sostituto e Garante per l’intera umanità, dire che Egli soffrì in favore ed al posto di tutta l’umanità, significa dire che Egli: “Portò la maledizione di molti che ora portano la maledizione da sé stessi; che Egli soffrì il castigo per molti che ora sono all’inferno nei tormenti; che Egli pagò il prezzo della redenzione per molti che ancora dovranno pagare nella loro eterna angoscia, il salario del peccato, cioè la morte” (G. S. Bishop). D’altro canto, però, affermare che Cristo sia stato trafitto per le trasgressioni del popolo di Dio, significa sostenere che Egli operò una redenzione che redime veramente e totalmente, che Egli offerse una propiziazione che veramente propizia, che Egli è un Salvatore che veramente salva!
3. Strettamente connesso con ciò che abbiamo detto prima, ed ulteriore sua conferma, è l’insegnamento della Scrittura al riguardo del sacerdozio del Signore. E’ come grande Sommo Sacerdote che ora Cristo compie opera d’intercessione. Per chi, però, Egli la fa? Per chi sta intercedendo? Per l’intero genere umano, o solo per il Suo popolo? La risposta che a questa domanda fornisce il Nuovo Testamento è chiara come la luce del sole. Cristo è entrato in un luogo santissimo: “Per comparire ora alla presenza di Dio per noi” (Eb. 9:24), cioè per coloro che sono “partecipi della celeste vocazione” (Eb. 3:1). Ancora è scritto: “Egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Eb. 7:25). Questo concorda strettamente con la tipologia dell’Antico Testamento. Dopo aver ucciso l’animale sacrificale, Aaronne entrava nel luogo santissimo come rappresentante ed in nome del popolo di Dio: erano i nomi delle tribù d’Israele ad essere incisi sul suo pettorale, ed era nei loro interessi che egli compariva di fronte a Dio. Concordano con questo, pure le parole del nostro Signore in Giovanni 17:9: “Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dati, perché sono tuoi” . Un altro testo che merita particolare attenzione a questo riguardo, si trova in Romani 8. Nel versetto 33 troviamo la domanda: “Chi accuserà gli eletti di Dio?”, al che segue l’ispirata risposta: “Dio è colui che li giustifica. Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi”. Notate particolarmente come morte ed intercessione abbiano un unico e solo oggetto! Com’era nel tipo, così è nell’antitipo – espiazione e supplica coprono lo stesso ambito. Se dunque Cristo intercede solo per gli eletti e “non per il mondo”, allora Egli è morto solo per loro. Si osservi poi come la morte, risurrezione, esaltazione ed intercessione di Gesù Cristo siano considerati la ragione per cui nessuno potrà mai lanciare “accuse” contro gli eletti di Dio. Chi ancora vorrebbe contestare questo fatto, soppesi attentamente la domanda seguente – se il beneficio della morte di Cristo si estende ugualmente a tutti, in che modo essa può diventare una garanzia contro un’accusa, dato che tutti coloro che non credono rimangono sottoposti alla condanna da parte di Dio (Gv. 3:18)[4]?
4. Il numero di coloro che partecipano ai benefici della morte di Cristo, non solo è determinato dalla natura della Sua opera espiatoria e dal Suo sacerdozio, ma anche dalla Sua potenza. Dato che Colui che morì sulla croce era Dio manifesto in carne, ne consegue inevitabilmente che ciò che Cristo si è proposto di fare, Egli lo realizzi nel modo più certo; che ciò per cui Egli ha pagato il prezzo, Egli di fatto possieda; che ciò sul quale Egli ha posto la Sua affezione, sarà senz’alcun dubbio assicurato a Lui. Se è vero che il Signore Gesù possiede ogni potere in cielo e sulla terra, allora nessuno potrà mai resisterGli e prevalere su di Lui. Qualcuno però dirà: “Questo è vero in generale, ma è Cristo che rifiuta di esercitare questo potere in quanto Egli non forzerà mai nessuno a riceverlo come Salvatore”. In un certo senso quest’osservazione è vera, ma in un altro senso assolutamente No. La salvezza d’un qualunque peccatore dipende solo dalla potenza divina. Per natura, il peccatore si trova in stato di inimicizia contro Dio, e nient’altro che la potenza divina operante in lui, potrà sconfiggere quest’inimicizia. Per questo è scritto: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” (Gv. 6:44). Quello che solo può far si che il peccatore voglia venire a Cristo per ricevere vita, è la potenza divina che infrange l’inimicizia contro Dio, che in lui è innata. Questa inimicizia, però, non viene spezzata in tutti. Perché? E’ forse perché essa è troppo forte per poter essere piegata? Forse che alcune persone sono così ostinatamente ostili a Lui che Cristo non è in grado d’entrare in loro? Rispondere di sì a queste domande, significa negare la Sua onnipotenza. In ultima analisi non si tratta tanto della maggiore o minore disponibilità del peccatore ad andare a Cristo, perché per natura tutti non sono disponibili, per natura nessuno avrebbe intenzione alcuna d’andare a Lui. La disponibilità, la volontà di venire a Cristo è solo il risultato finale della potenza divina che opera nel cuore e nella volontà dell’uomo e che infrange la sua “inimicizia” cronica e congenita, com’è scritto: “Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere” (Sl. 110:3 ND). Sostenere che Cristo non sia in grado di conquistare a Sé coloro che non vogliono venire a Lui, significa negare che Egli abbia potere in cielo e sulla terra. Affermare che Cristo non possa dispiegare la Sua potenza, senza distruggere la responsabilità umana, significa volutamente ignorare il dato di fatto che è solo per la Sua potenza che Egli ha fatto si volessero venire a Lui coloro che l’hanno fatto. Se Cristo l’ha fatto senza distruggere la loro responsabilità, perché non potrebbe Egli fare lo stesso con altri? Se Egli è in grado di conquistare a Sé il cuore di un peccatore, perché non quello d’un altro? Dire, come di solito si dice, che gli altri non glielo permettono, significa mettere in questione la Sua sufficienza. In gioco è la Sua volontà. Se fosse vero che il Signore Gesù avrebbe decretato, desiderato e progettato la salvezza di tutta l’umanità, allora l’intera razza umana sarebbe salvata, oppure Egli non avrebbe la capacità di realizzare le Sue intenzioni. In tale caso non si potrebbe dire: “Egli vedrà il frutto del suo tormento interiore, e ne sarà saziato” (Is. 53:11). Questa questione implica la divinità del Salvatore, perché un Salvatore frustrato e sconfitto non potrebbe essere Dio.
Abbiamo così trattato alcuni dei principi generali che esigono che noi si creda che la virtù della morte di Cristo abbia un raggio d’applicazione limitato. Considereremo ora alcune fra le più esplicite affermazioni della Scrittura che espressamente l’affermano.
In quel meraviglioso ed inimitabile capitolo 53 d’Isaia, Iddio, a proposito di Suo Figlio, ci dice: “Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo?” (v. 8). In perfetta armonia con questo era la parola rivolta dall’angelo a Giuseppe: “Ella partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt. 1:21), cioè non semplicemente Israele, ma tutti colo che il Padre Gli avrebbe “dato”. Il Signore stesso dichiara: “il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Mt. 20:28). Perché qui dice “per molti” se Egli avrebbe dato la Sua vita per tutti senza eccezione? E’ “il Suo popolo” che Egli ha riscattato (Lu. 1:68). Il Buon Pastore l’ha fatto per “le pecore”, non per le “capre”. Chi sono quelli che Egli “ha acquistato con il proprio sangue”? La “Chiesa di Dio” (At. 20:28). Se però nella Scrittura c’è un testo che, più di qualunque altro, ci può persuadere al riguardo è Giovanni 11:49-52: “Uno di loro, Caiafa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione». Or egli non disse questo di suo; ma, siccome era sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire in uno i figli di Dio dispersi”. Qui ci viene detto che Caiafa “non disse questo di suo”, che la sua profezia non proveniva da una sua particolare interpretazione (2 Pi. 1:21), ma che in questo Egli era stato mosso dallo Spirito Santo. Quest’affermazione, quindi, è rivelazione di Dio, proviene da Lui. Qui troviamo espressamente affermato che Cristo morì per “quella nazione”, vale a dire Israele, e pure per il Corpo unico della Sua Chiesa, perché è nella Chiesa che i figli di Dio “dispersi” fra le nazioni, saranno raccolti ora insieme in un solo corpo, “in uno”. Non è notevole qui il fatto che i membri della Chiesa qui siano chiamati “figli di Dio” persino prima che Cristo fosse morto, e quindi prima ancora che Egli cominciasse ad edificare la Sua Chiesa? La più gran parte d’essi non era nemmeno ancora nata, eppure sono considerati “figli di Dio”. Sono figli di Dio perché sono stati eletti in Cristo prima della fondazione del mondo, e quindi: “Predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà” (Ef. 1:5). Allo stesso modo, Cristo disse: “Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore” (Gv. 10:16). Durante l’ultima settimana del Suo ministero terreno, il nostro benedetto Salvatore aveva, nel cuore e sulle labbra, un unico e grande interesse. Qual era? Erano “i Suoi”:“Or prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv. 13:1). Erano “i Suoi amici”: infatti, ancora Egli disse: “Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici” (Gv. 15.13). Inoltre: “Per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati nella verità” (Gv. 17:19), cioè in favore di coloro che il Padre gli aveva “dato” che Egli si mise a parte per morire sulla Croce. Ci si può ben chiedere: perché una tale discriminazione di termini se Gesù fosse morto indiscriminatamente per tutti?
Prima di chiudere questa sezione del capitolo, considereremo brevemente alcuni altri brani che sembrano insegnare che la virtù della morte di Cristo abbia un raggio d’azione illimitato.
1. In 2 Corinzi 5:14 leggiamo: “uno solo morì per tutti”. Uno solo morì per tutti? Questo, però, non è tutto ciò che dice questo testo. Se esaminiamo l’intero versetto nel suo contesto, troveremo che, invece di insegnare il concetto d’una redenzione illimitata, esso insegna proprio il contrario, cioè l’estensione limitata dei benefici della morte di Cristo. Il versetto intero dice: “L’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono”. E’ necessario rilevare come in greco, prima dell’ultimo “tutti”, vi sia l’articolo determinativo e che il verbo sia posto nel tempo aoristo. Letteralmente bisognerebbe quindi leggere: “Possiamo così concluderne che: se Uno solo morì per tutti, quei tutti morirono”. E’ chiaro che qui l’apostolo sta traendo la conclusione del ragionamento precedente. Egli intende dire questo: coloro per i quali Cristo è morto, possono essere considerati come se essi fossero altresì morti, legalmente morti. Il versetto seguente afferma: “…e ch'egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Co. 5:16). Quell’Uno non solo è morto, ma pure “è risuscitato” per loro: per questo pure si può dire che “quei tutti”, tutti coloro per i quali Egli è risuscitato, siano altresì “viventi”. Un rappresentante, o sostituto, agisce in nome di coloro che rappresenta, così che ciò che egli compie è come se l’avessero compiuto loro; ciò che egli consegue è come se l’avessero conseguito coloro per i quali egli agisce. Di fronte alla legge, il rappresentante (sostituto) ed i rappresentati, sono uno. Lo stesso vale agli occhi di Dio. Cristo s’identifica con il Suo popolo ed il Suo popolo s’identifica in Lui, per cui, quando Egli muore, anch’essi (legalmente) muoiono, e quando Egli risorge, anch’essi risorgono. In questo brano troviamo pure altro, vale a dire (v. 17[5]) che se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura, ha ricevuto una nuova vita, sia di fatto che di fronte alla legge. E’ per questo che quei “tutti” per i quali Cristo è morto, sono esortati a non vivere più per sé stessi, ma “per colui che è morto e risuscitato per loro”. In altre parole, coloro che appartengono a questi “tutti” e per i quali Cristo è morto, sono esortati a manifestare in pratica nella loro vita quotidiana ciò che per loro è vero legalmente: devono vivere “per colui che è morto per loro”. Ecco così che è definito ciò che s’intende per “uno solo morì per tutti”. Quei “tutti” per i quali Cristo è morto sono gli stessi che “vivono” e che qui sono esortati a vivere “per Lui”. Questo brano, così, insegna tre importanti verità, e per meglio evidenziarle, le citeremo nell’ordine inverso: (a) alcuni sono esortati a non vivere più per sé stessi, ma per Cristo; (b) chi sono questi? Sono “coloro che vivono”, vale a dire che vivono spiritualmente, vale a dire i figli di Dio, perché nel contesto dell’umanità solo loro possiedono vita spirituale (gli altri sono morti nei loro peccati e nelle loro trasgressioni); (c) coloro che così vivono, sono coloro, quei “tutti” per i quali Cristo è morto e risorto. Questo brano, quindi, chiaramente insegna che (a) Cristo morì per tutti coloro che appartengono al Suo popolo, vale a dire tutti gli eletti, coloro che il Padre ha affidato al Figlio; che (b) come risultato della Sua morte e risurrezione “per loro”, essi “vivono” – e che (c) gli eletti sono i soli che così vivono, e questa vita che loro appartiene mediante Gesù Cristo, deve essere vissuta “per Lui”: ora l’amore di Cristo “li costringe”.
2. “Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo” (1 Ti. 2:5,6). Ci concentreremo sulle parole: “Che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti”. Nelle Scritture la parola “tutti” (applicata all’umanità) è usata in due modi – in modo assoluto ed in modo relativo. In alcuni brani essa significa tutti senza eccezione; in altri significa tutti senza distinzione. Quale di questi significati possa essere applicato al caso esaminato, dipende dal contesto e deve essere deciso confrontando i brani paralleli delle Scritture. Che la parola “tutti” sia usata in modo ristretto e relativo, e in tal caso significa tutti senza distinzione, e non tutti senza eccezione, risulta chiaro da un certo numero di brani biblici, dai quali ne sceglieremo due o tre come esempi. “Tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano, confessando i loro peccati” (Mr. 1:5). Forse che questo significa che ogni uomo, donna e bambino da tutta la Giudea ed ogni singolo abitante di Gerusalemme fosse andato da Giovanni per essere battezzato? Certo No. Luca 7:30 dice chiaramente: “I farisei e i dottori della legge, non facendosi battezzare da lui, hanno respinto la volontà di Dio per loro”. Allora, che cosa significa “tutti … erano da lui battezzati”? Rispondiamo: non significa tutti senza eccezione, ma tutti senza distinzione, vale a dire ogni tipo di persone, classe e condizione. La stessa spiegazione s’applica a Luca 3:21: “Ora, mentre tutto il popolo si faceva battezzare, anche Gesù fu battezzato; e, mentre pregava, si aprì il cielo”. Leggiamo pure in Giovanni 8:9 “All'alba tornò nel tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva”: dobbiamo comprendere quest’espressione in modo assoluto o relativo? “Tutto il popolo” significa ogni singola persona che lo componeva, oppure persone d’ogni tipo? Certamente la seconda ipotesi, perché il Tempio non avrebbe potuto ospitare tutti coloro che in quel tempo abitavano a Gerusalemme, cioè alla Festa dei Tabernacoli. Ancora leggiamo in Atti 2:15: “Perché tu gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai viste e udite”. Quel “tutti” certamente non significa ogni singolo membro della razza umana. Ora, noi sosteniamo che “…che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti” 1 Ti. 2:6 non significhi “tutti senz’eccezione”, ma “tutti senza distinzione”. Egli diede Sé stesso come prezzo di riscatto per gente d’ogni nazionalità, d’ogni generazione, d’ogni classe, in una parola, per gli eletti, come leggiamo in Ap. 5:9 “Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione”. Che non si tratti di un’interpretazione arbitraria del “tutti” nel nostro brano è chiaro da Mt. 28:20: “il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”. Questa limitazione sarebbe del tutto priva di significato se Egli diede la Sua vita come prezzo di riscatti per tutti senza eccezione. Inoltre, le parole qui di qualificazione “questa è la testimonianza resa a suo tempo”, devono pure essere considerate. Se Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto per l’intera razza umana, in che senso questo vedrà a suo tempo la testimonianza, dato che moltitudini di persone saranno certamente perdute per l’eternità? Se però il nostro testo significa che Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto per gli eletti di Dio, per tutti senza distinzione, senza distinzione di nazionalità, prestigio sociale, carattere morale, età o sesso, allora il significato di queste parole di qualificazione diventa del tutto comprensibile, perché “a suo tempo” questo risulterà chiaro, ne riceverà testimonianza, quando ciascuno di loro sarà effettivamente salvato.
3. “Vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti” (Eb. 2:9). Non è necessario soffermarsi molto su questo brano. Chi sono questi “tutti”? Il versetto seguente lo spiega: “Infatti, per condurre molti figli alla gloria, era giusto che colui, a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose, rendesse perfetto, per via di sofferenze, l'autore della loro salvezza” (Eb. 2:10). Si tratta di “tutti” quei “molti figli” che saranno condotti alla gloria. Si vede così che questo brano insegna non una salvezza illimitata, ma una salvezza limitata: “molti figli”, non significa “tutti”, ma “un gran numero”, e questo è in perfetto accordo con gli altri testi biblici citati. E’ stato per “i figli” e non per l’intero genere umano che il nostro Signore ha “gustato la morte”[6].
Chiudiamo la sezione di questo capitolo dicendo che l’unica limitazione nell’opera di Redenzione, quella che abbiamo fin ora sostenuto, sorge dalla pura sovranità di Dio: non è una limitazione di valore o di virtù, ma di progetto e di applicazione. Consideramo ora così:
3. La sovranità di Dio lo Spirito Santo nella salvezza
Dato che lo Spirito Santo è una delle tre persone della santa Trinità, ne consegue necessariamente che Egli sia in piena concordanza con la volontà e progetto delle altre Persone dell’Essere di Dio. Il proposito eterno del Padre nell’elezione, l’applicabilità limitata della virtù della morte del Figlio, e la prospettiva limitata dell’opera dello Spirito Santo, sono in accordo perfetto. Se il Padre scelse alcuni prima della fondazione del mondo e li affidò a Suo Figlio, e se è per loro che Cristo diede Sé stesso come prezzo di riscatto, allora non è vero che lo Spirito Santo stia lavorando per “portare il mondo a Cristo”. La missione dello Spirito Santo nel mondo oggi, è quella di applicare i benefici del sacrificio redentore di Cristo. La questione che ci deve occupare ora, non è quanto lo Spirito Santo sia potente – su questo non c’è alcun dubbio: la Sua potenza è illimitata – ma ciò che cercheremo di mostrare è che la Sua potenza ed operazioni sono dirette dalla sapienza e dalla sovranità divina. Abbiamo appena affermato che la potenza ed operazioni dello Spirito Santo sono dirette dalla divina sapienza e dall’indiscutibile sovranità di Dio. Prova di questo la troviamo nelle parole che il nostro Signore dice a Nicodemo in Giovanni “Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv. 3:8). Qui si fa un raffronto fra il vento e lo Spirito. Il raffronto è duplice: in primo luogo sia il vento che lo Spirito agiscono in modo sovrano, in secondo luogo: in modo misterioso. Il raffronto è evidenziato dalla parola ”così”. Il primo punto dell’analogia si riscontra nelle parole “dove vuole”, il secondo in “non sai”. Non ci occuperemo del secondo punto dell’analogia, ma del primo vogliamo continuare a riflettere. “Il vento soffia dove vuole … così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Il vento è un elemento che nessuno può né imbrigliare né impedire. Il vento non si consulta con l’uomo, prima di soffiare, né può essere regolato da artifici di sorta. Così è dello Spirito. Il vento è regolato dalla divina sapienza, eppure, per quanto riguarda l’uomo, esso è assolutamente sovrano nelle sue operazioni. Così è con lo Spirito. Talvolta il vento soffia così dolcemente che a malapena fa tremare una foglia; altre volte soffia con tale violenza che il suo ruggito può essere udito per miglia. Così è per quanto riguarda la nuova nascita. Con alcuni lo Spirito opera in modo molto delicato, tanto che la Sua opera è impercettibile ad umani osservatori. Con altri la Sua opera è così potente, radicale, rivoluzionaria, che le Sue operazioni sono evidenti per tutti. Alcune volte il vento ha un influsso solo locale, altre volte insiste su intere regioni. Così è per lo Spirito: oggi agisce su un’anima o su due, domani Egli può, come a Pentecoste, “compungere il cuore” d’intere moltitudini di persone. Sia però che operi su pochi o su molti, Egli non si consulta prima con l’uomo, ma agisce a Suo piacimento. La nuova nascita dipende dalla volontà sovrana dello Spirito.
Ciascuna Persona della santa Trinità si occupa della nostra salvezza. Il Padre si occupa della predestinazione, il Figlio della propiziazione, lo Spirito della rigenerazione. Il Padre ci scelse; il Figlio morì per noi; lo Spirito ci vivifica. Il Padre s’interessò di noi; il Figlio versò il Suo sangue per noi; lo Spirito compie la Sua opera in noi. Ciò che fece il Primo era di valenza eterna; ciò che il secondo fece era di valenza esterna; ciò che lo Spirito fa è di valenza interna. E’ dell’opera dello Spirito ciò di cui ora ci occupiamo, della Sua opera nell’ambito della nuova nascita, ed, in particolare delle sue operazioni sovrane nell’ambito della nuova nascita. Il Padre si propose la nostra nuova nascita; il Figlio rese possibile la nuova nascita (con il Suo “travaglio”), ma lo Spirito Santo realizza la nuova nascita – “nati dallo Spirito” (Gv. 3:6).
La nuova nascita è esclusivamente opera di Dio lo Spirito, e l’uomo in questo non ha né arte né parte. L’idea stessa di nascita esclude che vi possa essere un qualsiasi contributo da parte della persona che nasce. A livello personale noi non possiamo “partecipare” alla nuova nascita più di quanto abbiamo partecipato alla nostra nascita naturale. La nuova nascita è una risurrezione spirituale, un “passare dalla morte alla vita” (Gv. 5:24) e, chiaramente, la risurrezione è altresì cosa alla quale l’uomo cooperi. Nessun cadavere è in grado di rianimare sé stesso. Per questo è scritto: “È lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità” (Gv. 6:63). Lo Spirito, però, non “vivifica” tutti: perché? Di solito a questa domanda si risponde: “Perché non tutti credono in Cristo”. Si suppone così che lo Spirito Santo vivifichi solo coloro che credono. Questo, però, è mettere il carro davanti ai buoi. Non è la fede la causa della nuova nascita, ma la sua conseguenza. E’ così ovvio che non varrebbe neppure la pena di discuterne. La fede (in Dio), non è un qualche cosa di esotico che sia congenito al cuore umano. Se la fede fosse un prodotto naturale del corpo umano, l’esercizio di un principio comune alla natura umana, non vi sarebbe scritto: “Poiché non tutti hanno la fede” (2 Ts. 3:2). La fede è una grazia spirituale, il frutto di una natura spirituale. Coloro che non sono rigenerati sono spiritualmente morti, “…voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati” (Ef. 2:1), ne consegue che in loro la fede è impossibile, perché un uomo morto non può credere in alcunché. “…e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio” (Ro. 8:8): lo potrebbero se fosse possibile per la carne il credere. Confrontate questo con il versetto citato frequentemente di Ebrei 11:6 “senza fede è impossibile piacergli” (Eb. 11:6). Potrebbe forse Dio essere compiaciuto o soddisfatto con una qualsiasi cosa che non avesse origine in Sé stesso? Che l’opera dello Spirito Santo inequivocabilmente preceda il nostro credere, è inequivocabilmente stabilito da 2 Tessalonicesi 2:13: “Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità”. Notate come la “santificazione nello Spirito” venga prima e di fatto renda possibile “la fede nella verità”. Che cos’è la “santificazione nello Spirito”? Rispondiamo: la nuova nascita. Nella Scrittura “santificazione” significa sempre “separazione”, separazione da qualcosa ed adesione a qualcos’altro o a qualcuno. Approfondiamo un po’ la nostra affermazione che la “santificazione nello spirito” corrisponda alla nuova nascita e si riferisca ai suoi effetti posizionali. Ecco un servitore di Dio che predica l’Evangelo ad una comunità in cui vi sono 100 persone non salvate. Egli porta di fronte a loro l’insegnamento della Scrittura al riguardo alla loro situazione di rovina e di perdizione. Egli parla loro di Dio, del Suo carattere e di ciò che giustamente Egli esige. Egli parla loro di come Cristo soddisfi Egli stesso per loro ciò che Dio richiede, il giusto che muore per gli ingiusti, e dichiara che attraverso “quest’uomo” ora è predicato il perdono dei peccati. Egli così chiude il discorso, esortando i perduti a credere in ciò che Dio dice nella Sua Parola ed ad accogliere Gesù come proprio personale Salvatore. La riunione si conclude e l’assemblea si scioglie; novantanove fra quei perduti presenti rifiutano di venire a Cristo ed ottenervi vita, e tornano nelle tenebre rimanendo senza speranza e senza Dio nel mondo. Il centesimo, però, ha udito la Parola. Il Seme è caduto in buona terra, quella che Dio stesso ha preparato. Egli ha creduto nella Buona Notizia, e torna a casa rallegrandosi che il suo nome sia scritto in cielo. Egli è “nato di nuovo”, e proprio come un neonato nel mondo naturale inizia la sua esistenza afferrandosi istintivamente, nella sua impotenza, a sua madre, così quest’anima neonata si è afferrata a Cristo. Proprio come leggiamo di Lidia: “Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo” (At. 16:14), così nel caso immaginato prima, è lo Spirito Santo ad avere vivificato quell’anima prima che potesse credere al messaggio evangelico. Ecco dunque la “santificazione nello Spirito”: quest’anima che è nata di nuovo, in virtù nella sua nuova nascita, è stata separata dalle altre novantanove. Coloro che sono nati di nuovo sono separati per opera dello Spirito, da coloro che solo morti nelle colpe e nei peccati.
Una bella tipologia delle operazioni dello Spirito Santo antecedenti alla “fede nella verità” da parte del peccatore, si trova nel primo capitolo della Genesi. Leggiamo al versetto 2: “La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”. La forma originale di questo testo in ebraico, potrebbe essere resa così: “…e la terra era diventata una desolata rovina, e le tenebre erano sulla faccia dell’abisso”. “Nel principio” la terra non era stata creata nelle condizioni descritte al versetto 2. Fra i primi due versetti di Genesi 1, potrebbe essere avvenuta una terribile catastrofe[7], forse la caduta di Satana e, come conseguenza, la terra era divenuta una “desolata rovina” e giaceva nelle “tenebre”. Questa è la storia dell’uomo. Oggi l’uomo non si trova nelle condizioni in cui era stato modellato dalle mani del Creatore. E’ avvenuta una terribile catastrofe, ed ora l’uomo è una “desolata rovina” e completamente nelle “tenebre” al riguardo delle cose spirituali. Leggiamo però ancora in Genesi come Dio avesse rimodellato la terra rovinata e fatto nuove creature perché l’abitassero. Prima leggiamo: “…e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”, poi troviamo: “Dio disse: «Sia luce!» E luce fu”. L’ordine è identico a quello della nuova creazione. Prima c’è l’azione dello Spirito, e poi la Parola di Dio dà luce. Prima che la Parola trovi accesso sulla scena della desolazione e della rovina, portando con essa la luce, “si muove” lo Spirito di Dio. Così è per quanto riguarda la nuova creazione: “La rivelazione delle tue parole illumina” (Sl. 119:13), prima però che essa subentri nell’oscuro cuore umano, è lo Spirito Santo che deve operare su di esso.
Ritornando ora a 2 Tessalonicesi 2:13 “noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità”. In questo testo, l’ordine in cui compaiono le frasi è molto istruttivo e della massima importanza. In primo luogo troviamo l’eterna scelta che Dio ha compiuto; in secondo luogo, la santificazione dello Spirito; in terzo luogo, la fede nella verità. Precisamente lo stesso ordine si trova in 1 Pietro 1:2: “Eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo” (1 Pi. 1:2). Per “ubbidire” s’intende qui l’obbedienza della fede (Ro. 1:5), la quale fa proprie le virtù del sangue “cosparso” di Cristo. Prima, dunque, dell’ubbidienza (della fede, cfr. Eb. 5:9), vi è l’opera dello Spirito che santifica, cioè “mette a parte”, e dietro a tutto questo vi è l’elezione fatta da Dio Padre. Coloro che ricevono “la santificazione dello Spirito”, quindi, sono coloro che sono stati eletti secondo la prescienza di Dio “a salvezza” (2 Ts. 2:13).
Si potrebbe però obiettare: non è forse la missione dello Spirito Santo quella di “convincere il mondo di peccato”? Noi rispondiamo: no, non lo è. La missione dello Spirito è triplice: glorificare Cristo, vivificare gli eletti, edificare i santi. Giovanni 16:8-11 non descrive “la missione” dello Spirito, ma presenta il significato della Sua presenza qui in questo mondo. Non parla della Sua opera a livello soggettivo nel credente, mostrandogli il suo bisogno di Cristo, sollecitando la sua coscienza per infondergli nel cuore timore del giudizio. Si tratta piuttosto della Sua opera oggettiva. Ad esempio: supponete di vedere un uomo che sta subendo la sua condanna a morte: di che cosa questo mi “convincerebbe”? E’ ovvio: che si tratta d’un assassino. In che modo io ne sarei convinto? Leggendo gli atti del suo processo? Ascoltando una confessione dalle sue stesse labbra? No, ma dal fatto evidente che si trova sul luogo dell’esecuzione come condannato. Allo stesso modo, il fatto che lo Spirito Santo sia qui presente, è proprio questo che fornisce la prova della colpevolezza del mondo, della giustizia di Dio e della condanna del diavolo. Lo Spirito Santo non dovrebbe essere qui: questa è senza dubbio un’affermazione sorprendente, ma la facciamo apposta. Cristo è Colui che dovrebbe essere qui. Egli era stato mandato dal Padre, ma il mondo non l’ha ricevuto, proprio non lo voleva, lo odiava e lo ha cacciato via. Il fatto, invece, che sia lo Spirito Santo ad essere presente, è prova della nostra umana colpevolezza. La venuta dello Spirito era prova e dimostrazione della risurrezione, ascensione e gloria del Signore Gesù. La Sua presenza sulla terra capovolge il verdetto emesso dal mondo, mostrando come Dio abbia annullato il giudizio blasfemo avvenuto nel palazzo del Sommo Sacerdote e nel pretorio del governatore romano. La “riprovazione” dello Spirito permane, e rimane nonostante che il mondo abbia o non abbia accolto la Sua testimonianza. Se il Signore avesse qui fatto riferimento all’opera di grazia che lo Spirito avrebbe operato in coloro che avrebbero dovuto sentire il bisogno che avevano di Lui, Egli avrebbe detto che lo Spirito avrebbe convinto il mondo della loro ingiustizia, della loro mancanza di giustizia. Qui, però, questo concetto non compare. La discesa dello Spirito dal cielo, stabilisce la giustizia di Dio, la giustizia di Cristo. La prova di questo è che Cristo è salito al Padre. Se Cristo fosse stato un impostore, come insisteva a dire il mondo quando Lo respinse, il Padre non Lo avrebbe ricevuto. Il fatto, però, che il Padre lo abbia di fatto esaltato alla propria destra, dimostra come Egli fosse innocente delle accuse che Gli erano state mosse; e la prova che il Padre lo ha di fatto ricevuto, è la presenza ora dello Spirito Santo sulla terra, perché è stato Cristo a mandarlo da presso il Padre (Gv. 16:7)! Il mondo ha commesso una gravissima ingiustizia nel respingerlo, il Padre è stato giusto nel glorificarlo, e questo è esattamente ciò che la presenza dello Spirito sulla terra oggi stabilisce.
“Quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato” (Gv. 16:11). Questo è il punto culminante logico ed inevitabile. Il mondo è dichiarato colpevole proprio per avere respinto Cristo, per il loro rifiuto di accoglierlo. La sua condanna viene manifestata proprio dal fatto che il Respinto sia stato esaltato. Per questo il mondo, e il diavolo, non può aspettarsi altro che un giudizio di condanna. “Il giudizio” di Satana è già stabilito per la presenza stessa dello Spirito sulla terra, perché Cristo, attraverso la morte, ha distrutto chi aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo (Eb. 2:14). Quando arriverà il momento che Dio ha stabilito per la partenza dello Spirito dalla terra, la Sua sentenza sarà eseguita, sia quella sul mondo che su chi lo domina. Alla luce di questo testo indicibilmente solenne, non ci deve sorprendere che Cristo poi dica: “…lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce” (Gv. 14:17). No, il mondo proprio non Lo vuole, perché Egli condanna il mondo: “Quando sarà venuto, convincerà (pronuncerà il suo verdetto di colpevolezza) il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato” (Gv. 16:8-11).
Tre cose la presenza dello Spirito Santo sulla terra dimostrerà al mondo: in primo luogo, il suo peccato, perché il mondo rifiuta di credere in Cristo; in secondo luogo, la giustizia di Dio nell’esaltare alla propria destra Colui che il mondo respinge, e che il mondo non vedrà più; in terzo luogo, il giudizio, perché Satana, il principe di questo mondo è già stato giudicato, sebbene l’esecuzione di questo giudizio permanga nel futuro. E’ così che la presenza dello Spirito Santo oggi manifesta, mette in luce, le cose come veramente stanno.
Lo Spirito Santo è sovrano nelle Sue operazioni, e la Sua missione è riservata agli eletti di Dio: essi sono coloro che Egli “conforta”, “suggella”, guida in ogni verità, mostra loro le cose a venire, ecc. L’opera dello Spirito è necessaria al fine di completare la realizzazione degli eterni propositi di Dio. Parlando in modo ipotetico, ma rispettosamente, si potrebbe dire che se Dio non avesse fatto altro che dare Cristo affinché morisse per i peccatori, nessun singolo peccatore sarebbe stato mai salvato. Infatti, proprio affinché il peccatore veda il suo bisogno d’un Salvatore, e sia disposto a ricevere il Salvatore di cui ha bisogno, è assolutamente richiesta su di lui ed in lui l’opera dello Spirito Santo. Se Dio non avesse fatto di più che far sì che Cristo morisse per i peccatori, e poi avesse solo mandato i Suoi servitori a proclamare salvezza in Cristo, lasciando i peccatori completamente a sé stessi accettandolo o respingendolo secondo il loro beneplacito, allora ogni peccatore Lo avrebbe respinto, perché nel profondo del suo cuore, ogni uomo odia Dio ed è in inimicizia contro Lui. Per questo era necessaria l’opera dello Spirito Santo per portare i peccatori a Cristo, per sconfiggere la loro innata opposizione, per costringerli ad accettare ciò che Cristo per loro ha compiuto. Diciamo “costringere” i peccatori perché questo è esattamente ciò che fa lo Spirito Santo, ciò che Egli deve fare.
Questo ci porta a considerare accuratamente, seppure nel modo più breve possibile, la parabola del “Gran cena”. In Luca 14:16 leggiamo: “Un uomo preparò una gran cena e invitò molti”. Confrontando attentamente ciò che segue a questo con Matteo 22:2-10, osserveremo diverse importanti distinzioni. Consideriamo questi come due versioni diverse della stessa parabola, che differiscono in qualche dettaglio secondo i propositi che lo Spirito Santo si prefigge di raggiungere in ciascun vangelo. Il racconto di Matteo, in armonia con la presentazione che vi fa lo Spirito Santo, di Cristo, come Figlio di Davide, il Re dei Giudei, dice: “Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio” (Mt. 22:2). Il racconto di Luca, dove lo Spirito presenta Cristo come il Figlio dell’uomo, dice: “Un uomo preparò una gran cena e invitò molti”. Matteo 22:3 dice: “Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire”, invece Luca 14:17 dice: “e all'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati…”. Ora, ciò che vogliamo particolarmente qui rilevare è che per tutto il racconto di Matteo abbiamo “i suoi servi”, e in quello di Luca è sempre “il suo servo”. Coloro per i quali stiamo scrivendo questo libro sono coloro che credono, senza riserve, nell’ispirazione verbale delle Scritture, e in questa precisa prospettiva, essi prontamente riconosceranno che vi deve senz’altro essere una ragione per cui in Matteo troviamo un plurale, ed in Luca un singolare. Noi crediamo che la ragione di questo sia molto rilevante e che prestare attenzione a questa variante, riveli un’importante verità. Noi crediamo che “i servitori” in Matteo, generalmente parlando, siano tutti coloro che vanno a predicare l’Evangelo, ma che “il servo” di Luca 14, sia lo stesso Spirito Santo. Non è affatto incongruo con il testo affermarlo, né certamente è offensivo per lo Spirito, perché Dio il Figlio, nei giorni del Suo ministero terreno, era il Servo di Yahweh (Is. 42:21). Si osservi che in Matteo 22 “i servi” sono mandati a fare tre cose: in primo luogo a “chiamare” alle nozze (3); in secondo luogo, a “dire” agli invitati che il pranzo pronto; in terzo luogo, ancora a “chiamare” (o esortare). Queste sono le tre cose che oggi fa un ministro dell’Evangelo. In Luca 14 il Servo è pure mandato a fare tre cose: in primo luogo: “mandò il suo servo a dire agli invitati: "Venite, perché tutto è già pronto"” (17); in secondo luogo, “disse al suo servo: "Va' presto per le piazze e per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi" (21); in terzo luogo, “Il signore disse al servo: "Va' fuori per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare” (23). Queste ultime due cose solo lo Spirito le può fare! Ecco così che nel testo citato “il Servo”, lo Spirito Santo, costringe certuni a venire alla “cena”, manifestando qui la Sua sovranità, la Sua onnipotenza e la Sua divina sufficienza. Chiara implicazione di questo “costringere” è che coloro che lo Spirito Santo conduce dentro, non hanno nessuna intenzione di per sé stessi di farlo. Questo è esattamente ciò che abbiamo cercato di mostrare nei paragrafi precedenti. Per loro natura, gli eletti di Dio sono figli d’ira tanto quanto gli altri (Ef. 2:3) e come tali i loro cuori sono in inimicizia contro Dio. Questa loro “inimicizia” è sopraffatta dallo Spirito ed Egli li “costringe” ad entrare. Non è forse chiaro il motivo per cui altri siano lasciati fuori, cioè non solo perché essi non hanno alcuna intenzione di entrare, ma pure perché lo Spirito Santo non li costringe a farlo? Non manifesto che lo Spirito Santo è sovrano nell’esercizio del Suo potere, che “il vento soffia dove vuole” e che lo Spirito Santo faccia tutto ciò che Egli ritenga più opportuno?
Per riassumere. Abbiamo cercato di mostrare la perfetta coerenza del comportamento di Dio: che ogni Persona della Trinità agisce in coordinazione ed in armonia con le altre. Dio il Padre elegge certuni alla salvezza, Dio il Figlio muore per gli eletti, e Dio lo Spirito Santo vivifica gli eletti. Allora possiamo bene cantare: Gloria e lode a Te, Padre nostro e Re dei re… Lode a Te, Signor Gesù ed all’eccelsa Tua virtù… Sale un inno con fervor a Te, Spirito creator: Sia lode al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo!
(4, continua)
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[1] “è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo” (Fl. 2:13); “Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere” (Sl. 110:3).
[2] Andando alla croce, Gesù non pensava: “Magari, morendo in croce, qualcuno riporrà la sua fiducia nel mio sacrificio espiatorio e sarà salvato. Non ne sono sicuro. Speriamo”. No, pensava: “Il mio sacrificio sarà certamente efficace per coloro dal Padre sono stati destinati alla salvezza”.
[3] Espressamente, infatti, in più luoghi, le Scritture parlano dell’effettiva dannazione di una parte dell’umanità.
[4] “Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio” (Gv. 3:18).
[5] “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove”.
[6] 1 Giovanni 2:2 sarà esaminato dettagliatamente nell’appendice 4.
[7] La teoria del “gap” o della scissione